Anticipazioni / Voci da “Si nota all’imbrunire” per Silvio Orlando
Lucia Calamaro scrive per la scena con una passione, una carnalità, una profonda levità che la fa considerare da molti la migliore autrice teatrale italiana. Sicuramente è la più imprevedibile, quotidiana, intensa, umorale, figurale, intellettuale, emozionale, destrutturante, costituente, destituente, ricostituente... Scava nei traumi che ci avvolgono tutti i giorni con umorismo acre con allegro dolore con spietata dolcezza, aiutandoci a scrutarci e a riconoscerci meglio. Lucia, che ha collaborato in alcune occasioni con Doppiozero, regala per le feste ai lettori della rivista l’anteprima di una bella parte del nuovo testo che sta scrivendo per Silvio Orlando. Ma questo lo spiega lei, alla fine della nota che segue questa breve premessa.
Ma. Ma.
Si nota all’imbrunire (solitudine da paese spopolato)
(Alcune spiegazioni dell’autrice)
PERSONAGGI:
UN PADRE (solo e isolatosi volontariamente in una casetta di un paese spopolato X)
LA FIGLIA DELUSIONE (fa la sosia-aspirante scrittrice-quasi fallita. In fondo è la preferita)
LA FIGLIA MEDICO, riuscita, specialista in medicina narrativa (anche se strafa/fa tutto bene/ nessuno la nota, ma lei vede tutto, sa, ha le chiavi del racconto e del problema)
IL FIGLIO NATO STANCO, traffichino non identificato, ma furbo, aproblematico.
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ATTO I: IL RITORNO A CASA,
I figli sono arrivati la mattina.
Un fine settimana nella casa di campagna all’inizio del villaggio spopolato dove vive da solo il padre da tre anni. Silvio ha acquisito, nella solitudine, un buon numero di manie, la più grave di tutte: non vuole più camminare. Non si vuole alzare. Vuole stare e vivere seduto. Il più possibile. E da solo.
Si tratta, per i figli che finora non se ne erano preoccupati troppo, di decidere che farne, come occuparsene, casa di cura o meno, badante o meno, turni tra di loro etc.
Emergono conflitti latenti tra fratelli, rese dei conti, mutua delusione, nonostante tutto sono fratelli, come si può, per quel che vale, in generale meno, abbastanza meno di quello che ognuno vorrebbe.
Il padre non sa che i figli vengono per la sua situazione, crede che vengano per la messa dei dieci anni dalla morte della madre. La sua ex moglie aveva chiesto il divorzio ed era fuggita con un argentino dieci anni prima di morire, ma per lui il fatto non sussiste. Nega ogni riferimento al divorzio: per lui sono stati insieme tutta la vita, fino alla fine.
Vivendo da solo, una certa confusione tra desideri e realtà si installa comodamente nella sua testa e senza nessuno che lo smentisca al quotidiano, la vita può essere stata esattamente come uno decide che è stata.
ATTO II LA MESSA DI COMMEMORAZIONE
Chi farà il discorso in chiesa, chi no.
Chi crede.
Chi meno.
Questione angeli da risolvere.
Questo che segue è un estratto di un momento dello spettacolo, ancora tutto da provare, montare, tagliare, rivedere – aggiustare su misura diciamo –, che ha trovato nella figura del padre un interprete per me al tempo insperato e meraviglioso: Silvio Orlando.
Buon anno e buon lavoro.
(Lucia Calamaro)
RIUNIONE DI FAMIGLIA (voci per SI NOTA ALL’IMBRUNIRE)
(Tutte queste voci dovrebbero orientarsi a mano a mano verso il racconto della non-tragedia-sommessa e famigliare, del segreto, del fatto di conoscerla tutti ma nascondersela comunque a vicenda: la profonda struggente e definitiva solitudine di S.)
Riccardo mastica.
J’aime pas du tout, du tout, Barbara
Ti dico sì sì, verso le tre, le quattro, si alzano e spostano i mobili, sistemici, ossessivi… li strusciano perché non ce la fanno a sollevarli, sono vecchi, curvi, ma mica smettono, fossero quelli di sotto, ma sono quelli di sopra, sento tutto… non dormo da settimane, non so se andare a dirglielo, se fare intervenire mia madre, che faccio, tu che faresti, glielo dico, glielo mando a dire, che si fa in questi casi? Lo vedi mi manca quel saper lì, il sapere di circostanza.
È già pronto? Ma io non ho fame, mangiate a voi, Titta prendili tu i miei rigatoni, vai vai, mi sacrifico con piacere, oggi proprio non mi sento…
Non mi parlare dall’altra stanza che è una cosa che odio.
Ça va, ça suffit, tu peut arrêter là? On en peut plus. Soit tu nous dis quel est le problème, soit t’arrête de pleurer immédiatement.
Acqua, ci vuole più acqua. Un terrazzo quello vuole. E sole. Ci batte il sole? Sì? Allora manca l’acqua.
Ti trovo in gran forma, dimagrito… ah… ah… è l’ernia iatale… l’acidità di… il riflusso… ah… ah… mh… mh… no niente, e beh… niente… mh… sì sì… mannò, ma perché ti offendi? e sarà che se non dico niente è che non so che dire no? così all’improvviso, me le butti tutte in faccia e io non so come andare avanti, le intimità degli acciacchi altrui nei convenevoli mi spiazzano, mi fanno sentire solo, altro, privo di stomaco problematico, cerco di ricordarmi un’emicrania, un mal di denti, uno strappo al crociato per darti soddisfazione ma così, al volo, sotto pressione, non mi viene… vieni qua, dai, non te ne andare vieni qua: stiamo zitti, che male c’è… zitti, così, seduti, e annuiamo ogni 3-4 secondi… esatto, così… empatici, ogni tanto ci guardiamo, tu ammicchi, io no, è una cosa che odio, e poi quand’è ora, andiamo a tavola ed è fatta: ottimi rapporti tra fratelli.
Non ci pensavo da mesi, capito… e poi di colpo, così, un groppo.
Io non sto bene, mi prude tutta la pelle della schiena, secondo me è allergia, se fosse psoriasi sarebbe più localizzato il fastidio, no croste no, non credo, vuoi guardare un attimo per cortesia, io non ci arrivo.
Avrei anche io voglia di innamorarmi, ma oramai… e poi non mi impegno più di tanto sai, è una voglia che non assecondo… una voglia svogliata… ogni tanto riciccia… ci penso, mi intristisco… massì, ma triste più di pensiero che di cuore… e poi passa così… con quattro respirazioni… esatto come una posa ashtanga.
Jerome intervieni!
Un maschio e una femmina, ma sono grandi, la piccola quando mi vede ancora corre, il grande dalle elementari non l’ha più fatto. Ho odiato la sua prima elementare: fare tutto di corsa per andarlo a prendere, arrivare sempre sudata, spettinata, col senso di colpa del possibile ritardo schivato e che lui non mi corresse più incontro, che stesse bene lì… un dispiacere… quando non gli ho potuto dare neanche più il bacetto come saluto, sarà stata la terza elementare… un dispiacere… si vergognava, si passava la mano a pulirsi dal bacio… che impressione di rifiuto… non ci volevo credere ma è vero: crescono e non sanno più perché si suppone che ti devono volere bene. Non basta più. A partire da una certa età, il loro bene te lo devi guadagnare.
Mastica Lucia, non inghiottire direttamente, mastica, 33 volte come gli indiani. Lo so e basta.
Tutti i giorni il cortisone ti fa ingrassare per forza.
Cosa vuoi che ti dica, che hai ragione? Sbagli, per me hai torto marcio, auto medicarsi è una fesseria. Vuoi fare come ti pare? Fallo, ma da lì a essere d’accordo… gonfia, sei davvero gonfia – non è grasso… è diverso… sembra che ti abbiano soffiato dentro, la devi smettere.
Io invece no, non ho figli, non li ho voluti, non ho avuto modo… (si commuove) non so, non lo so, si vede che ho sbagliato, quando potevo non li ho voluti… e poi… succede che, che… (si alza di scatto) ma ne dobbiamo parlare proprio adesso? Subito, appena ci siamo seduti? ma non puoi aspettare il caffè per l’interrogatorio?
Maman qu’est-ce qu’on mange ce soir ?
Du cabillaud.
J’aime pas.
Tant pis.
Quando mi dici “bbassa la voce che ti sentono tutti”, mi fai venire una voglia di alzarla… la alzo? Eh? Guarda che la alzo sai? E poi che succede eh? CHE SUCCEDE?
Hai finito l’eredità? E come hai fatto? MassantIddio erano parecchi… non glielo dire a tua zia che ci rimane male, ci ha messo una vita ad accumularli… ma sarai scriteriato… non lo dire a nessuno per carità che mi fai litigare.
Non mangi?
E allora? Sai che mi importa. Mangio io. Mhhh buono. Vuoi un po’? Peggio per te.
Tu as eu Dada? Elle va bien? Ah tu l’as pas eu? Si tu l’a eu, ah il est insupportable chez les grand parents ? Beh il s’ennuie, qui c’est qui dit ça? eux? Mais non? Ah c’est Dada qui l’a dit… Ce petit, ça va pas. Il rentre plus tôt alors? Tu sais pas… tu l’as pas eu aujourd’hui… elle t’as pas appelé. Je vais l’appeler moi peut-être.
Quella faccia con me non la fai, non la porti in giro quando stai in mia compagnia è chiaro? Quella faccia te la puoi permettere solo quando cammini senza di me in una città straniera, quella è la faccia che uno fa quando è sicuro che nessuno lo guarda, nessuno lo conosce, ma qui ti guardano tutti, soprattutto io, quindi cambiala. Ora, adesso, immediatamente. Sì questa è meglio.
Prima mi piaceva tanto pettinare le persone, ci avevo questo rimpianto, di non averne fatto un mestiere, adesso toccare i capelli degli altri, mi fa un po’ impressione
Emilia litigano
Emilia li separi per cortesia
Emilia digli qualcosa
Ma insomma
Emilia
Dai
intervieni!
Possibile che devo sempre separarli io?
Chi vuole le patatine fritte?
Io dico che si rompe, non è la chiave giusta, guarda che se forzi si rompe, fai provare me, ma non è che non mi fido è che… gira? ah no, si è aperta, scusami, sono un po’ ansiosa ultimamente.
Guarda c’è Mario… ma come chi è… tuo cugino, ma come non te lo ricordi, ma sì quello che si è sposato all’estero, con quella alta, come si chiama, quella sempre coi foulard in testa.
Ma compri ancora il giornale? E com’è? Non ci hai internet? Ah ce l’hai… ti piace il giornale allora?... come mai?… che me importa a me? Cioè perché te lo chiedo?… certo, sì, in effetti, che m’importa, è un po’ indefinibile come curiosità perché mi stupisce ma non è che m’interessi tanto la risposta, hai ragione… ah si vedeva, ‘maddai, pensavo non si vedesse, insomma, si usa fare domande per scaldare la conversazione no? Poi però non è che una sta sempre lì a sentire veramente le risposte eh, sennò diventa un po’ troppo impegnativo eh – domande sincere, sentite sì… mh… mh… ma le risposte, è roba personale, roba tua no?… guarda vado un attimo in cucina, tu vuoi qualcosa?
Lavoro, certo che lavoro, nonna, nonna è ovvio che mi pagano… ho trent’anni, mica sedici.
Sono astemia, sempre stata astemia, ma mi tengo un bicchiere di vino in mano, per la compagnia.
Perché ti fai vedere coi bigodini in testa? Perché non le fai prima che arriviamo queste cose? A me vederti che apri la porta coi bigodini, mi avvilisce, non sei uscita da un film di Barbara Loden.
La pasta io la voglio croccante, quante volte lo devo dire, non incollata, sgranata, mi piace che scrocchi sotto i denti, esatto, gli spaghetti dritti, che fai fatica ad arrotolarli, crunchy… no che c’entra il tonno snaky, che c’entra adesso il finger food ma perché se ti dico una cosa mi devi ribattere con una serie di commentucci che generalizzano, che più o meno ci azzeccano a contesto semantico, che mi accontentano… ma dimmi che ho torto no?, scontentami, fammi innervosire come hai sempre fatto… cos’è questa mania che ti ha preso di essere d’accordo per sempre con me, ma che madre sei diventata?… Sono malato? No dimmi, sai qualcosa che io non so? Sto per morire? E allora per favore, fammi la cortesia, litighiamo, facciamo pace, così poi mi sento davvero a casa.
Hai visto? Si è rotta, sei brusco, hai forzato… delicatezza, quello serve, e astuzia, sì anche con le chiavi, con tutto, funziona sempre, tienilo a mente: delicatezza e astuzia.
Ma che te ne importa no? di che t’impicci? Se non do fastidio a nessuno… tamburello quanto mi pare.
Come si fa ad andare avanti così? Come? E spegni quel telefonino che siamo a tavola.
Dentro casa poi… mah, capirei in un supermercato… mah… si vede che sono vecchia, la musica per me, è un’altra cosa…
Cos’è, lavanda?
Mughetto?
Allora gelsomino?
Ma perché non mi devi dire cos’è? Ma sei dispettosa sai? È arrivato pure Satie, e ti pareva… a un certo punto della vita tutti mettono le Gymnopedies… ma perché? Che a me poi piacciono, ma sono anni che non le sento più… c’è un’età per sentirle…
T’as pas vu Stéphane? Elle rentre manger avec nous ou… ?
Pot-pourri musicali ovunque d’estate, il cattivo gusto col caldo è invasivo, da finestra aperta a porta spalancata, dalla casa a qualsiasi negozio, le orecchie subiscono il tormentone dell’estate senza scampo ovunque si riempiono di cose che non volevano ascoltare, ma anche qui? Non possiamo spegnere…
Spento: io li detesto i parenti d’estate, a Natale li sopporto meglio ma d’estate… sì anche i miei figli, siete comunque parenti no?...
Che vuol dire “a me diverte” – che espressione è? Che vuoi dire esattamente quando la usi? In che consiste questo sapersi divertire che a me manca, come lo misuri? In risate? In alcool? In balletti?
Non lo so mica da quant’è che non mi faccio una vacanza come si deve
forse perché non ho mai capito quale fosse la vacanza giusta per me
faccio quelle che fanno tutti, che altri organizzano per me
mi obbligo a sentirmi privilegiata, viaggio, vedo paesaggi, sento altre voci che non capisco
ma quanto mi annoio? Eh?
Quanto ne farei a meno?
Non si può. La vacanza è sacra. Va fatta: Soprattutto va raccontata in anticipo e al rientro.
Senza le vacanze, di cosa parleremmo a tavola? Dei libri letti: pare brutto, nessuno li ha letti, a parte me.
Rimarrebbe solo la qualità dei cibi.
Del vino.
Dio che noia la vita sociale.
Perché sì… e comunque il perché e il percome non ti riguardano.
Il était comment ce restò? Bien? Qu’est-ce que vous avez mangé? Cher?
Vous étiez combien? Il est où déjà? C’était bon? Pourquoi vous n’allez plutôt dans celui dans l’autre petite rue, vers la place, mais si, juste à côté… c’est des lyonnais ? Ah bon, je pensais que c’étaient des lyonnais… tout se «boboise » avec les parisiens maintenant… combien? Ah mais c’est très très cher.
Si è messo a piovere pure oggi pomeriggio
sai quelle giornate che cominciano col sole e finiscono con la pioggia
sì, mi urtano
non puoi prevedere che ci vorrà l’ombrello
e nessuno con una sensibilità normale ama portarsi addosso un ombrello se esce col sole
è un oggetto che tutti detestiamo
chi ama gli ombrelli nel mondo? Gli inglesi?
Ma quelli mangiano carne e marmellata non fanno testo.
L’ombrello anche se necessario è sempre fastidioso da gestire.
È grosso, è umido.
Dovrebbe entrare in una tasca.
Si potrebbero inventare qualcosa di più maneggiabile.
Con un’auto asciugante automatico quando lo chiudi e lo metti in tasca.
Ma come chi?
Gli inventori no?
Non sto strillando, è che ci ho la voce grossa, sono assertiva e appena mi infervoro sembra che litigo.
Moi j’adore Noël, j’ai toujours adoré Noël.
Non è mughetto, non è lavanda… gardenia?
Fammi un caffè per favore, ci ho un sonno con questa cappa.
Non so mica se faccio bene a dirtelo… vabbè dai, oramai sei grande, te lo dico ma non dirlo a nessuno.
Apriteee, chi apre? Hanno suonato, qualcuno vada ad aprire.
Il est où Marco?
Che ci hai? Perché guardi fisso un punto giusto dietro la mia spalla destra e mastichi senza dire una parola, che ci hai, a che pensi e non mi dire niente, sono 7 minuti che fai cosi, mi eviti, li ho contati sì, sembri sotto psicofarmaci se non fosse che non sbavi, lo sento che i tuoi occhi mi evitano, ti do fastidio? Vuoi fissare meglio il punto? Mi vado a sedere a capotavola.
Sì, oggi preferisco tua madre a te, e ho detto tutto.
– Considerando l’età che ci ha, se la cava bene.
– Guarda che ti sento.
– Eh, vabbè ti stavo facendo un complimento.
– Non lo so se è cosi, se ti credo… c’era quel tono un po’ pietistico: è sola, quasi cinquant’anni, non ha un lavoro fisso, velleità artistiche…
– Ma se ho detto che te la cavi bene.
– Appunto, proprio perché hai detto che me la cavo, cavarsela è molto diverso da farcela.
Sei nervosa per mamma?
No
Per te?
No
E allora perché stai cosi?
E che ne so, mi urta tutto, ci ho i nervi, e quelli sono generici, se sapessi il perché, mi tranquillizzerei, è come se qualcuno mi strisciasse la pelle nuda, bagnata, su quelle pareti di crépis–pizzeria anni 70, avanti e indietro, tutto il giorno… rende?
Un male.
Ecco.
E adesso sopportami.
Il y avait les Badouins, les Vittels, le frère d’Henriette avec sa nouvelle femme, adorable, une anglaise très solaire, étonnante cette fille, lui il est moche mais très gentil, courtois… tu vois qui c’est? avec la Porsche bleu cabriolet, voilà, exactement, et puis Joëlle et son mari, vilain, ah lui qu’est-ce qu’il est vilain… enfin tout le monde, c’était très sympa, non j’ai pas trop bu, deux verres de champagne… allez: trois…
Più su, no più giù, a destra, ecco sotto le scapole, lì lì, forte… ahhh, grazie, io lì dietro da solo non ci arrivo. È una tortura. La senti l’afa? Io sento solo quella, in basso a destra, ecco, più a destra lì, lì non ti muovere, ahh, che sollievo, che afa…
Elle où Stephane?
Appena non c’è qualcuno a tavola, mi manca, si sente che manca, siamo solo quattro, è un quarto di casa che manca, è tanto no?
Ti comporti come un, come un… eddai che non mi viene la parola, che hai capito lo stesso…
Basta che non ti metti a piangere però… vai a lavarti la faccia su…
Mi fa un po’ impressione, copriti per cortesia.
Io voglio bene a tutti, ma non so perché.
– “Al lavoro? Tutto a posto?” È una frase che non voglio più sentirmi dire
mai più, chiedimi come sto piuttosto.
– Ma che vuol dire chiedimi come sto? È sottinteso no?
– Ma le chiavi non ce l’hai? E allora perché ti attacchi al citofono, usale no? ah, ti piace che ti aprano, ti senti meno solo, vuol dire che a casa c’è qualcuno che ti aspetta… vabbè vabbè…
Prima il polpettone mi piaceva, adesso mi fa impressione, non sai mai che ci mettono.
Te stai zitto che fino a domani non ti voglio neanche sentire respirare, oggi mi hai così stancata che vorrei arrivasse di botto domani.
Bello no? me l’hanno regalato, e se non me lo mettevo oggi, quando me lo metto?
Quando se le può mettere uno le cose belle che uno si compra per le occasioni, chi decide quando l’occasione è veramente tale, ed è giusta per questo o quell’altro abito? Prima certe cose si sapevano, c’erano dei codici, delle regole, zie, nonne, cugine… tutte a consigliare: prima delle dodici il corto, tra l’una e le sei il mezzo lungo, solo la sera il lungo… quando vai alla Fenice… ma adesso… se uno non va all’Opera, un vestito lungo non se lo può più mettere… è un peccato.
Non lo so che ci ho. Dev’essere la perturbazione, quando piove poi mi passa lo sai.
Non ti devi permettere di parlarmi cosi,
sono tua madre capito? non sono un’amica tua,
noi non siamo alla pari, e non le voglio sentire certe parole quando ti rivolgi a me, è chiaro?
No dico: è chiaro? Un rotondo e comprensibile “Sì mamma è chiaro” sarebbe il benvenuto.
Sto aspettando. Ecco, bravo: era difficile? È stato faticoso? E allora perché devo urlare per ottenerlo eh? Perché?
Apri tu?
Perché state tutti zitti? Vabbè, vado io, non mi rubare la poltrona.
Tu as tort. Pour une fois, exceptionnellement tu aurais pu venir: un cocktail, c’est pas la mort.
C’è scirocco, non hai caldo, io sto sudando, senti, sudo, ma non lì, qui, senti qui, sudo troppo, ho tutto il labbro sudato,
secondo me ho una malattia alle ghiandole
Prima non si sarebbe mai azzardato a rispondermi così, oggi se mi risponde, è per rispondere male… ma che gli ho fatto? Quand’è che un figlio comincia ad avercela con te? Di cosa me ne vuole poi? E durerà per sempre? Oramai sarò solo voluta male, mai più bene, lo so, lo sento. Io ci azzecco sempre, non lo so come faccio, è a sensazione. Ma perché nessuno te le dice queste cose?
– Io esco ciao, apritemi che non ci ho le chiavi.
Ma chi ce le ha? Chi li prende tutti i mazzi?
Ho fatto tre copie questo mese, due il mese scorso… io non capisco… com’è che spariscono tutti i mazzi, non capisco se è un dispetto, o solo distrazione, che poi è esistenzialmente l’atteggiamento più dispettoso nei confronti degli altri.
Perché usi questo bagno che è di servizio? Usa quello degli ospiti che c’è l’asciugamano pulito.
Tu ignoralo e se insiste, denuncialo, non ti fare scrupoli, è un delinquente, un mascalzone.
I tuoi invece come stanno che non li vedo da tanto? Ah, mi dispiace, non lo sapevo, anche papà?
Mi dispiace… è che ci sentiamo così poco, e uno per forza si perde i morti, cioè i pezzi, insomma hai capito… dovremmo sentirci di più, lo diciamo sempre e poi non lo facciamo. Perché? Cosa costerebbe? Niente. È l’abitudine al silenzio che ci frega, vieni siediti vicino a me a tavola, approfittiamo almeno di oggi.
Figlio di un cardinale non lo dice più nessuno, solo io.
Mamma mi è cascato il dente… Quanto dici che vale?
Non si muore più, non si muore mica più… tutti che arrivano a 90 anni, ma chi glielo fa fare?
C’est génial, c’est absolument génial
Non basta, no, non basta urlare che non sei d’accordo, spiega perché, argomenta, usa la zucca.
Scusa, ti ho fatto male? Scusa non l’ho fatto apposta… sì lo so che ti ho fatto male lo stesso e che il fatto che non sia stato intenzionale non aiuta a far diminuire il dolore ma cosa dovrei fare?
Cosa vorresti che facessi per dimostrati il mio dispiacere?
Farmi da solo la stessa cosa? Ma sei matto? Come faccio a calpestarmi da solo la mano con la scarpa?
Non ci vado più alle mostre, non voglio più sentire parlare di quadri, le audio-guide sono il diavolo, prima i quadri erano silenziosi, adesso non li guardi più, li ascolti, praticamente si sfogano, pure loro, come tutti. Ennò. Basta, Zitti.
Mamma, tra un’ora io esco, sì, mi passano a prendere, no, non li conosci, sì sto attento, in giro te l’ho già detto, ma che c’hai da un po’ che bisogna ripeterti tutto come minimo due volte? In-gi-ro: No: Con l’autobus. Sì lo so, alle 6 massimo. Ciao. Ho detto Cia-o.
Sorda, è sorda.
Guarda che ti sento.
Hai bisogno?
Oggi tu poco sfottò eh? che proprio non è aria.
– “Ti ho portato un pensiero, è una sciocchezza, ma mi faceva piacere, l’ho fatto io, spero ti stia”.
– Come fa a starmi bene un pensiero tuo? È tuo: e poi io già ci ho i miei, e siccome sono elegante, mica te li accollo.
– Da quant’è che ragioni solo al primo livello?
– Ma avevi detto di sì, perché adesso è no?
– Perché prima era sì e adesso è no?
Quindi niente computer oggi, così impari
– Imparo cosa? Che dici le bugie?
–No, che dentro casa ancora comando io.
Quant’è diventata fanatica quella, da grande va sorvegliata.
“Sei antico, sei antidiluviano, sei preistorico” e basta un po’, vabbè, son vecchio, ma voglio vedere te all’età mia, e comunque all’età tua, io ero bellissimo capito? Bellissimo, non te lo dimenticare.
Che mi dai otto euro?
Che ci vediamo a fare, tanto non ci capiamo, neanche ci stiamo a sentire, tutti si parlano sopra,
io le riunioni di famiglia mi sa che non le reggo più, almeno prima c’erano tanti bambini adesso vecchi e falliti, sì guardati bene, che hai mai concluso in vita tua, no che non ritiro, falliti ho detto.
Si azzardassero: guarda, se pure quest’anno tirano furori “la tombola con i fagioli” faccio una strage.
Perché tu ti infastidisci subito, allora uno le cose non te le dice più.
Come ti pare no, come ti pare non me lo merito.
Se mi tiri i capelli glielo dico a mamma.
Tocca a te, ieri ho preparato io, oggi è il tuo turno. Chi l’ha detto? Non lo so, a scuola dicono così.
Ma sei tu che li metti in difficoltà, li imbarazzi e allora loro ti aggrediscono.
Com’è il numero?
Volevo fargli una sorpresa, non la volevo spaventare, scusa
Giochiamo a tombola?
No.
Ma sì, quel tale che vendeva il vino sfuso e il prosciutto, quello sempre col coltellaccio in tasca, un’impressione…
Sbatti, guarda che così sbatti! Ma perché correte? Perché i bambini corrono sempre nei salotti degli zii? Perché non corrono prima, a casa loro, così qui mi arrivano stanchi e si siedono, Maria intervieni no?
Fame no, ma un po’ d’appetito forse… qua e là… come un languore… dimesso… sottovoce… che brontola…
Non bisogna aprire i cassetti degli altri, non si fa, è maleducazione, no neanche il frigo siediti e zitta.
Tocca a me, dammelo.
Perché dieci? Te ne do otto. E fatteli bastare.
Ecchessaramai! Eppoi non ho bestemmiato, mi sono fermata prima, l’ho pensata certo, ma non l’ho detta. Come che vale uguale? Chi l’ha deciso?
Ti va un dolcetto?
No.
Sei sgarbato. Si dice no grazie, capito. NO GRAZIE: (pausa) è difficile?
Gabi va chercher le sel.
Le istituzioni… e chi se le ricorda più.
Perché quelle di Gesù sono stigmate e non sono ferite?
Guarda che “che amarezza” non lo dice più nessuno…
E allora?
Niente, te lo facevo notare.
E perché?
Ma niente, così, l’ho notato e te l’ho fatto notare… senza secondi fini.
Bugiardo.
E basta coll’allegria dell’estate, col mare, con le vacanze, basta un po’! Ma non ci si può semplicemente privare, sforzarsi, concentrare, produrre? Bisogna per forza divertirsi d’estate? E basta pure con ‘sto strazio del divertirsi. Io non mi diverto va bene? VA BENE?
Hai torto, ma preferisci farmi schiattare ad ammetterlo.
Non si può mai convincere nessuno. Ma com’è?
Nonna, ma in che senso va fatto il rosario… dici che è uguale sia se parto da destra che da sinistra?
E tu diglielo, sai a me che me ne importa.
Poverina, non sai quanto c’è rimasta male, e adesso soffrono tutti e due.
Zitto e mosca a me non me lo dici capito.
Perché tutti otto? Perché non ci dai tutti nove.
MONOLOGO DI SILVIO
Silvio sviluppa una soggettiva di IO SILENTE E ORIZZONTALE (UN PENSIONATO; VEDOVO; UN UOMO SOLO DI UNA CERTA ETÀ),
zitto e pesante
una logorrea mentale dichiarata a se stesso
che non interpella nessuno
che non taglia il silenzio sebbene suoni
pensiero pensato e detto ma non a qualcuno, quindi come non detto
imploso
autogestito e mal risolto
solo lui
sempre stremato
si allunga, si stira
la sindrome del gatto
dalla sdraio, dal terrazzo, dalla piscina, non ho ancora capito… consideriamo che faccio parte di quell’umanità lì, Pascal, Proust, Onetti, Bukowski… che ha preferito smettere di camminare e sdraiarsi.
Gente che si alzava poco, il meno possibile, il più tardi possibile, per fare molto poco, per vedere quasi nessuno, senza soffrirne.
Forse questo rapporto col letto ha a che vedere con l’orizzontalità del lettino di Freud (orizzontalità come facilitatore, tramite fisico verso l’inconscio…).
Per fortuna c’è la passeggiata
(Silvio copre di strati di vestiti, esagerati ma non esageratissimi, come quei signori âgés ben vestiti da pieno inverno, completo, gilet matelassé da caccia, sciarpa, cappotto e questo i primi soli di aprile. Insomma è come stemperato.)
Strategia.
Qui ci vuole metodo,
non mi posso permettere di cedere agli impulsi
che poi mi rovinano.
Perché se passo sul lungomare
ci sono tutti
mi tocca salutare ogni tre
chiedere
informarmi
e vista l’età media degli interlocutori.
La progenie ha già sfornato eredi di cui non so e non voglio sapere nulla e di cui, anche considerato il mio minimo interesse, simulato ma ben fatto, mi si dirà i dettagli con slancio e adesione fino all’ultimo nato…
O l’ultimo morto.
Che anche quello,
ultimamente è diventato un fatto ricorrente.
Ne sono morti più che ne sono nati nell’ultima passeggiata sul lungomare
giovedì scorso
capita
è stato tremendo come giovedì
sfiancante
è la parola
una giornataccia con tutti i… come fa l’espressione? tutti… i…
Non importa, poi mi viene
non me lo posso permettere
un altro giovedì così mi sfascia…
Che poi a me i vecchi non mi stanno simpatici
non mi ci identifico mica
io mica ci ho l’età loro
magari ce l’avrò, prima o poi,
e se ce l’ho
è un errore,
mica mio, di tutti
un errore comune e neanche mezzo gaudio
non mi è venuto bene
il calembour
non importa
io dentro mi sento un ragazzino
invece quelli
i vecchi rassegnati alla vecchiaia
ci hanno proprio la loro età
e sono insopportabili
bisogna starli a sentire
hanno sempre da raccontare di malattie,
“quella volta e quell’altra volta”
e anch’io ho avuto un ictus… ma poi ho ripreso…
e la trombosi,
il trombo come orizzonte…
io ne parlo il meno possibile
e anche a me il cuore fa cilecca ma resisto, e non lo dico
uno già sta male
poi se lo racconta pure
non se ne esce.
Pensano sempre alla morte,
“speriamo che nel sonno, io speriamo che mangiando… io magari fosse trombando”
ma fatemi la cortesia, trovate un modo, uno qualunque
e morite
amen.
Pare brutto vero
dovrei mentire
ma chi me lo fare?
E poi non mi viene.
Mentire o è una cosa che ti viene naturale
sforzartici è imbarazzante: se ne accorgono subito tutti…
no, non mi piacciono gli anziani
ammetto
ma neanche i giovani quando ero giovane mi piacevano, non mi sentivo giovane nello stesso modo in cui si sentivano loro, anzi
non mi sentivo proprio
ero e basta,
giovane si è
e quando si è
inutile sentircisi
ti ci senti da vecchio
come me adesso, certo
tutte fesserie
nessuna categoria dell’umano mi ha mai affascinato
né i politici, né gli intellettuali, né i guerrieri, neanche gli ingegneri, non fino in fondo, non del tutto
anche se gli ingegneri un po’ di più
è una categoria dell’umanità molto particolare…
gente che fa ponti capisci?
Pensaci, vedrai che se ci rifletti, non mi dai torto…
Guarda che è particolare, come impresa, il ponte… c’è del magico…
beh
mi piacerebbe dire come categoria solo le femmine,
ma a volte me lo chiedo,
sarà stato un volere
questo averne avute così tante
o un caso,
che ho assecondato per pigrizia
perché mi faceva più fatica negarmi che sedurle?
Allora vado… mi sono messo addosso troppo roba
Non fa poi così freddo.
(Si rispoglia.)
Certo però che se passo da dentro, dalla pineta
è umido.
(Traccheggia.)
Non so che mettermi….
A quest’ora in pineta non incontro nessuno
e allora senza il minimo scambio
senza due parole, un paio di mani che si alzano perché sanno chi sei
la passeggiata alla fine si fa lunga.
Da soli
in generale tutto si fa lungo
più lungo non so
ci sono certe compagnie
che hanno questa stessa qualità: protraggono… fino allo stremo…
mi devo anche sbrigare sennò poi stasera arriva Riccardo e non ci sono.
C’è da dire che a stasera mancano ben otto ore, è ancora mezzogiorno…
otto è tanto
preferisco quando ne mancano solo due o tre alla sera
mi sembra molto più ragionevole
otto è assurdo,
non si possono riempire, non si possono passare, né si può aspettare per otto ore
per otto ore non so neanche bene che verbo bisognerebbe usare
nessuno ti dice “allora ci vediamo tra otto…” stasera, si dice direttamente ci vediamo stasera
io invece ho questo fissazione di conteggiare il tempo a ore
e chiaramente non aiuta… ma allunga
e otto ore è una cosa che si avvicina tremendamente all’eternità.
(Fa bim bum bam, tra sé, mano destra mano sinistra.)
Pineta va,
che oggi proprio non sono in vena di convenevoli.
Lucia Calamaro, drammaturga, regista e attrice, è nata a Roma. A tredici anni si trasferisce a Montevideo, seguendo il padre diplomatico. Laureata in Arte e estetica alla Sorbona di Parigi, oltre all’insegnamento presso l’Universidad Catolica de Montevideo, ha preso parte come attrice e regista a molti spettacoli nella stessa città, e poi a Parigi e a Roma, dove ha collaborato con molte strutture: il Centro Sociale Villaggio Globale, il rialto santambrogio, il teatro Furio Camillo.
Fonda l’associazione Malebolge nel 2003 e attraverso di essa dà corpo alla propria scrittura scenica, allestendo i seguenti spettacoli: nel 2003 Medea, tracce, di Euripide (adattamento e regia di Lucia Calamaro) e Woyzeck (adattamento e regia di Lucia Calamaro); Guerra (scritto e diretto da Lucia Calamaro) nel 2004; Cattivi maestri (scritto e diretto da Lucia Calamaro) 2005; Tumore, uno spettacolo desolato (scritto e diretto da Lucia Calamaro) nel 2006; Magick, autobiografia della vergogna (scritto e diretto da Lucia Calamaro ) nell’ambito del progetto “giovani talenti”, Teatro India 2008. Nel 2011 ha iniziato un particolare percorso di scrittura e di produzione che l’ha portata a realizzare lo spettacolo L’origine del mondo, ritratto di un interno con cui ha vinto il premio Ubu per il nuovo testo italiano o ricerca drammaturgica. Per lo stesso spettacolo Daria Deflorian ha vinto il Premio Ubu come miglior attrice protagonista e Federica Santoro come miglior attrice non protagonista (ex aequo). Nel 2014 ha debuttato a Roma, al Teatro India, Diario del tempo, l’epopea quotidiana. Nel settembre 2016 ha debuttato a Terni lo spettacolo La vita ferma: sguardi sul dolore del ricordo, ora in tournée italiana dopo Rio de Janeiro e Parigi. Il prossimo spettacolo, attualmente in creazione, Si nota all' imbrunire – solitudine da paese spopolato, scritto per Silvio Orlando, debutterà al Festival di Napoli.
Nel 2012 la casa editrice Editoria&Spettacolo ha pubblicato un volume sul suo teatro Il ritorno della madre – il teatro di Lucia Calamaro a cura di Renato Palazzi. Actes Sud ha pubblicato in Francia nel 2017 La vie suspendue suivi de L’origine du monde. Einaudi pubblicherà La vita ferma e L’origine del mondo all’inizio del 2018.