L'albero sacro dei Maya
Napoli è città che ti marchia a fuoco, nelle carni e nello spirito. Può succederti, nella piazza pedonale dedicata a Dante, di essere investita da uno scooter e, a bordo del medesimo, trasportata al vicino ospedale dei Pellegrini. Ma poi, esser ripagata della disavventura da un’inattesa fioritura esotica, così spettacolare che ti par d’essere in Messico o in Argentina.
Anna Maria Ortese, una che di Napoli s’intendeva e ben conosceva le sue «infinite risorse», la «sua grazia naturale», quel suo «vivere pieno di radici», scrive:
Qui, non so per quale bizzarria della natura, rovesciamento delle sue leggi, che del resto nessuno sospettava, tutte le cose, il bene e il male, la salute e lo spasimo, la felicità più cantante e il dolore più lacerato, santità e dissolutezza, pietà e voluttuosa ferocia, troni e galere, mercati ed altari, patiboli e giostre, [...] tutte queste voci erano così saldamente strette, confuse, amalgamate tra loro, che il forestiero che giungeva in questa città ne aveva, a tutta prima, una impressione stranissima, come di una orchestra i cui strumenti, composti di anime umane, non obbedissero più alla bacchetta intelligente del Maestro, ma si esprimessero ciascuno per proprio conto suscitando effetti di meravigliosa confusione. (L'Infanta sepolta)
Se capitate a Napoli in ottobre, ripercorrete la passeggiata prediletta da Anna Maria Ortese: salite da via Toledo verso il Museo Nazionale, proseguite lungo l’«aperta e misteriosa» via di Foria obbedendo al richiamo «delle sue seduzioni». A due passi dai tesori pompeiani, ben prima che la «grande via» si allontani «verso le grigie profondità dell’Orto Botanico», potrete stupirvi davanti a qualche esemplare di Ceiba speciosa (o Chorisia) in fiore.
Albero sacro, al centro della cosmologia Maya (è l’albero della vita che collega terra e cielo) la ceiba è diffusa negli areali tropicali dall’America latina al sud-est asiatico. Tuttavia s’incontra anche nelle nostre regioni meridionali quale essenza ornamentale: indimenticabili i doppi filari dei viali palermitani.
Molteplici le sue attrattive: ampia ombrosa chioma a ramificazione alta; foglie composte, digitate, d’un verde festevole; grandi fiori cerosi, con lungo stilo sporgente da cinque petali chiari o rosa acceso, screziati di giallo e picchiettati di bruno; grossi frutti capsulati, ovoidali, che schiudono semi avvolti in folta lanugine simile al cotone; tronco rigonfio alla base, ricoperto di forti aculei conici.
Quest’ultima caratteristica, la più vistosa della ceiba, nota infatti come albero bottiglia (in Argentina palo borracho), le consente di superare indenne siccità prolungate.
«Árbol arquitectónico» e «madre de todos los árboles» secondo il narratore cubano Alejo Carpentier, che nel romanzo La consagración de la primavera così la raffigura:
La ceiba, aislada en un espacio por ella elegido, me hablaba en un idioma desconocido del nogal, el encino, el tilo, el abedul. Árbol parado por derecho propio, indiferente a las sequías, indiferente a las lluvias, desafiador de huracanes, testigo impasible y enhiesto de diez, veinte, ciclones, en cuyas ramas no anidaban pajarillos porque no le interesaban los solos de pífano ni las músicas de cámara, sino las sinfonías de los vientos viajeros que, de paso, le narraban la historia del mundo —historia que para este árbol empezó cuando lo vegetal, en hierbas de gigantesca estampa puso por fin, después de muchas luchas, un color verde sobre la siniestra grisura inicial de la Tierra
(La ceiba, isolata in uno spazio da lei scelto, mi parlava in una lingua sconosciuta dal noce, dalla quercia, dal tiglio, dalla betulla. Albero fermo per proprio diritto, indifferente alle siccità, indifferente alle piogge, sfidatore di uragani, testimone impassibile e rettilineo di dieci, venti cicloni, nei cui rami non facevano il nido gli uccellini perché non gli interessavano gli assoli di piffero, né le musiche da camera, ma le sinfonie dei venti viaggiatori, che passando, le raccontavano la storia del mondo – storia che per questo albero è cominciata quando il vegetale, in erbe di sagoma gigantesca mise infine, dopo molte lotte, un color verde sul sinistro grigiore iniziale della Terra.)
Certo, un albero di spine e fiori stellati non può che star di casa in una città ossimorica come Napoli, città di spasimi e gaiezze, di cieli lindi e cupi sottosuoli.