Un film di Emerald Fennell / Pink is Not Dead. Una donna promettente
Quasi tutto appare molto rosa e “carino” nel primo film scritto e diretto da Emerald Fennell (Oscar per la miglior sceneggiatura originale), interpretato da Carey Mulligan. Vediamo rosa confetto ovunque, fino all’iperrealismo cromatico: sono rosa i maglioncini, le t-shirt, i capelli, gli sfondi del telefono, la tappezzeria, le penne, le lenzuola, i tovaglioli dei ristoranti, i camici delle infermiere, i rossetti, le valigie, gli interni domestici, il Bar dove lavora la protagonista. A parte la sequenza iniziale girata in notturna, che serve a costruire subito il sentimento filmico di una storia fatta di sdoppiamenti e ambiguità, per la maggior parte del tempo sembra di trovarsi dentro una casa di bambola. Siamo in un mondo pieno di fiocchetti, braccialettini, quadernini e leziose tinte pastello; eppure quel colore, usato di solito come marchio di genere e rinchiuso convenzionalmente in una certa idea di deliziosa fragilità “al femminile”, deborda dai confini narrativi e visivi presupposti dal codice, fino a saturarsi e procurare invece, un sentimento complessivo di inquietudine, perché crea distonia anziché grazia. Il rosa stavolta agisce da significante impazzito.
Del resto, la stessa regista ha paragonato il suo film a una caramella apparentemente dolcissima e invitante, ma che invece contiene veleno. È proprio ciò che accade, in effetti. Più si va avanti, e più tutto quel rosa aumenta la tensione, come un combustibile pronto a infiammarsi, o persino a bruciare pure chi aveva creduto di essere fuori. E così potrebbe essere in pericolo, e in discussione, anche lo spettatore, o la spettatrice, che se ne stava a guardare un film e basta, pensando di consumare, tutt’al più, un thriller, oppure l’appassionante vendetta di una ragazza gentile stuprata da uomini cattivi per colpa dei quali si trasformerà in giustiziera arrabbiata. Stavolta va diversamente, però, perché Promising Young Woman, fin dalle immagini di apertura, cerca di raccontare e far vedere altro. Tant’è vero che lo stesso uso stridente dei colori pastello, o della musica pop, per esempio, potrà persino confondere le sentinelle del paternalismo benevolo – quello di solito disposto a pronunciare condanne contro la violenza sulle donne, o persino contro la misoginia, purché si faccia pacatamente, o ironicamente, senza che nulla cambi, senza che si pronunci la parola “femminismo”.
Il problema, infatti, è che Promising Young Woman fin dalle prime inquadrature non ci mostra gli occhioni lucidi e spaventati di una vittima di stupro, ma prende alla lettera e fa stare in scena il senso comune (quello che dice “era solo uno scherzo”, o che ti spiega che c’è poco da “gridare al lupo”, perché “quando ti ubriachi a quel modo le cose accadono”). La retorica dei luoghi comuni è orientata umoristicamente contro sé stessa, spostando dunque il focus dai punti di inquadratura più ovvi: preferendo, per esempio, all’osservazione della vittima, la performance sgraziata e feticistica dei corpi danzanti che potrebbero far violenza senza pensarci neppure, anzi proprio per concludere una serata “da ragazzi” in maniera divertente, funny. Si chiama rape joke.
Anche quando esce di casa, lo spazio in cui si muove Cassie, la protagonista, è un prolungamento morboso del mondo isolato della sua cameretta da bambina, come in una specie di racconto horror incentrato su un’infanzia destinata a non finire mai.
La giovane, infatti, in realtà ha quasi trent’anni, abita ancora a casa dei genitori e la sua vita ha smesso di andare avanti, malgrado fosse una studentessa bravissima del Corso di Medicina, da quando, sette anni prima, la sua amica del cuore Nina si è fatta fuori, dopo essere stata violentata davanti a tutti, al College, senza che nessuno prendesse sul serio la sua denuncia. Con il cuore spezzato, bloccata dal trauma e dai sensi di colpa, Cassie è una specie di Cassandra abbreviata, di nome e di fatto: è una vita senza un pezzo, perché privata non solo della possibilità di espressione, ma di crescita. Così, ormai più che altro tira a sopravvivere, senza saper uscire da una simbiosi ossessiva con la sua alter ego morta suicida.
La giovane lavora in un Coffee shop, senza alcuna vita sociale; l’unica persona con cui sta bene, perché non la giudica, anche senza comprendere il suo disinteresse per tutto, è Gail (Laverne Cox), la sua datrice di lavoro, nera e transgender.
Nessun altro lo sa, oltre a noi che guardiamo il film, ma ogni venerdì sera Cassie si abbiglia e si trucca da ciò che a prima vista si intende di solito per donna “provocante”; va in un locale, finge di essere ubriaca, e aspetta che arrivi un uomo che, con la scusa di aiutarla a non cadere, in realtà cerca di stordirla ulteriormente e di scoparsela. A quel punto, sul più bello, Cassie dismette la maschera.
Un giorno, però, nel Bar dove lavora Cassie entra per caso un suo vecchio compagno di corso, che la riconosce e cerca di riavviare l’amicizia: a Ryan (Bo Burnham) Cassie è sempre piaciuta. Mentre cominciano a frequentarsi, Ryan racconta che Al Monroe (il responsabile dello stupro di Nina) è tornato in città e sta per sposarsi. Anche se non dà a vedere di esserne turbata, in quel punto Cassie capisce che la sua vita è cambiata – di un ulteriore momento di svolta si accennerà più avanti, in maniera meno esplicita. D’ora in poi, come se assumesse definitivamente su di sé un destino mitologico che del resto era già iscritto nel suo nome, la donna progetterà e attuerà un regolamento di conti mirato, stavolta, su tutte le persone che, all’epoca della violenza su Nina, hanno minimizzato, ignorato, o persino (come gli avvocati) attaccato la sua denuncia, donne comprese (possibilmente dall’eloquio molto sicuro): le compagne di College, la Rettrice che manco si ricorda il nome dell’amica di Cassie, spiegandole: “Cosa facciamo? Roviniamo la vita di un giovane uomo ogni volta che riceviamo accuse di questo tipo?”.
Promising Young Woman ruota attorno a una vicenda di stupro che tuttavia non vedremo mai direttamente, perché al centro della rappresentazione vive soprattutto, come un fantasma che si aggira tra le stanze, il trauma legato a questa esperienza. Il progetto del film, infatti, è dare evidenza a ciò che di solito resta invisibile e non viene chiamato in causa, vale a dire la cultura dello stupro eletta a sistema; e la violenza sulle donne – non solo fisica – come rituale normalizzato del dominio maschile – inteso come modello unico di mascolinità prepotente, affermata attraverso la sottomissione e il disprezzo delle altre identità.
Sul piano della struttura narrativa, si potrebbe parlare anche di una peripezia tragica di vendetta, con un passato che non se ne vuole andare e invece a un certo punto, anche incidentalmente, ritorna, infilando la protagonista in un sistema fatale di scelte. Ma ciò che trasforma un film, in certi tratti anche imperfetto (a livello di trama, per esempio), in un lavoro originale di cui ci ricorderemo, riguarda il rovesciamento di prospettiva, attraverso l’uso straniante dei codici della cultura pop, come già si diceva. Assieme a questo aspetto, ci sono altri due temi, che tra l’altro potrebbero anche aiutarci a comprendere perché Promising Young Woman sia un’opera che si è cercato di vedere, premiare, discutere e far proiettare meno che si poteva.
Il primo punto è talmente importante, nel progetto filmico d’insieme, da esser messo in rilievo già a partire dal titolo, purtroppo incappato nella sventurata abitudine di rovinare spensieratamente i titoli originali (e le chiavi autoriali di un film) con traduzioni sciatte. Promising Young Woman, infatti, non è “Una donna promettente”, ma “(una) giovane donna promettente”. L’espressione, infatti, ricalca e rovescia una testuale definizione legata a un caso giudiziario celebre e, più in generale, a un sistema culturale che, tanto nel linguaggio quanto nelle pratiche, assegna valori e pesi diversi alle aspettative di realizzazione dei giovani uomini e delle giovani donne. La vicenda specifica evocata dal titolo riguarda il caso di Brock Turner, studente universitario a Stanford, che nel 2016 fu dichiarato colpevole per lo stupro di una studentessa. Turner è rimasto registrato a vita come un criminale sessuale, ma fu condannato semplicemente a mezzo anno di carcere, e rilasciato dopo soli tre mesi; il giudice giustificò una pena così leggera spiegando che si trattava di un “promising young man”; insomma, come scrisse anche il padre in una lettera in difesa del figlio, era un ventenne che non poteva essere rovinato per venti minuti. Eccoci, allora, alla questione forte che il film di Emerald Fennell riprende e fa riguardare, mostrandoci un mondo in cui le promesse da prendere sul serio e proteggere non sono indifferenti, ma variano a seconda del genere.
I venti minuti che possono distruggere la vita di una ragazza, per colmo di paradosso, valgono persino molto meno di quelli del suo stupratore, o per esser precisi, secondo questa logica non fanno proprio parte del calcolo dei danni. Su questa strada, la vicenda e i modi di Promising Young Woman dicono anche un’altra cosa, forse anche più scabrosa, anche più oscena, e dolorosa: che la cultura delle molestie sessuali e dello stupro, non appartengono genericamente solo a un’idea patriarcale, violenta e sessista del mondo. Ma hanno funzionato e possono funzionare, ancora oggi, da reazione e risposta alla paura della donna “promettente” – Cassie, lo dice il suo compagno, era la più brava in classe.
La protagonista è una promising young woman nel senso che studia e lavora per un futuro di emancipazione e realizzazione professionale. La sua gioventù è una forma di apertura sul futuro, non è un aggettivo fisico. Ridurre una persona giovane a oggetto di un piacere (altrui) o a un corpo da deridere, sottomettere, umiliare, violentare davanti agli altri, disprezzare; fare tutto questo con quel tipo di ragazza, ossia il corpo di una studentessa, significa, prima di tutto, compiere un “gioco” di potere e una violenza fisica contro una persona, una donna, attuando al tempo stesso anche una violenza simbolica utile a togliere di torno una studentessa brava; facendola fuori e mandando in fiamme (proprio come in un rogo delle streghe a cui fa pensare un’altra scena del finale), le sue aspettative di futuro: rosee, non solo come il colore di un maglioncino, ma come hanno diritto di essere le speranze di una donna, soprattutto quando è giovane. (Fateci caso: è rosa anche lo zaino della figlia della Rettrice che Cassie a un certo punto adesca).
La penultima sequenza del film, quella in cui Cassie si presenta al party di addio al celibato di Al Monroe travestita da pornoinfermiera, contiene allora la scena che forse è più feroce, in senso simbolico, perché quel corpo travestito e caricaturizzato, come una specie di pagliaccio, proprio mentre indossa, comicamente, la divisa che avrebbe potuto indossare con più serietà e talento di tutti i suoi ex compagni di corso che assistono allo spettacolino e nel frattempo hanno mantenuto le loro promesse diventando medici, quella scena, quella maschera, è lo specchio più originale, ma anche più doloroso, che sia il film sia la protagonista mettono in faccia al paternalismo sessista. Il paternalismo impersonato non dai malvagi, ma da certi “bravi ragazzi” simpatici, affabili (vari attori del film sono celebri per aver interpretato soprattutto personaggi comici), e che trovano tutto molto divertente, senza farsi domande sulla loro posizione di testimoni complici.
Proprio in questo senso, un altro motivo importante che fa di Promising Young Woman un film di cui varrà la pena di ricordarsi riguarda l’attenzione data allo sguardo di chi assiste allo spettacolo del male, sia dentro sia al di fuori del film, restando in silenzio, senza far nulla. Il taxista di Uber, per esempio, che nella prima sequenza, dallo specchietto retrovisore, capisce che Cassie è talmente ubriaca da essere sul punto di vomitare, ma non dice nulla quando il suo “protettore” decide di cambiare destinazione e portarsela a casa; e poi gli altri studenti che hanno assistito ridendo allo stupro di Nina; le amiche stesse che hanno ricevuto il video.
Tutto è filmato e filmabile, tutto è visibile o consumabile sotto forma di visioni nell’epoca dell’esistenza digitale delle persone e dei social. Continuamente il film apre sguardi su questo aspetto, ora cercando gli occhi che hanno visto pur rimanendo fuori dall’inquadratura; ora, invece, esplorando la forza possibile che può d’altra parte conquistare la memoria e il potere di interpellazione delle immagini contro la violenza voyeuristica di chi stava ai bordi della scena, o oltre lo schermo (come Ryan, nel finale, quando guarda ammutolito il telefono). È un motivo talmente presente, anche se in maniera non esibita, che la regista stessa appare nel film, per pochi invisibili secondi, spuntando proprio dal filmato di un tutorial di YouTube guardato dalla protagonista, che sta dinanzi a uno specchio, per imparare a truccarsi.
Del resto, la stessa Cassie realizza il suo piano proprio aiutandosi con le notizie e i contatti recuperati da Facebook, e la sua vendetta squilibrerà la sua vita in maniera irreversibile proprio quando scoprirà e guarderà un filmato su un vecchio telefono.
Questa situazione, evidentemente, crea nuovi interrogativi: le immagini possono anche chiedere fino a quale punto di ipocrisia, o di buon senso, si potrà dire di non aver visto ciò che doveva rimanere invisibile, rimosso e omesso, ma che gli schermi invece ci fanno guardare. E viceversa. La nuova cultura digitale, le fotocamere piazzate in ogni punto della nostra vita, rilanciano questa condizione di ambiguità permanente, come racconta anche Promising Young Woman, non necessariamente bruciando per sempre le possibilità di risalire a una diversa giustizia, o addirittura a una rinascita. Anche se potesse sembrare, alla fine, solo una favola, una scintilla sotto la cenere, una promessa di felicità futura contenuta in un’emoticon che sorride dallo sfondo rosa di un messaggio su uno smartphone. Pink is Not Dead.