Joseph LeDoux e i tanti mondi dell'uomo
Dopo aver letto l’ultima riga di questo importante libro, sono rimasto con una domanda che avrei voluto porre all’autore: e se i mondi della donna e dell’uomo fossero cinque? O forse sei. Col quinto che è antecedente ai quattro e li contiene, e il sesto che forse più di ogni altro tratto ci distingue come specie? Una domanda suscitata da una presenza che mi ha fatto compagnia pagina dopo pagina: un uomo solo col suo cervello, lì in un angolo della stanza, alla ricerca della condizione che finalmente lo rendesse umano, che gli conferisse il significato che ansiosamente andava cercando. Quella condizione è la relazione. E nel libro non ve n’è traccia. Così come non vi è alcun riferimento alla via mediante la quale noi umani ci inventiamo continuamente, creando mondi paralleli e narrandoci senza sosta.
Trattandosi di uno degli autori più autorevoli, di cui l’editore Raffaello Cortina meritoriamente rende disponibili le opere anche in lingua italiana, viene da chiedersi perché? Questo libro di Joseph LeDoux, I quattro mondi dell’uomo. Una nuova teoria dell’io, Raffaello Cortina Editore, Milano 2024, infatti, sta tenacemente accanto a un’intera produzione neuroscientifica e psicologica, che costruisce le proprie ricerche e le proprie argomentazioni con un approccio “as if”, come se, cioè, si potesse definire l’essere umani centrando l’analisi sull’individuo singolo.
Non che la relazione non sia richiamata, citata o considerata, anche se non nel caso di questo libro, – se non in una voce dell’indice analitico, “Relazioni verbali negli studi sulla coscienza” che rinvia a tre pagine di tutto il contenuto del libro –, ma rilevante diventa chiedersi cosa si intende per relazione quando se ne considera l’esistenza. La relazione è ritenuta un accessorio dell’individuo; è considerata un mezzo con cui regolare i rapporti; appare evidentemente come una condizione attivabile e disattivabile alla bisogna dagli individui, come se si trattasse del relè della luce; può esistere o non esistere; e simili varianti. Non è certo la prima volta che il senso comune e con esso anche la ricerca scientifica si consegnano all’intuizione e solo all’intuizione. Di situazioni simili è piena la storia della scienza. Con conseguenze anche molto impegnative. Basterebbe richiamare il destino di Galileo Galilei. È evidente che consegnandosi all’intuizione l’io si pone come punto di partenza della relazione che attiva o non attiva rispetto all’altro e al mondo.
Se però facciamo un piccolo sforzo controintuitivo, che però pare essere particolarmente costoso tanto è raro, non è difficile accorgersi che, ad esempio, nella mia esperienza nel mondo la relazione con l’aria che respiro, o con l’acqua che bevo, o col cibo che mangio, non solo mi precede ma è condizione costitutiva di me. Mi costituisce se non altro perché non posso sospenderla, pena non sopravvivere. Se questo vale per il mondo, ancor più vale con quella particolare espressione del mondo che sono l’altra e l’altro. Dalla relazione di due esseri umani si è generata la mia esistenza; dalla relazione con mia madre ha preso le mosse la mia individuazione fin dalla fase prenatale; dalle relazioni che ho vissuto e vivo traggo tutto quello che sono e soprattutto divengo. È difficile, soprattutto dopo la rivoluzionaria scoperta dei neuroni specchio, disconoscere una semplice evidenza: che è un paradosso concepire un io senza un noi. Sarà controintuitivo ma cambia tutto, così come, nonostante le resistenze pervicaci, Copernico e Galileo hanno cambiato Tolomeo. Con buona pace dei terrapiattisti.
Allora se ci chiediamo, come fa LeDoux, come il senso di identità scaturisce dai neuroni, pur mutando di continuo il mondo circostante e i circuiti neuronali, e se, sempre seguendo LeDoux, giungiamo a sostenere che l’io non sia un’entità fissa ma una narrazione che intessiamo per dare un senso al mondo, allora perché non andare fino in fondo? Fino a dove, cioè? Fino a riconoscere che se una cosa come l’io – che non è una cosa – non è fissa vuol dire che diviene ed è perché diviene che esiste; e che se esiste narrandosi, è nella relazione con il mondo in cui diviene e con l’altro a cui e con cui si narra che l’emergere dell’io è possibile. Assumendo un concetto performativo, pragmatico e agentivo dell'essere umano, insomma, emerge con evidenza che si individua e diviene sé stesso grazie alla relazione.
Accanto ai quattro mondi di LeDoux, biologico, neurobiologico, cognitivo e cosciente, per sentirsi vivo, l’uomo solo col proprio cervello che mi fa compagnia mentre leggo, a un lato della stanza, si riconosce nella relazione e grazie ad essa, e finalmente tira un sospiro di sollievo. Ancor più si riconosce in quello che è quando, grazie all’estetica della relazione con me può narrarmi come si considera e come si inventa ogni volta che si racconta a sé stesso e ad un’altra o ad un altro. Il mondo relazionale ed estetico che sostiene e contiene i quattro mondi di LeDoux o è talmente presente come l’aria che respiriamo, da darlo per scontato, o inquieta i rassicuranti paradigmi solipsistici tanto da essere negato.
Ma guardiamoli più da vicino i quattro mondi dell’uomo secondo LeDoux. Ogni discorso su di noi come esseri viventi, per l’autore è racchiuso nelle “interazioni” tra i modi di essere biologico, neurologico, cognitivo e cosciente. Sono i quattro mondi di esistenza. Tutto ciò che noi siamo è “incluso” in questi mondi di esistenza tra loro intrecciati. Questi quattro mondi dell’uomo riguardano, quindi, “come siamo” e come diamo significato a noi stessi, e secondo LeDoux forniscono una nuova concezione su un problema che appare ancora un mistero perenne.
L’essere umano ha una struttura biologica che è “il fondamento della struttura neurale, la quale è alla base della struttura cognitiva e rende possibile la struttura cosciente”. Il problema della coscienza è stato descritto da studiosi quali Thomas Nagel e David Chalmers come “sensazione fenomenica” (la cosa, ad esempio, che fa sembrare rosso il rosso). Quelle sensazioni sono definite da loro qualia. Secondo LeDoux, dal punto di vista neuroscientifico è necessario “focalizzarsi sul problema reale della coscienza”, ossia “spiegare, predire e controllare le proprietà fenomenologiche della esperienza cosciente”, accettando che la coscienza “fa parte della nostra composizione fisica e biologica”. Se la coscienza non è uno stato fisico, non può essere indagata scientificamente. Nel proporre quella che definisce una nuova concezione della mente LeDoux sostiene che le nostre attività mentali sono il “frutto di processi fisici che avvengono nel cervello”. La nostra natura mentale coincide con il complesso delle connessioni sinaptiche”, le quali agiscono sotto il controllo dell’influenza genetica, che conferisce al nostro cervello “qualità uniche”, rendendoci tutti uguali e distinguendoci anche gli uni dagli altri.
La nostra conoscenza di chi siamo e in che modo pensiamo sono operazioni acquisite attraverso l’esperienza. I quattro mondi di esistenza fondamentali, paralleli e incrociati “riflettono” il nostro passato evolutivo e rendono conto dei nostri modi di essere presenti. Noi esistiamo nell’ambito di questi quattro mondi “in ogni momento della vita”. L’impresa è difficile e soprattutto regna una grande confusione nelle definizioni di sé, coscienza, mente e così via. A volte il dibattito è un poco deprimente e, quel che più conta, a rimanere quasi sempre trascurati sono, alla base, il corpo e, nelle proprietà emergenti dell’umano, la relazione e l’esperienza estetica. Gli esseri viventi esistono, secondo LeDoux, in base alla loro biologia. Alcuni esseri biologici possiedono un sistema nervoso. Ciò riguarda solo gli animali. Dal mondo neurobiologico dipendono il mondo cognitivo e quello cosciente.
Questi quattro mondi sono “correlati” gerarchicamente, e sono “congiunti e interdipendenti”, in un intreccio inestricabile dalla cui continua “interazione” scaturisce la nostra mente, unica tra i viventi per la sua “capacità” di sperimentare noi stessi come “un passato, un presente e un futuro”. Una capacità in virtù della quale noi costruiamo una “narrazione” della nostra vita. Alla dimensione narrativa LeDoux riserva molto spazio da una prospettiva particolare. L’idea è che narrazioni fluenti da un modello mentale “non cosciente” ci aiutano a “difendere” la nostra comprensione autonoetica di chi noi (il nostro io) siamo. Ipotizzati tre livelli della coscienza, LeDoux sostiene che sia la base neuronale dei processi cognitivi e mnestici precoscienti su cui poggiano, appunto, la coscienza anoetica, noetica e autonoetica a riportarci fino all’ultimo microsecondo di elaborazione precosciente – in altre parole, fino alla linea di traguardo della coscienza. La narrazione in mentalese, come LeDoux la definisce, fa il resto. Le categorie di “modello” e “rappresentazione” sono essenziali per comprendere l’approccio di LeDoux. “Modello mentale” è mutuato da Philip Johnson-Laird, in piena atmosfera cognitivista, e “rappresentazione” è un postulato che attraversa tutto il libro a partire da una precisa presa di posizione, posta in modo quasi sfidante: “Forse ora state pensando che questo modo di descrivere chi siamo suggerisce che io aderisca al concetto di ‘embodiment’. Ma per me la mente e il cervello non sono incorporati (embodied).
Piuttosto è il corpo a essere ‘cerebrato’ (embrained) [i corsivi sono di LeDoux]”. “Certo – continua LeDoux – è un pessimo uso del linguaggio, ma coglie il punto, ossia che il corpo è rappresentato nel cervello tramite la capacità del mondo neurobiologico. Questa rappresentazione neurobiologica del corpo è poi ripresentata alla mente mediante processi del mondo cognitivo, e alcune di queste rappresentazioni cognitive del corpo sono (o possono essere) esperite soggettivamente attraverso il mondo cosciente. È così che la cognizione e il corpo interagiscono.” [pp. 63-64]. Il passaggio dall’esistenza biologica, all’esistenza neurobiologica, all’esistenza cognitiva, all’esistenza cosciente, secondo LeDoux avviene mediante una catena di rappresentazioni. Lo stato organismico composito che scaturisce dai quattro mondi di esistenza ipotizzati da LeDoux si può considerare, come lui lo definisce, un ensemble dell’essere. Dopo aver esaminato criticamente alcune teorie sul sé e sulla personalità ponendo al centro dell’attenzione sempre e comunque l’io e l’individuo singolo, l’autore tende a concludere che molti dei costrutti utilizzati nelle analisi e nelle ricerche su questi temi risentono del peso delle parole. Il problema sarebbe l’effetto di reificazione che si presenta quando oggettiviamo il sé o la personalità come entità agentive, come cose all’interno di noi che controllano quello che facciamo.
Non vi è, secondo LeDoux, un singolo agente-sé responsabile di quello che facciamo. “Il sé è giusto un nomignolo, una descrizione che applichiamo a sistemi dentro noi che fanno le cose”. “Con questo non intendo dire”, aggiunge l’autore, “che siamo privi di un’agentività cosciente, del cosiddetto libero arbitrio. Piuttosto, sto dicendo che buona parte del nostro controllo del comportamento avviene in maniera non cosciente, persino buona parte del controllo comportamentale mal attribuito a un sé cosciente”. Nelle parti centrali del libro LeDoux riprende ampiamente il percorso costruito in Lunga storia di noi stessi, e crea le basi per sostenere la propria ipotesi affrontando le caratteristiche del mondo biologico, poi quelle del mondo neurobiologico e quelle del mondo cognitivo, per giungere a concludere l’analisi occupandosi del mondo cosciente. In particolare occupandosi della cognizione LeDoux si impegna a trasformare il sistema duale proposto da Daniel Kahneman in un approccio a tre sistemi.
Il Sistema 1 riguarderebbe il controllo comportamentale non cognitivo e non cosciente (il mondo neurobiologico) e, quindi, i riflessi, gli istinti, le risposte condizionate pavloviane, le abitudini. Il Sistema 2 attiene al controllo comportamentale cognitivo ma non cosciente (il mondo cognitivo), impegnando la memoria di lavoro non cosciente, la deliberazione non cosciente, il ragionamento inferenziale non cosciente e l’intuizione non cosciente. Al Sistema 3 spetterebbe, secondo LeDoux, il controllo comportamentale cognitivo e cosciente (il mondo cosciente), coinvolgendo la memoria di lavoro cosciente, la deliberazione cosciente e il ragionamento inferenziale cosciente. L’idea relativa al pensiero e al discorso cognitivo non cosciente è, secondo LeDoux, una parte essenziale della sua teoria della coscienza. Ma qual è la proposta di LeDoux a proposito della coscienza? Sfatata la convinzione che la coscienza sia misteriosa come la teoria dell’anima che sopravvive alla morte, l’autore ritiene che sia piuttosto misteriosa nel modo in cui lo era il meccanismo dell’evoluzione ereditaria prima che fosse scoperto il DNA. Assestando la convinzione che la scienza riguarda, e riguarda solamente fenomeni fisici del mondo materiale, LeDoux esprime allo stesso tempo “la sensazione che la fisica non sia la strada scientifica migliore verso la coscienza, almeno per ora”. Aveva, infatti, poco prima sostenuto: “A meno che la coscienza non sia un fenomeno del mondo fisico, non possiamo studiarla scientificamente. Fine della discussione.” In questo a dir poco tormentato tentativo l’autore approderà alla scomposizione della parola coscienza nel tentativo di proporre la sua ipotesi.
Emerge così che quando parliamo di coscienza ci riferiamo sia alla coscienza di sistema (creature consciousness), sia alla coscienza degli stati mentali. La prima si riferisce alla condizione di essere vivi, in stato di veglia e rispondente con i comportamenti a stimoli ambientali. Dipende dal metabolismo, per l’esistenza biologica, e dalle funzioni viscerali del sistema nervoso, per alimentare l’esistenza neurobiologica. La seconda si riferisce alla capacità di esperire il mondo e la propria relazione con esso, ed esiste soltanto in animali che hanno mondi coscienti. È definita dal contenuto di cosa si sta esperendo, e quel contenuto è alimentato da diversi sistemi cerebrali che elaborano informazioni in modo non cosciente: per esempio i sistemi sensoriali, motori, mnestici e cognitivi. Il punto di arrivo della ricerca di LeDoux è un modello di coscienza gerarchico multistato. Le caratteristiche funzionali di questa coscienza di ordine superiore sono associate alle aree cerebrali e includono gli stati di ordine inferiore primari (aree della corteccia sensoriale); gli stati di ordine inferiore secondari (aree mnestiche e altre zone di convergenza nei lobi temporale e parietale); stati di ordine sub-superiore (aree mesocorticali della corteccia parietale frontale subgranulare, incluse la corteccia del cingolo anteriore, e le aree orbitale, ventromediale, prelimbica e insulare), e altri stati di ordine superiore che rirappresentano/ridescrivono/ indicizzano i vari stati che costruiscono modelli mentali nella memoria di lavoro.
Da questi processi LeDoux fa derivare i tre livelli della coscienza: anoetica, noetica e autonoetica, evidenziando la relazione tra stati inconsci, coscienti di frangia e coscienti focali. È la narrazione a noi stessi che realizza la coscienza di noi e del mondo secondo LeDoux, perché senza le descrizioni psicologiche che noi esseri umani estraiamo dalla nostra comprensione psicologica ingenua delle nostre introspezioni, sarebbe impossibile sapere cosa fanno i circuiti cerebrali. “Letteralmente, ci vuole una mente per sapere cos’è una mente”. Secondo LeDoux, infine, sono le narrazioni fluenti da un modello mentale non cosciente ad aiutarci a difendere la nostra comprensione autonoetica di chi noi siamo. Narrazioni fatte rigorosamente a sé stessi, nella singolare solitudine dell’uomo di LeDoux.