Contagio / Eroi della democrazia
«Sventurata la terra che non ha eroi», fa esclamare Bertolt Brecht in Vita di Galileo, del 1938, al giovane discepolo Andrea Sarti, deluso dall'abiura del maestro. No, lo contraddice poco dopo Galileo stesso, appena rientrato, stremato, dal processo. «No. Sventurata la terra che ha bisogno di eroi».
Verità scientifica e democrazia
Fino all'ultimo il giovane aveva sperato che il maestro si opponesse all'inquisizione sostenendo la verità anche a rischio della vita, e ora Galileo ribatte che la parte dell'eroe è lungi da lui, non lo interessa. Soltanto anni dopo l'allievo verrà a sapere che il maestro si era ritirato per completare il manoscritto dei Discorsi in cui esponeva i fondamenti della nuova fisica, pronta ad affermarsi – Galileo ne era certo – sia che si fosse comportato da eroe sia che si fosse inchinato davanti al Tribunale ecclesiastico. Come dire che la verità scientifica per affermarsi non ha bisogno di eroi, né ne ha bisogno la democrazia. Così pensava Brecht stesso e lo penserà Hannah Arendt, confermando da una parte la validità galileiana della legge fisica «oltre i limiti dell'esistenza sensibile umana... oltre la nascita della vita organica e della terra stessa» (Vita activa, VI, 36) e dall'altra l'idea che l'eroe della storia umana sia semplicemente l'homo faber, l'uomo che agisce. Lo sosterranno poi Habermas e con lui molti altri, se si può dire – parafrasando Rawls – che la democrazia è la prima virtù delle istituzioni sociali, così come la verità lo è dei sistemi di pensiero.
Rispetto al commento al passo brechtiano non è d'accordo invece Dieter Thomä, l'autore di uno studio sul bisogno di eroi della democrazia (Dieter Thomä, Warum Demokratien Helden brauchen [Perché le democrazie hanno bisogno di eroi], Berlin, Ullstein 2019, pp. 275) Dieter Thomä è acuto pensatore e autore di uno dei più raffinati e originali saggi di filosofia politica degli ultimi tempi: Puer robustus. Il puer robustus è una figura della soglia portata sulla scena da Hobbes e adottata da altri autori, che si presenta con tratti oscillanti tra l'eroe che innova e salva e il disturbatore che cancella e distrugge, il terrorista alla fine. Poco di quella problematica ritorna però nel presente saggio e ciò dispiace.
Eroi venuti da lontano
Concordava da parte sua con l'idea che la democrazia non abbia bisogno di eroi, tanto meno di eroi venuti dall'esterno a salvare qualche situazione, lo scrittore svizzero Friedrich Dürrenmatt in un dramma radiofonico del 1962, Eracle e le stalle di Augia. La conclusione dell'apologo in cui l'eroe per antonomasia, Eracle, viene chiamato dal sovrano dell'Elide, Augia, a ripulire le stalle del palazzo invaso dai liquami, è infatti che la pulizia del proprio paese non spetta agli eroi ma ai normali cittadini; la democrazia è una forma di governo senza eroi, è il compito delle donne e degli uomini ragionevoli che fanno cose ordinarie, e qualche volta straordinarie, su base costante e ripetitiva, regolare e continua come fare le pulizie di casa. La conclusione di Dürrenmatt è analoga a quella di Brecht: l'eroe è la scienza, è il demos, non sono né Galileo né Eracle.
Vittime ed eroi
Riesce Thomä a convincere del contrario e con quali argomenti? L'impressione è che lo sforzo tassonomico del lavoro superi in ampiezza l'approfondimento teorico: viene sviluppata una accurata tipologia dell'eroe e degli eroismi, il loro rapporto con il gender (le quasi inesistenti eroine) ma soprattutto con l'eguaglianza democratica, che cancellando i dislivelli delle società di Ancien Régime pare entrare in contraddizione con la posizione elevata dell'eroe. Quest'ultimo è comunque spogliato dei tratti virili e marziali di una certa propaganda e rivestito di nuove virtù del genere altruismo, ampiezza di vedute, resilienza, sì, ma non abbastanza affinché si delinei con chiarezza una tipologia di eroe democratico sostenuta da esempi. Più convincente è a mio avviso la parte di critica dedicata al fenomeno, spesso promosso dai media, in virtù del quale il posto dell'eroe viene usurpato da quello della vittima. Questo perché la vittima è l'esatto contrario dell'eroe: la vittima è passiva, l'eroe attivo; l'eroe fa, la vittima soffre. La doverosa commiserazione della vittima e l'impegno impiegato per aiutarla non dovrebbe trasformarsi nell'inversione dei rapporti, nell'autoincensamento e nella messa in scena in cui l'essere vittima è rappresentato come virtù o gesto di eroismo. Eroici non sono i patimenti ma le azioni intraprese per scongiurarli, afferma Thomä, e porta il caso di una eroina dei nostri giorni Malala Yousafzai, che subisce un feroce attentato da parte dei Talebani per l'impegno profuso da lei, poco più che bambina, nell'educazione delle bambine in Pakistan. Neanche questo però è un caso di eroismo democratico.
Eroi reali e eroi letterari
L'eroe sembra insomma davvero caratteristico di situazioni carenti di libertà e diritti; lo sono almeno gli eroi nazionali, quelli provenienti dalla storia ma assorbiti dalla leggenda, o gli eroi di origine direttamente letteraria di cui si è occupato Stefano Jossa nel suo volume Un paese senza eroi. L'Italia da Jacopo Ortis a Montalbano, Roma-Bari, Laterza, 2013. Dopo un'analisi a tutto tondo dei personaggi della letteratura italiana tra Ottocento e Novecento che avrebbero potuto diventare eroi ma non lo diventarono, Jossa si domanda quali siano i motivi di questo mancato ingresso nell'Olimpo. E la risposta, alquanto convincente, è che tali personaggi non funzionarono da eroi perché troppo complessi, ambigui, contraddittori, umorali. Non ce n'è uno che presenti i tratti dell'eroe puro, imbalsamato e lobotomizzato nella sua perfezione quale Robin Hood, Guglielmo Tell o d'Artagnan, magari nella versione fumetto o cartone animato, se non figuretta di Lego o Playmobil. I postulanti alla carica di eroe della letteratura italiana degli ultimi due secoli insomma, Jacopo Ortis, Ferruccio Maramaldo o Carlino Altoviti, come pure Pinocchio o Gian Burrasca, per non parlare del Principe di Salina, di Metello o di Salvo Montalbano, sono – nel bene e nel male – troppo umani e troppo poco eroici, troppo individualisti e troppo reali: manca loro idealismo, astrazione e neutralità.
Eroi democratici
Gli eroi democratici di cui Thomä sottolinea l'esigenza sono tutti storici, reali e incarnati e devono vivere in contesti democratici più o meno funzionanti. La sua richiesta è più esigente e circostanziata nei tempi di quella di Jossa, che pure si chiede, nell'epilogo, se di eroi abbiamo bisogno. Thomä si chiede, specificamente, se la democrazia abbia bisogno di eroi, e risponde in maniera affermativa. Più scettico, Jossa afferma, nelle sue tesi iniziali, che gli eroi non fanno bene alla politica. Insomma eroe (eroina, ma suona così male, così sdolcinato!) della democrazia potrebbe essere definita Greta Thunberg, che alla testa di un movimento ambientalista interviene contro i potenti della terra, indifferenti, sarcastici, arroganti, in paesi democratici di diritto ma dove la democrazia traballante potrebbe ricavare nuova linfa da un cambiamento nei confronti dell'ambiente. O si potrebbe concedere l'appellativo di eroe a persone abbastanza coraggiose per parlare e rivelare informazioni essenziali, se eroe è Edward Snowden.
Forse, al di là dell'eroismo che temo non ci competa più, basterebbe un po' di coraggio civile per esempio per ostacolare l'ascesa di populisti e autocrati emergenti. Ma se compito degli eroi è (sostiene Thomä) rinsaldare o sviluppare l'ordine democratico pericolante, smuovere l'immobilismo e determinare la trasformazione storica con fantasia sociale e immaginazione politica (e qui l'eroe viene a coincidere con il disturbatore della pace); o se gli eroi (sostiene Jossa) rappresentano modelli etici «capaci di confronto e dialogo anziché di adorazione acritica e passiva» ben vengano anch'essi.
Questo testo è la versione più estesa di un articolo pubblicato su “Il sole 24ore”, che ringraziamo.