Giovanni Raboni tifoso
In un piccolo sostanzioso libro il cui lungo titolo è una citazione e quasi una dichiarazione di poetica (Si è tifosi della propria squadra perché si è tifosi della propria vita. Scritti sul calcio 1979-2004, a cura di Rodolfo Zucco, Mimesis, 2024), sono raccolti gli scritti – cinque poesie, dodici interventi giornalistici, due interviste – di Giovanni Raboni sul suo sport preferito, il calcio. Li ha raccolti, introdotti e commentati Rodolfo Zucco, filologo, italianista, studioso di poeti del ‘900, che ha curato il Meridiano mondadoriano dedicato ai versi di Raboni e che al poeta milanese è accomunato dalla passione nerazzurra.
Divertissement? Oppure libro “di occasione”, visto che (per una di quelle congiunture che è proprio il caso di definire “astrali”) la sua pubblicazione ha coinciso con la seconda stella dell’Inter?
In realtà, nessuna di queste cose. Il libro, infatti, ci fa entrare con passo sicuro nell’universo raboniano anche se la porta d’ingresso scelta – i testi sul calcio – potrebbe apparire a qualcuno eccentrica o marginale.
In realtà, tra calcio e poeti italiani si è infatti stabilito un rapporto piuttosto intenso che configura una sorta di tradizione. Lasciando pure fuori la canzone leopardiana “A un vincitore nel pallone” (non per lo spirito, ma solo perché quel “pallone” è un altro sport) essa si avvia con un gruppo di famosissime poesie di Saba del 1933 e 1934 (“Il portiere caduto alla difesa / ultima, vana…” “Anch’io tra i molti vi saluto, rosso –/ alabardati…”; “Piaceva / essere così pochi intirizziti / uniti, / come gli ultimi uomini su un monte, /a guardare di là l’ultima gara”), per nulla d’occasione e molto autenticamente sabiane.
Il filone prosegue con Domenica sportiva di Vittorio Sereni, ancora nel suo periodo “ermetico”, ma già apertamente interista e, nella poesia ricordata, testimone di una rivalità che, stante la data del componimento (1935 o 1936), è corretto definire storica: “Il verde è sommerso in neroazzurri. / Ma le zebre venute dal Piemonte / sormontano riscosse a un hallalì / squillato dietro barriere di folla.” Ma in qualche modo legati al calcio sono diversi altri versi o testi di Sereni, per esempio la straordinaria Altro compleanno.
E se fuori da questa linea restano Montale e Ungaretti (che a domanda sul suo tifo sportivo avrebbe risposto che lui teneva “per la Petrarchesca”), il “più bel gioco del mondo” (copyright Gianni Brera) ha ispirato poesie importanti di Giovanni Giudici, Sanguineti, Luciano Erba, Maurizio Cucchi, Franco Loi. Senza dimenticare Pasolini. Questi, in una poesia del 1964, alle figure dei giovani e degli spettatori impegnati in una partitella di borgata – una di quelle che egli stesso giocava senza risparmiarsi – sovrappone visionariamente i volti dei suoi amici scrittori, poeti, critici (Carlo Levi, Moravia, Bertolucci, Fortini, Baldini, “Dacia”, “Natalia”, Gadda, Bassani, Roversi), chiedendosi: «Le grida della quieta partitella, la muta primavera, / non è questa la vera Italia, fuori dalle tenebre?» (traggo questi spunti da un saggio del 2006 di L. Surdich, Il colore delle maglie, il “verde tappeto”: la poesia del calcio, il calcio in poesia, citato da Zucco nella bibliografia del suo volume).
La “partitella” pasoliniana nella sua valenza di emblema dichiarato ci conduce così a uno dei punti cruciali affrontati da Zucco nella sua introduzione (Metafore calcistiche di Giovanni Raboni, rielaborazione di un suo saggio del 2006 sullo stesso tema riferito alla poesia italiana contemporanea), cioè il gioco del calcio in quanto generatore o repertorio di metafore. Elemento particolarmente importante – la metafora – per la poetica Raboni, di cui l’autore era ben consapevole, come sottolinea Zucco riportando questa affermazione (p. 13): «Non esiste poesia che non abbia, magari suo malgrado, uno spessore metaforico».
In questa autoriflessione Raboni era vicino al suo amico e compagno di tifo Vittorio Sereni, di cui Zucco riporta (p.9) una pagina degli Immediati dintorni (Il fantasma nerazzurro):
Non credo che esista un altro spettacolo sportivo capace, come questo, di offrire un riscontro alla varietà dell’esistenza, di specchiarla o piuttosto rappresentarla nei suoi andirivieni, nei suoi rovesciamenti e contraccolpi; e persino nelle sue stasi e ripetizioni; al limite, nella sua monotonia. La passione che li accompagna muore nelle ceneri di un tardo pomeriggio domenicale e da queste, di domenica in domenica, non si sa come, risorge
Nello stesso Fantasma Sereni scrive anche:
La radice del tifo […] è reperibile qui: nel punto in cui avverti il nesso tra il tuo carattere e la sembianza, la cifra che la squadra assume ai tuoi occhi per analogia ma anche per contrasto o semplicemente per complementarità rispetto all’immagine che hai di te stesso. Diventa una metafora della tua esistenza, la sorte della squadra – senza per questo diventare la tua stessa sorte, che sarebbe davvero troppo – è un possibile diagramma del tuo destino. […] Certi momenti prima che l’incontro cominci […] che ti sembrano di morte o di preannuncio di duello all’ultimo sangue o di corrida o di epilogo western, dove siano in ballo onore e coraggio, sono crepacci subitanei che si aprono nella coscienza, frane silenziose nel paesaggio interiore, presagio di una resa dei conti che ti coinvolge oscuramente.
Parole a cui fanno eco ravvicinata quelle di Raboni (p. 7) nel passo che dà il titolo al libro:
Si è tifosi della propria squadra perché si è tifosi della propria vita, di se stessi, di quello che si è stati, di quello che si spera di continuare a essere. È un segno […] un simbolo forte che si radica dentro di te, insieme con la tua innocenza, tra fantasia sogno e gioco.
(dove “essere tifosi” – avverte Zucco – vale propriamente “adesione”, “accettazione” di sé”).
Ulteriore eco del passaggio sereniano sui “momenti prima che l’incontro cominci” (Sereni: “ultimo sangue”; Raboni: “ombre sanguinose”) si ritrova in quella che è probabilmente la più bella delle poesie di Raboni sul calcio, così leopardiana nel mostrare l’inconsapevolezza della squadra “primavera” che mima “la cosa vera” da venire, che dovrebbe essere essa stessa gioco, e invece è, evidentemente e irrimediabilmente, altro:
Allo stadio andavamo presto, / non volevamo perdere / la partita prima della partita. / In campo, uguali da confonderli / a dei giocatori veri, i ragazzi / della squadra chiamata primavera. / Guardarli era una pura meraviglia. / Forse perché correvano sul prato / con furibonda leggerezza / come se fosse, quello che facevano, / davvero un gioco – o forse / perché l’altra cosa, la vera, / doveva ancora cominciare, / era ancora tutto davanti a noi / con le sue ombre sanguinose, / con il suo cupo carico di gloria.
L’analisi condotta da Zucco dei testi di Raboni fornisce altri spunti fondamentali utili a comprendere aspetti della poetica dell’autore. Uno emerge in un Autoritratto del 1977 (cit. a p. 23) in cui l’autore si ricorda nei suoi primi anni mentre osserva dalla finestra i bambini giocare al pallone:
Per molto tempo ho pensato che una poesia dovesse essere come quella finestra. Mi sembrava che una poesia fosse un vetro attraverso il quale si potevano vedere molte cose […] I giochi erano al di là del vetro, mentre io ero al di qua.
“Situazione regressiva”, osserva Zucco, in cui “oggetto di assunzione metaforica non è la partita di calcio ma il rapporto tra la partita e il suo spettatore”.
Un altro punto cruciale in cui la poetica raboniana incrocia le situazioni calcistiche è il tempo. Il calcio – viene ricordato – è uno sport largamente basato sul tempo, che scorre e poi precipita verso la fine della partita, come del resto accade della vita. Di qui situazioni – non solo in poesie calcistiche – in cui il tempo è dilatato e rallentato (come Zona Cesarini, p. 31) o in cui i momenti topici della partita e delle azioni diventano metafore dell’esistenza, del suo precipitare verso la conclusione o, talvolta, in chiave memoriale, scorrere a ritroso, come accadeva con lo strumento chiamato un tempo “moviola” (oggi VAR).
Gli scritti giornalistici e di memoria e le interviste sono in buona parte strettamente collegati alla dimensione sociologica o politica del calcio o a precisi episodi: campionati, partite, arbitraggi, passaggi societari, “maghi” della panchina, campioni e brocchi.
La raccomandazione per il lettore è quella di leggere i testi senza trascurare il ricco Apparato critico che li correda, che attinge a una bibliografia stavolta settoriale e “calciofila”. Il lettore recupererà o, se giovane, scoprirà molte figure e luoghi di una Italia e di una Milano d’antan, ma anche vicende e storie tragicomiche ed esilaranti, come quella dei presunti fuoriclasse sudamericani del dopoguerra che si rivelano invece “storici bidoni”: uno interrompe l’azione, anche in zona gol, per raccogliere il suo basco; un altro, disturbato dal clima padano, non si stacca più dalla stufa negli spogliatoi; un altro, infine, mente sulla propria età per poter giocare. Storie di un’epoca eroica del pallone che non sarebbero dispiaciute a Osvaldo Soriano; un altro autore, come Raboni, in cui il calcio diventa una metafora dell’esistenza.