Germania esoterica
Tra gli stereotipi più tenaci della storiografia filosofica impartita nelle aule scolastiche figura l’identificazione del Settecento con il “secolo dei lumi”, vale a dire con il trionfo della razionalità come misura del mondo e come strumento del sapere.
Eppure è ormai ampiamente acquisita l’immagine di una complessa età di transizione che fu inaugurata dallo straordinario sforzo di sistemazione scientifica della fisica newtoniana a cui tuttavia si sono contrapposte immagini del sapere di segno radicalmente diverso.
Tra le dicotomie più evidenti di questo secolo, che si chiude con lo spettacolare regicidio di Luigi XVI sul patibolo parigino voluto dai rivoluzionari dell’89, c’è la presa d’atto che se la natura e il cosmo sono macchine perfette che seguono leggi eterne di funzionamento, la realtà della condizione psichica dell’uomo è la dissociazione tra mente e natura. L’antropologia, la scienza che nel Settecento ha come obiettivo lo studio della relazione tra mente e corpo, è stata l’osservatorio privilegiato da cui tale contraddizione è stata osservata.
D’altra parte chi, come Isaiah Berlin, ha studiato le “radici del Romanticismo”, come recita il titolo del libro tratto dalle sue A.W. Mellon Lectures (vedi recensione qui), ha dimostrato come l’anti-illuminismo abbia svolto un ruolo cruciale non solo nella dinamica delle teorie della conoscenza e in quelle politiche del secolo XVIII, ma anche e soprattutto nel determinare la grande svolta cognitiva di fine secolo e di lì in avanti i tratti costitutivi della Modernità.
La natura aporetica del secolo dei lumi ha conosciuto una declinazione del tutto peculiare nella costellazione filosofica tedesca, dove accanto agli sforzi di dare un fondamento scientifico allo studio della natura e all’analisi delle passioni umane si è manifestata una curiositas verso l’ignoto, lo strano e il soprannaturale che aveva origini remote.
Da un lato dunque la scienza positiva, la fisica newtoniana e l’acribia tassonomica degli eredi di Linneo, dall’altra l’attrazione per l’occulto, per la complessa genealogia delle tradizioni ermetiche, per l’esplorazione delle pratiche esoteriche. Fenomeni questi ultimi che apparivano in palese contrasto con gli sforzi della ragione analitica ma che spesso convivevano con quest’ultima sulle pagine delle riviste di antropologia – come ad esempio in quella miniera di narrazioni e di rappresentazioni del teatro dell’interiorità umana che è stata il Magazin zur Erfahrungsseelenkunde (1783-1793), la rivista di psicologia sperimentale fondata e diretta da Karl Philipp Moritz e da Carl Friedrich Pockels a cui si aggiunse negli ultimi anni il filosofo ebreo di matrice kantiana Salomon Maimon. Basterebbe questo organo di un sapere che intendeva fornire chiavi di lettura ‘scientifica’ dei comportamenti umani ma nasceva dalle esperienze della vita quotidiana, per così dire ‘dal basso’, a spiegare l’intreccio di razionalità e dimensione occulta.
Il Magazin fu inaugurato con un appello dei direttori ai futuri lettori di fornire testimonianze in forma narrativa di fatti insoliti e apparentemente inspiegabili occorsi nelle loro esistenze accanto a resoconti di patologie del corpo e dell’anima più inquadrabili in uno schema di cause ed effetti. E i lettori risposero con generose offerte di fatti i più disparati, spesso in bilico tra verosimiglianza e meraviglia, tra possibile e impossibile, tra governo della coscienza ed esplosione dell’inconscio.
Ora, questo intreccio tra possibilità e inverosimiglianza non era la spia di una mancata emancipazione dalle tenebre dell’irragionevole, ma una sorta di trama continua che ha attraversato anche le menti più lucide del secolo.
Ce ne dà una ricostruzione puntuale, e di grande fascino, il libro di Marino Freschi dal titolo sobriamente e felicemente referenziale L’esoterismo nella letteratura tedesca. Da Goethe a Jünger.
Fa impressione vedere sfilare nella sequenza dei capitoli del libro le figure somme della letteratura tedesca, a partire dal Settecento di Lessing, passando attraverso Goethe e i romantici Novalis e Hoffmann, fino al Novecento di Thomas Mann, di Rilke, di Jünger, tutte tentate, sia pure in modi differenti, dall’esplorazione dell’occulto e dalle pratiche di magia.
E non si tratta di episodi marginali o di derive secondarie di personalità artistiche altrimenti dedite alla rappresentazione mitopoietica del mondo, ma di una tensione costante verso l’irrazionale nelle sue vesti più disparate e in stretto collegamento con le tradizioni di pensiero dedite alla coltivazione dei saperi iniziatici.
Dalle pagine di Freschi emergono le filiazioni e combinazioni più sorprendenti: le logge massoniche e le loro ascendenze simboliche dagli antichi egizi, le sette misteriche, i saperi alchemici, le fonti del misticismo occidentale a partire dal neoplatonismo passando attraverso le diramazioni medievali fino a Jakob Böhme, per arrivare ai due movimenti che trovarono un terreno particolarmente fertile in Germania e che tanta parte hanno avuto nel forgiare il profilo intellettuale dell’intellighenzia tedesca del Settecento: il quietismo e soprattutto il pietismo.
Già Berlin aveva sottolineato come una delle figure in cui i romantici tedeschi riconoscevano il “vero luogo d’origine” del loro pensiero fosse Johann Georg Hamann (1730-1788), il filosofo del linguaggio che ne asseriva l’origine divina richiamandosi al celebre passo giovanneo “in principio erat verbum” e che lasciò tracce profonde già sui suoi contemporanei, per quanto egli fosse su posizioni radicalmente divergenti rispetto al razionalismo kantiano e alle posizioni di Herder. Hamann si opponeva alla secolarizzazione dei saperi non diversamente dalle correnti mistiche che attraverseranno le diverse declinazioni del pietismo, del quietismo e dei movimenti che in contrapposizione alle chiese istituzionali vedevano la salvezza nella Wiedergeburt, nella rinascita interiore del credente. Questo strano e apparentemente inspiegabile impasto di razionalismo e misticismo, di scienza e fede, di esoterismo e classicismo, caratterizzerà gli ultimi decenni del Settecento tedesco e troverà singolari declinazioni narrative, ad esempio nei romanzi di formazione.
In quello più celebre, il Meister goethiano, come sottolinea Freschi, troviamo un connubio curioso di autonomia ed eterodirezione del protagonista: il giovane Wilhelm, che per amore del teatro lascia la famiglia borghese di origine per unirsi a una compagnia di giro, troverà sulla sua strada figure misteriose che appartengono a una non meno misteriosa ‘Società della torre’, che ha tutta l’aria di una loggia massonica. Wilhelm scopre via via di essere da tempo sotto stretta osservazione da parte degli adepti della Turmgesellschaft e il suo streben, la sua aspirazione a una vita libera sotto il segno dell’arte si deve misurare con la discutibile saggezza di chi in realtà guida le sue scelte.
Ed è proprio Goethe la figura centrale della prima parte del saggio di Freschi.
Il genio della poesia tedesca, che la storiografia letteraria tradizionale vede come figura olimpica, al di sopra delle controversie estetiche del suo tempo, lontano dalle faziosità della cultura e della politica, il sommo poeta che il 2 ottobre 1808 a Erfurt si incontra con il nemico giurato della Germania delle piccole patrie locali, ovvero con Napoleone, dopo che l’imperatore francese aveva messo a ferro e fuoco molti stati tedeschi, e sconfitto la Prussia.
Goethe, dunque, come icona universale di perfezione e armonia.
Dalla ricostruzione che ci offre Marino Freschi si evince invece una figura assai più dimidiata, in perenne oscillazione tra una professione di classicità e di governo razionale della missione poetica e un’incoercibile attrazione per il mistero, per le intuizioni ermetiche, per il tema della metempsicosi. A cui si deve aggiungere l’attrazione per una visione del mito tutt’altro che classica, in cui si insinua il demonico, come Walter Benjamin sottolineò nel suo saggio sulle Affinità elettive: “Il rifiuto di ogni critica e l’idolatria della natura sono le forme mitiche di vita nell’esistenza dell’artista. Che esse acquistino, in Goethe, una suprema intensità, è ciò che si può vedere indicato nella definizione di «olimpio». Essa indica anche l’elemento luminoso nell’essenza mitica”.
A questa luce che reca in sé il caos dell’origine – “è nel caos che sfocia da ultimo la vita del mito”, afferma Benjamin – si contrappone l’oscurità di cui Goethe dà ampia testimonianza nella sua autobiografia Dichtung und Wahrheit. Là si parla di una “realtà inconcepibile” da cui il giovane Goethe cercò di distogliere lo sguardo quando ebbe contezza che il ‘soprasensibile’, imbrigliato dapprima nelle dottrine della religione positiva, stava superando quei labili confini. Nel passo goethiano citato da Benjamin si legge che “egli [Goethe giovane] credette di scoprire nella natura, vivente e morta, animata e inanimata, qualcosa che si manifestava solo in contraddizioni, e non poteva quindi essere colto in nessun concetto, e tanto meno in una parola. Non era divino, poiché pareva irrazionale; non era umano, poiché era privo di intelligenza; non era diabolico poiché era benefico; non era angelico, poiché rivelava spesso qualcosa di maligno. Somigliava al caso, poiché non mostrava nessuna coerenza; somigliava alla provvidenza, poiché alludeva ad un nesso (…) Pareva compiacersi solo dell’impossibile e respingere da sé il possibile con disprezzo. A questo essere, che sembrava mescolarsi a tutti gli altri, separarli e unirli, diedi il nome di demonico, secondo l’esempio degli antichi e di quelli che avevano avvertito qualcosa di simile. Cercai di salvarmi da questo essere temibile”.
Il vero dilemma goethiano, che sta alla base delle sue incursioni nell’esoterico e nelle ritualità dell’iniziazione, è espresso in questo bilancio esistenziale che è insieme il resoconto di una esplorazione gnoseologica e di una tentazione angosciante verso l’origine e i segreti della natura.
Da Goethe a Novalis: il poeta-filosofo dell’idealismo magico, animatore con i fratelli Schlegel del Circolo romantico di Jena, morto a ventinove anni. In lui la Bildung è viaggio iniziatico: la ricerca del “fiore azzurro” è “intuizione ermetica della natura” e la poesia è lo strumento che consente di conoscere lo spirito che in essa è racchiuso. La conoscenza vera non è appannaggio della razionalità scompositiva – quella che distrugge per poi ricostruire artificialmente un insieme – ma dell’immaginazione e dell’intuizione del segreto che la natura nasconde. Solo così è possibile accedere alla vera conoscenza in cui arte e sapere si congiungono in una superiore visione del Tutto.
Nella stessa Königsberg di Kant e di Hamann, qualche decennio più tardi un giovane di straordinario talento musicale e successivamente formidabile inventore di misteriose trame letterarie, Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, che di Kant seguì le lezioni, si immerge nelle letture di Gotthilf Heinrich von Schubert, un suo coetaneo romantico dedito all’esoterismo. “Schubert condivideva – scrive Freschi – l’interesse di tanti scienziati e intellettuali per la fringe science, ovvero magnetismo animale, chiaroveggenza, ipnosi ed esperienza onirica, allora così diffusamente studiati. Da quelle letture nascono capolavori come il racconto L’uomo della sabbia che ispirò Freud. Ma le opere di Schubert, ci spiega sempre Freschi, i cui titoli sono già di per sé emblematici – Degli aspetti notturni dei sogni e La simbolica dei sogni – ebbero influenza non solo sui Nachtstücke di Hoffmann ma anche su Jung. E la genealogia di questa linea onirico-notturna influenzerà direttamente la letteratura russa fino ad approdare al surrealismo francese.
“Der Zauberer”, il mago, era il nome con cui veniva chiamato in famiglia Thomas Mann a cui Freschi dedica pagine interessanti, in particolare sul Doktor Faustus. Adrian Leverkühn nasce in quell’angolo di Germania, la Sassonia – Anhalt, dove il rigore luterano si univa alla visionarietà mistica di Jakob Böhme e in cui il pietismo affondava le sue radici. Con il suo mentore musicale conduce lunghi dialoghi. Uno recita così:
“Il mio luteranesimo è d’accordo con lei, poiché vede nella teologia e nella musica territori vicini e molto affini, e oltre a ciò la musica è sempre sembrata a me un’unione di teologia e di matematica divertente. Essa contiene inoltre una parte considerevole di quell’insistente sperimentare e indagare a cui si dedicavano gli alchimisti e i negromanti di una volta che pure stavano sotto le insegne della teologia; ma nello stesso tempo sotto quelle dell’emancipazione e dell’apostasia.”
Nelle pagine dedicate alla Montagna magica e a Morte a Venezia Freschi traccia una linea di coerenza autobiografica e insieme estetica che approda al Doctor Faustus e in cui si compendia il percorso artistico dello scrittore di Lubecca.
Tra Otto e Novecento una figura di particolare rilievo è Gustav Meyrink, autore praghese del celebre Golem, uno dei più noti romanzi dell’occulto, pubblicato nel 1915, che oltre a un immediato successo presso i suoi contemporanei esercitò una notevole influenza sulla letteratura fantastica del Novecento. Uno dei pochi che non si appassionò alle sue invenzioni fu il suo concittadino Kafka, diversamente da Max Brod che lo lesse con entusiasmo.
Notevoli sono le pagine che Freschi dedica a Rudolf Steiner, il padre dell’antroposofia, e alla matrice teosofica da cui Steiner proviene: anche di qui si diparte una linea novecentesca che incrocia questioni che riguardano sia la teoria della conoscenza sia i modi dell’espressione artistica.
Kafka, dal canto suo, sebbene il suo percorso non sia riconducibile a evidenti influenze né letterarie né filosofiche ed epistemologiche, si confrontò con le posizioni di Rudolf Steiner che conobbe a Praga in occasione di un ciclo di lezioni tenute dal filosofo tedesco. Nonostante l’ironia con cui nelle pagine del suo diario parlerà di quell’incontro e delle teorie del maestro l’assillo di Kafka è di dare conto della sua propria scrittura e delle sue ragioni. Freschi cita una sua lettera a Max Brod del 5 luglio 1922 in cui lo scrivere viene presentato dall’autore de Il processo come una sorta di discesa agli inferi.
“Che dire dello scrivere stesso? Lo scrivere è una dolce meravigliosa ricompensa, ma di che cosa? Durante la notte con l’evidenza dell’insegnamento dimostrativo ai bambini mi apparve chiaro che è la ricompensa per un servizio del diavolo. Questa discesa alle potenze della tenebra, questo scatenamento di spiriti legati per natura, i problematici amplessi e tutto quanto può avvenire laggiù, di cui qua sopra non si sa nulla quando si scrivono racconti alla luce del sole. Forse esiste anche qualche altro modo di scrivere, ma io conosco soltanto questo; di notte quando la paura non lascia dormire conosco soltanto questo. E il suo lato diabolico mi sembra molto chiaro.”
Il lato diabolico della scrittura: si può prendere questa confessione di Kafka come il leitmotiv dell’intero libro di Freschi che ricostruisce con grande acume una trama culturale che, osservata dalla distanza, suscita non poche domande sulla nostra età del disincantamento ormai compiuto.
In copertina, Lettura di Werther di Goethe'. Olio di Wilhelm Amberg, 1870.