Speciale
Tempo di libri - incipit / Oscar e la dama in rosa, Erich-Emmanuel Schmitt
Per contribuire a un momento d’incontro, approfondimento e scambio come Tempo di Libri, la fiera del libro che si terrà a Milano dall'8 al 12 marzo, abbiamo creato uno speciale doppiozero | Tempo di Libri dove raccogliere materiale e contenuti in dialogo con quanto avverrà nei cinque giorni della fiera. Riprenderemo i temi delle giornate - dalle donne al digitale -, daremo voce a maestri che parlano di maestri, i nostri autori scriveranno sugli incipit dei romanzi più amati, racconteremo gli chef prima degli chef, rileggeremo l' “Infinito” di Leopardi e rivisiteremo la Milano di Hemingway, rileggeremo insieme testi e articoli del nostro archivio, che continuano a essere attuali e interessanti.
«Caro Dio,
mi chiamo Oscar, ho dieci anni, ho appiccato il fuoco al gatto, al cane, alla casa (credo persino di aver arrostito i pesci rossi) ed è la prima lettera che ti mando perché finora, a causa dei miei studi, non ho avuto tempo.»
Inizia così Oscar e la dama in rosa, di Eric-Emmanuel Schmitt. Un piccolo libro di un'intensità che toglie il fiato. Chi parla è un bambino malato terminale di leucemia, arrabbiato perché tutti lo trattano in un modo strano, anche i suoi genitori e i medici. Lui ha mille domande, ma sembra che tutti lo evitino, scappano via, gli luccicano gli occhi quando lo guardano, si imbarazzano e nessuno vuole rispondere. La dama in rosa è un'anziana volontaria, che lo va a trovare da quando è ricoverato; lui la chiama nonna Rosa. Lei non si sottrae alle sue domande. Così Oscar scopre che la sua paura è vera, gli restano solo dodici giorni. Ma lui voleva fare molte, molte cose nella sua vita! Aveva tantissimi desideri… Nonna Rosa gli propone di scrivere ogni giorno una lettera a Dio, per raccontargli tutto quello che gli passa nel cuore e chiedergli di realizzare, ogni giorno, un suo desiderio. Un desiderio grande, però, non la voglia di giocattoli o di cioccolato. Qualcosa come la speranza, la fiducia, il coraggio, la serenità e cose simili. E gli propone di fare un gioco. Siccome mancano proprio dodici giorni alla fine dell'anno, vivrà ognuno di essi come fosse un decennio: crescerà, studierà, sposerà la bambina che sta nella cameretta di fianco alla sua e così via.
Incontrai questo libro per la prima volta a una lettura con accompagnamento musicale tenuta all'Hospice Madonna dell'Uliveto di Albinea, in provincia di Reggio Emilia. In quella occasione Paola Gassman ne lesse diversi brani. Attrice, musicisti e pubblico fummo tutti presi in una situazione di tale intensità, che per tutti, credo, Oscar era ognuno di noi, era nostro figlio, nostro fratello, eravamo noi. In seguito Amanda Sandrelli ne ricavò una pièce teatrale anch'essa intensissima.
Poi lessi il racconto e ne rimasi ancor più conquistata mi parve, e mi pare ancora oggi, il più bello che avessi mai letto su questo argomento. È una storia dolcissima e dura, che commuove e fa riflettere, talvolta persino sorridere, perché ogni cosa è vista e detta con la schiettezza e la sincerità priva di remore di un bambino. E narra anche come possa, stranamente, accadere di sentire vicino nel dolore un Dio che, però, non ti guarisce, e al quale ti rivolgi riluttante e controvoglia, perché, come hanno sempre detto a Oscar i suoi genitori, solo gli sciocchi credono a Dio.
Ognuno di noi ha la sua morte, ci sono tanti modi di morire, per questo il poeta Rilke pregava: «O Signore concedi a ciascuno la sua morte:/frutto di quella vita/in cui trovò amore, senso e pena» (Libro delle ore). Oscar, aiutato dalla sua dama in Rosa, cerca di compiere il difficile percorso verso l'accettazione della morte che è di tutti gli ammalati terminali, per giungere alla propria fine non divorati dal rimpianto, con gli occhi aperti, ma non sbarrati dal terrore; tristi sì – e come potrebbe essere diversamente? – ma non disperati.