La tavolozza dei colori fantasiati di Lino di Lallo / Un nuovo alfabeto cromatico
«I problemi filosofici sorgono infatti quando il linguaggio fa vacanza»: è una citazione da Wittgenstein che l’artista, architetto, scrittore e pittore, Lino Di Lallo riporta a pag. 172 del primo volume di Tavolozza d’autore. Il grande libro dei colori fantasiati, edito da Il Formichiere di Foligno e presentato da una bella e poetica introduzione di Carlo Ossola. La pagina è bianca, in alto vi è solo una frase, una domanda: «Questa pagina è color…??», in fondo alla pagina la citazione dalle Ricerche filosofiche. Che il linguaggio faccia vacanza (feiert, fa festa) vuol dire che non è trasparente, perspicuo, che non rimanda a un oggetto preciso del mondo delle cose, che la logica e la grammatica del colore sono piene di paradossi e di enigmi che il filosofo austriaco ha cercato di scardinare lungo tutta la sua vita, fino agli ultimi appunti sul colore. In modo, per certi versi, simile anche per Di Lallo il linguaggio fa vacanza e non solo nel senso che manca al suo scopo semantico, ma anche nel senso più lieve, che è libero e si diverte in un gioco poetico con il mondo. Questa nuova e sorprendente storia dei colori è una silloge di citazioni, inframezzata da interventi ludici e composizioni pittoriche create dall’autore; i prelievi testuali sono in ordine alfabetico, l’unico ordine possibile per la varietà e la differente origine dei termini, e i primi due volumi pubblicati giungono fino alla P: la serie sarà completata in un terzo volume che uscirà in autunno, in cui speriamo di trovare anche un indice analitico degli autori citati.
La tavolozza di Lino di Lallo non comprende solo i colori del prisma e nemmeno quelli puri o fondamentali della nostra categorizzazione che fa capo pressappoco alla scatola delle matite, «non è una tavolozza recintata, ritagliata, quadrettata», mira a cogliere le innumerevoli sfaccettature dell’esperienza del colore. La ricerca prende avvio dall’inadeguatezza della lingua a rappresentare le infinite sfumature di colore: prive di nome, esse richiedono riferimenti materiali, accostamento di più termini di colore, comparazioni, similitudini e metafore, analogie e personificazioni, allusioni suggestive e inedite. Alla moltiplicazione degli aggettivi si aggiungono le espressioni come ‘tende a’, ‘pende’, ‘inchina’, ‘partecipa’, ‘verge’, ‘scivola verso’, ma anche questo non basta all’autore che ci vuole presentare non solo gli esiti espressivi della poesia e della prosa che riescono a evocare sfumature particolarissime per le quali pareva non esistere un suono linguistico corrispondente, ma vuole alludere anche ad altro, a una sfera interiore ed emotiva, allucinata e talora un po’ folle. Tavolozza d’autore «è – scrive – un ricettacolo di colori esalati, espressi da un lievito verbale esuberante e fantasioso», è «una raccolta di colori immaginari, immaginati, fantasiati e desueti» (I p. 19).
Per fare questo Di Lallo traccia un itinerario che attraversa l’arte e la letteratura, le curiosità della moda e della cucina, le classificazioni della botanica, i consigli della farmacologia e della medicina, per recuperare la nomenclatura in disuso, i termini regionali e i modi più strani e bizzarri di definire i colori. Le citazioni sono principalmente in italiano, nei dialetti e in francese, ma con qualche excursus nell’arabo e nelle lingue orientali; al tedesco ricorre per la K. L’accumulo dei passi citati è interrotto dagli interventi personali dell’autore che compone, con pezzi di stoffa, metri da sarta, bottoni e tanti altri materiali, alcuni visi-tavolozza, i capilettera e altri collage che dialogano con il testo, come la bella immagine del campanile di Giotto e della cupola di Santa Maria in Fiore, sormontate da un cielo sudicio – un’espressione di Carlo Dossi – e in tempesta, e una striscia di mare nero in basso su cui naviga una vela. Una mela fatta di campioni di stoffa viene posta accanto alle citazioni sul color frutta; un museo, nel quale i ritagli di tessuto diventano i quadri di un’esposizione, illustra un improbabile ‘colore-museo’.
Con due macchie, una nera «che ha del luttuoso», un rossa «che ha del delittuoso» (II p. 345), passiamo ai giochi di parole: sulle orme di Savinio (il nero di Re-noir, II p. 343) – e del «burlesco» Giambattista Marino che compone facezie con i nomi dei letterati, Di Lallo costruisce elenchi di nomi sulla base di coincidenze e assonanze di nomi propri di artisti, nomi con i quali compone addirittura una squadra di calcio, in cui compaiono Diego Rivera, Francesco Mazzola e Andrea Pozzo come commissario tecnico (I p. 22). Per i titoli di libri cito un esempio soltanto: «Il Fuoco del Vate pretendeva di incenerire Le ceneri di Gramsci» (II p. 43). Del resto alcuni nomi propri sono diventati nomi di colore: color Babeuf, con cui Carlo Emilio Gadda allude a un colore impossibile per una sciarpa della polizia (I p. 146, ma la citazione è dal Pasticciaccio), ma anche color Manzoni dello scrittore Delio Tessa (II p. 265), da non confondersi con il color manzoniano con cui Rovani descrive la società milanese, e il color Carlomagno delle carote nella cucina del Pataffio di Luigi Malerba (I p. 317).
Aiutano l’autore gli studi sul colore di Michel Pastoureau e Manlio Brusatin, e l’interessante ricostruzione storica e linguistica di Colori e moda di Lia Luzzatto e Renata Pampas (Giunti, Firenze 2018), ma anche testi rari e sconosciuti, reperiti con acribia filologica in archivi, biblioteche e nel web, elenchi commerciali e proibizioni annonarie, ricette medievali di arte tintoria, descrizione delle razze dei cavalli e indicazioni sulla mescolanza, come quella di Giovan Paolo Lomazzo per ottenere il color falzalo, un sorta di bruno adatto a riprodurre le cortecce e i legni (II p. 14) e di Giovanni Pozzi sul modo di ottenere il color frangipane con terra d’ombra, rosso e giallo (II p. 60). Importanti per Di Lallo sono anche le descrizioni degli storici dell’arte, le ekphrasis di Roberto Longhi e le sfuriate di Luigi Bartolini.
Naturalmente fonti importanti sono gli scritti degli artisti, in particolare quelli di Marinetti e dei futuristi che ci propongono le metafore più azzardate e ci parlano dei colori della velocità. In Marinetti leggiamo il colore delle stelle con «acconciature alte, arrossate, dell’henné solare» (II p. 148), quello del «fulmine arancione a lunghe zampe verdi» (II p. 67), i colori dell’invidia e della disperazione delle nuvole tra cui sta volando a quattromila metri di altezza (II p. 181) e, infine, il blu pube di Venere del suo Poema africano (I p. 224). Con questo siamo però già sul terreno della poesia e della letteratura che ci offrono altre mille sfumature: l’autore ne cita tantissime e qui non possiamo che sceglierne qualcuna, quasi a caso: il bianco puro di Dante, «tanto bianco, / che nulla neve a quel termine arriva» (I p. 176), il barberesco, turco e turchino dell’irosa satira di Gioacchino Belli contro la donna che lo ha infettato (I p. 163), il bordocc, il colore della piattola di Carlo Porta (I p. 233), il colori chiavica, clistere e della resina gialla di colofonia di Gadda (I pp. 343, 345, 363), il giallo delle lingue mai udite, «gelb jaune amarillo», e il grigio-zen di Andrea Zanzotto (II p. 132), il «rosso scurissimo che morde con i suoi grumi il fondo pagina» del poeta del colore Yves Bonnefoy, accompagnato dalla figura di una macchia di pigmento rosso (II p. 31). Giambattista Basile ce ne presenta addirittura una serie: la maga Filadoro «fece una faccia da tavolozza di pittore, dove si vedeva una mescolanza del rosso cinabro della vergogna, del rosso ciliegia della paura, del verderame delle speranze e del rosso sulfureo del desiderio» (II p. 309).
Color ala di mosca, color cane che fugge, color coscia di ninfa commossa, color di gatto vedovo, color di loffa, color panza de monega, color ventre di pulce, color pulce irritata, color di pidocchio svenuto, sono altre sfumature che ci confermano il gusto divertito di Lino Di Lallo che ci invita nel suo «cerchio cromatico dell’immaginario».