Contro l’analfabetismo economico (parte seconda) / Il ruolo della politica e la scienza dei costi e benefici
Si racconta che il presidente Harry Truman, alla fine di una lunga riunione con i suoi consiglieri economici, avesse sbottato: “Portatemi un economista con un lato solo! Questi dicono sempre ‘da un lato…, ma dall’altro…’”.
Vera o falsa che sia, in questa storiella c’è più di una semplice battuta. In un momento storico nel quale il ruolo della scienza è messo continuamente in discussione, la storia di Truman può aiutarci a capire meglio che cosa fanno gli economisti e che cosa dovrebbero fare i politici. La crisi cominciata un decennio fa ha senza dubbio incrinato la fiducia dei cittadini nei confronti degli esperti. Molti politici, intellettuali e giornalisti hanno affermato che bisogna togliere le redini del comando agli economisti e ai burocrati che prendono importanti decisioni senza avere ricevuto alcun mandato popolare. La polemica contro i ‘numerini’ e gli ‘zero virgola’, cominciata da Renzi e proseguita dall’attuale governo, riflette questo atteggiamento, che si può sintetizzare nello slogan: meno economia e più politica.
Ma che cosa vuol dire esattamente? Superficialmente lo slogan suggerisce che i politici dovrebbero smettere di ascoltare gli economisti. Forse vuole anche dire che i governi dovrebbero dare più peso alle ragioni politiche e sociali, e prestare meno attenzione alle considerazioni puramente economiche. Ma questa interpretazione sarebbe scorretta: come insegnano i consiglieri di Truman, l’economia è la scienza dei costi e dei benefici. Essa non dice ai governanti che cosa devono fare, ma si limita a indicare gli effetti positivi e negativi (‘da un lato…, dall’altro…’) di determinate iniziative politiche.
Se questo vi sembra strano, è perché i tecnici e le istituzioni che essi rappresentano utilizzano molto spesso (anzi, troppo spesso) il linguaggio dei vincoli. Quante volte abbiamo sentito dire che ‘in Italia non si possono ridurre le tasse’, che ‘non è possibile abbassare l’età pensionabile’, e così via? Si tratta di un linguaggio sbagliato, perché in economia si può fare tutto. O meglio: tutto si può fare, a determinate condizioni.
Un’analogia ci può aiutare a capire meglio. Per migliaia di anni gli uomini hanno vissuto con i piedi attaccati per terra. Ovviamente essi sapevano che altre creature – gli uccelli – erano in grado di volare, ma ritenevano che questa possibilità ci fosse preclusa. Oggi noi sappiamo che questo non è vero: ciascuno di noi può volare a Londra o a Hong Kong quando gli pare e piace. La fisica (e la tecnologia che da essa deriva) ci mostra giorno dopo giorno che nulla, o quasi nulla, è impossibile. Ma questo non vuol dire che qualsiasi cosa sia possibile in qualsiasi situazione e senza alcun costo. Per volare, l’uomo ha dovuto prima inventare dei motori leggeri e potenti, in grado di sprigionare una grande quantità di energia. Questa tecnologia ha un costo, in termini fisici ed economici. Possiamo volare nelle condizioni adeguate, e soprattutto se siamo disposti a pagare i costi che l’uso della tecnologia comporta.
La scienza economica non è molto diversa: anch’essa in linea di principio non preclude quasi nulla. Si possono ridurre le tasse; si possono aumentare le pensioni; si può creare il reddito di cittadinanza; si può abbattere il debito pubblico con la patrimoniale o si può decidere di ridurlo uscendo dall’euro e svalutando la moneta. Ma ognuna di queste iniziative comporta dei costi, che possono essere alti o bassi a seconda dalle circostanze nelle quali ci troviamo.
Uno dei princìpi economici più importanti e contro-intuitivi è che le politiche dei governi hanno sempre degli effetti collaterali. Questi effetti possono essere positivi, negativi, e talvolta tutt’e due le cose insieme. Conoscere gli effetti inattesi è importante perché i costi e i benefici non sono mai distribuiti in modo equo e uniforme. Ridurre il debito con una tassa patrimoniale per esempio penalizza chi possiede risparmi e favorisce gli evasori fiscali. Ridurlo con una svalutazione penalizza i possessori di titoli di stato e favorisce chi ha investito in azionario o nell’immobiliare. Abbassare l’età pensionabile favorisce gli anziani e penalizza i giovani. E così via – per ogni politica economica c’è chi ci perde e chi ci guadagna.
Decidere come distribuire i costi e i benefici è uno dei compiti principali della politica. Gli economisti possono aiutare i politici a far sì che nel lungo periodo tutti possano beneficiare di migliori servizi e di un tenore di vita più alto. Quando l’economia cresce, aumenta anche la torta delle risorse da spartire fra i cittadini. Ebbene, se fosse possibile distinguere nettamente la crescita dalla distribuzione delle risorse, potremmo distinguere chiaramente il ruolo dei politici da quello degli economisti. Ma purtroppo le cose sono un po’ più complicate: le politiche di distribuzione delle risorse hanno anche un impatto sulla crescita. Chi cucina la torta, per esempio, potrebbe avere meno voglia di lavorare se al momento della spartizione si trovasse con poche briciole in mano, mentre il proprio vicino riceve una bella fetta senza avere mosso neppure un dito.
Quando gli economisti dicono ‘non si può fare’, solitamente intendono avvertirci che una certa iniziativa politica porterà nel lungo periodo a meno crescita. Meno crescita vuole dire una torta più piccola, e un lavoro più difficile per i politici che governeranno in futuro. Purtroppo la tentazione di scaricare i costi su chi verrà domani è molto forte, come insegna la storia del nostro Paese.
Il linguaggio dei costi e dei benefici è complesso e difficile da usare nel dibattito pubblico, specie quando i benefici sono per noi adesso, mentre dei costi si preoccuperà qualcun altro domani. Il linguaggio dei divieti (‘non si può fare’) è più semplice ma è sbagliato poiché presenta il problema in termini moralistici. La morale non conosce la logica dei costi e dei benefici – ciò che è buono e giusto va fatto perché è buono e giusto, non perché è conveniente – ma il linguaggio della giustizia e della morale non aiuta a prendere buone decisioni economiche e sociali. Il linguaggio della giustizia serve a tracciare linee invalicabili. Quando esso viene utilizzato fuori contesto, genera conflitti fra principi assoluti e non negoziabili. Se tutti gli anziani hanno diritto a una pensione, a prescindere dai costi; se tutti i malati hanno diritto alle cure, a prescindere dai costi; se tutti i giovani hanno diritto a studiare, a prescindere dai costi… come troviamo il giusto equilibrio fra queste esigenze incompatibili? Le regole economiche devono essere sempre giustificate sulla base dei loro effetti complessivi.
Trovare un equilibrio è compito della politica, e la politica è compromesso. L’economia può aiutare i cittadini a capire quanti e quali compromessi sono possibili. Per questo i politici non dovrebbero contrapporsi ai tecnici, quando questi evidenziano i costi delle riforme o delle promesse elettorali. Chi promette il reddito di cittadinanza dice implicitamente che i diritti dei disoccupati hanno più peso dei diritti dei cittadini che dovranno sopportarne i costi, attraverso l’aumento dell’IVA o pagando ticket più alti per le medicine. Chi sostiene la ‘quota 100’ dice che i diritti degli anziani hanno più importanza dei diritti dei giovani che dovranno pagarne le pensioni negli anni a venire.
Ma chi dice che queste riforme non si possono fare, sbaglia: tutto è possibile, se i cittadini sono disposti ad accettarne le conseguenze. Perché questo accada, essi devono prima di tutto sapere quali saranno i costi e i benefici delle riforme.
Promettere interventi miracolosi nascondendone gli effetti collaterali è poco saggio, perché prima o poi i cittadini si accorgeranno di essere stati truffati. Nelle settimane scorse è accaduto qualcosa di simile nel nostro Paese. Nelle aste per i Btp di fine anno i risparmiatori hanno mostrato di avere capito, e di temere che le politiche del governo avranno un costo assai elevato. Quando i tassi di interesse hanno cominciato a salire, il governo stesso ha intuito che il gioco non valesse la candela. A quel punto ha fatto marcia indietro, almeno in parte. Il problema è che gli elettori dei partiti di governo ora penseranno giustamente di essere stati raggirati. Sarebbe stato meglio spiegare subito quali sarebbero stati i costi e i benefici delle promesse elettorali. Perché tutto si può fare, in democrazia, ma rispettando il diritto dei cittadini di essere informati.
Al link di seguito si può trovare la prima parte della serie Contro l'analfabetismo economico, di cui questo articolo costituisce la seconda, è qui la terza.