La mascherina di Lord Brummel
Un bambino di circa dieci mesi, e quindi nell’età in cui secondo la psicologia i piccoli hanno paura dell’estraneo, viaggia con il suo papà su un autobus di Porto. Sale un signore anziano, con mascherina, e si siede davanti al bambino rivolgendosi immediatamente a lui con sorrisi (celati dalla mascherina) e parole scherzose. Mi aspetto una reazione di timore e invece il piccolo portoghese sta al gioco, si diverte, addirittura offre al signore il proprio cappellino, in perfetto stile Sapiens Sapiens. Milioni di anni perché il nostro cervello specializzasse un’area per il riconoscimento facciale dei nostri simili e trenta mesi per correggere evolutivamente il file e farci accettare che talvolta il volto del nostro conspecifico ci appaia solo a metà.
È evidente che quel bambino, a mano a mano che le sue terminazioni nervose si sono pienamente mielinizzate permettendogli di mettere a fuoco il mondo, il mondo l’ha visto così, con tante persone che avevano sulla faccia quell’aggeggio. Noi adulti abbiamo fatto un po’ più di fatica ad abituarci, anche perché, per una curiosa nemesi non rara nella storia delle culture, venivamo da un decennio di polemiche sulla velatura islamica che a molti di noi, cosiddetti occidentali, sembrava una violazione inaccettabile del diritto di mostrare la propria faccia. Poi, all’inizio del 2020, di colpo, bum! tutti “velati”, e anzi, guai ai no mask che violavano, stavolta, il diritto alla salute. Oltre al dramma, realissimo e concretissimo, della malattia e delle morti, quello della mascherina è stato uno tsunami culturale che ha provocato nell’immediato un’effervescenza di rielaborazione simbolica.
Dopo due anni e mezzo di pandemia, svariate dosi di vaccino e un numero imprecisato di varianti del virus, al momento attuale si registra piuttosto una sorta di assuefazione, se non di rassegnazione: portiamo la mascherina senza notarlo e non ci facciamo caso se gli altri la portano, un po’ come il Lord Brummel, rivisitato da Achille Campanile, che mette il suo vanto nel fatto di passare del tutto inosservato. Questo tipo di transizione è noto agli studiosi di fenomeni culturali. Jurij Lotman sottolinea in più lavori come vi sia una diminuzione di grammaticalizzazione delle forme semiotiche a mano a mano che un fenomeno viene assimilato come “quotidiano”. Inoltre, per un processo che secondo Claude Lévi-Strauss rimane abbastanza misterioso e impredicibile, i miti di una collettività dopo un po’ vanno incontro a usura. Quello che colpisce è la relativa rapidità con cui siamo passati da una società facciale (Thomas Macho) a un trauma dell’occultamento da mascherina per approdare infine a una specie di dandismo che ci fa trovare ormai del tutto normale sedere in una sala d’aspetto con sconosciuti di cui vediamo solo gli occhi, o guardare lo spot pubblicitario di un noto supermercato in cui gli avventori girano a volto coperto, o seguire da casa la kermesse sanremese mentre le telecamere inquadrano di tanto in tanto una platea di maschere nere, in una variazione freak e temibilmente seriale di Zorro.
Ma come siamo arrivati a questa bella sprezzatura, per dirla con Baldassar Castiglione? Il punto di partenza di questa trasformazione ce lo spiegano Giovanni Fiorentino e Bianca Terracciano in La mascherina è il messaggio. Le relazioni sociali al tempo del covid-19 (Franco Angeli, 2022) che ripercorre in maniera estremamente documentata quello che è successo a livello legislativo, sociale e mediale dall’inizio del 2020 fino ai primi mesi del 2021, per quanto riguarda l’uso della mascherina. Più che di un instant book che fotografa l’attualità, si tratta di un libro di carattere già storico, pur trattando di fenomeni recenti che riguardano non solo la società occidentale ma anche quelle asiatiche (vedi i riferimenti alle olimpiadi in Cina, o a svariate manifestazioni socioculturali in Corea del sud). Terracciano, nei primi due capitoli, descrive soprattutto il mondo della moda e dei social in cui, nel periodo di riferimento, si è assistito a un proliferare di tentativi di rendere la mascherina un accessorio fashion. A mio avviso, oggi mi sembra abbastanza tramontata quell’urgenza di “proteggersi con eleganza” (p.57).
La mascherina è stata piuttosto a poco a poco assimilata come una seconda pelle, e abbiamo imparato ad assumere, con e attraverso essa, un “contegno facciale” specifico, quella che Umberto Eco definiva un’autocoscienza epidermica attraverso gli indumenti (Sette anni di desiderio, 1983, p. 263). Questa assimilazione della mascherina al volto non sembra essere stata prodotta però, come auspicava Terracciano scrivendo queste pagine, da un sempre maggiore “stato di comfort ideale”.
Purtroppo le FFP2 e le FFP3 son rimaste scomode come all’inizio della pandemia e la gente sembra essersi semplicemente rassegnata al disagio di indossarle come Indumento Mondo e non come Indumento Moda, per riprendere la celebre distinzione di Roland Barthes. Nel momento in cui sono diventate oggetto abituale della nostra quotidianità, sono state a poco a poco sempre più valorizzate sul versante pratico-critico, legato al discorso della salute, piuttosto che su quello utopico-ludico, legato al discorso della moda (secondo le celebri categorie di Jean-Marie Floch). Questa riduzione al puro valore funzionale della mascherina rimane tuttavia sempre asintotica dal momento che, come dice Gianfranco Marrone, esse rimangono sempre non solo un dispositivo di protezione ma anche “un dispositivo sociosemiotico che media tra le relazioni intersoggettive da cui emergono e si sostanziano varie identità” (in Pezzini e Terracciano, a cura, La moda tra senso e cambiamento, 2020, p. 162).
Bisogna ricordare poi che la mascherina di cui parliamo è uno scudo protettivo e in quanto tale non è stata affatto progettata per mascherare. In questo caso si confondono un po’ le parole e le cose poiché si è creato attorno alla mascherina pandemica uno sciame semantico (riferimenti al teatro, al nascondimento identitario, ecc.) che Bianca Terracciano illustra molto bene ma che vige solo in virtù di una scelta lessicale e non delle caratteristiche intrinseche dell’oggetto che sono complesse: 1) aspetti relazionali, nel senso che la comunicazione fra individui con la mascherina è più difficile e limitata 2) aspetti etici: mascherine egoiste/altruiste, senso di responsabilità, sacrificio, ecc.; 3) aspetti estetici; cfr. gli usi nei social e nello star system, la condensazione sugli occhi degli aspetti cosmetici, ecc.; 4) aspetti passionali: espressione/nascondimento delle passioni, a livello privato ma anche per esempio negli show televisivi.
Una riflessione merita anche il titolo del libro (La mascherina è il messaggio), mutuato dal celeberrimo Il mezzo è il messaggio di Marshall Mc Luhan: la mascherina è un medium? Sì, se per medium si intende qualcosa che rimodula la comunicazione (contesto, condizioni) ma sicuramente no se la si intende come veicolo espressivo poiché, in tal senso, essa è piuttosto un ostacolo, una limitazione. Si può andare a rileggere quello che dice Barthes sulla maschera del teatro Nô, che tanto si avvicina alla maschera neutra di Jacques Lecoq, e che ha la funzione di resettare l’identità per condurre alla messa in scena del personaggio. Ma la neutralizzazione prodotta dalla mascherina anticovid non prepara alcun personaggio, anzi, è una piccola eclissi della semiosi interpersonale.
La parte di Bianca Terracciano è come sempre molto documentata e talvolta divertente come quando, riferendosi al focolaio di Covid in Costa Smeralda nell’estate del 2020, dice: “Un esercito di starlette, tronisti, influencer che abbiamo ritrovato in autunno con l’occhio umido e il sedere ben ancorato nel salotto della patrona Barbara D’Urso, a raccontare la loro odissea con ‘il Corona’ … non Fabrizio, ma il virus.” (p. 51) Insomma, una bella ricognizione del nostro passato prossimo, del come eravamo e, per contrasto, del come siamo, più stanchi ormai che folkloristicamente rielaborativi.
Con un approccio più sociologico, Giovanni Fiorentino, nel terzo e ultimo capitolo, fa un’interessante e dettagliata carrellata di manifestazioni mediatiche (“La composta e ieratica Carolina di Monaco con i capelli grigio-modestia e la mascherina con i colori del Principato, in occasione della festa nazionale”, p. 102) ed elaborazioni artistiche, soprattutto in ambito fotografico, del tema della mascherina. Lo studioso evoca anche, last but not least, la problematica ecologica legata allo smaltimento dell’enorme volume di mascherine usate nel mondo. Il progetto Single Use Ppe Reinforced Asphalt (Supra) ideato dal dipartimento Deim dell’Università della Tuscia, in collaborazione con l’Università di Bergamo, ha vinto un bando del Ministero della transizione Ecologica. Grazie alla scienza, i materiali plastici derivanti dalle mascherine possono diventare bitumi per nuove strade. A nessuno sfuggirà la bella portata simbolica di questa conversione.