Il 14 e il 15 dicembre a Correggio / Leggere Tondelli, oggi
Il 14 e il 15 dicembre si terrà a Correggio, sua città natale, un convegno sull'opera e sulla figura di Pier Vittorio Tondelli. Interverranno docenti universitari e critici letterari che hanno seguito sin dall'inizio il suo lavoro.
Ho scritto diverse volte dell'opera di Tondelli e con il passare degli anni confermo tutte le mie impressioni di lettura. Tondelli è stato un grande scrittore, forse il migliore della nostra generazione, certamente il più curioso e anche il più battagliero. Eravamo veramente quattro gatti, e non voglio ripercorrere qui le nostre vicissitudini. Da Del Giudice a Tondelli ognuno ha portato avanti liberamente il suo lavoro. Nessuno si è trasformato in maestro, nessuno ha chiesto agli altri di associarsi a una tendenza particolare e ognuno andrà valutato individualmente. Avevamo tutti fortissime influenze italiane e internazionali, ci sentivamo parte di un flusso e anche di una tradizione, così come la concepiva Pasolini. Peraltro nessuno di noi è stato scrittore pasoliniano. Lascio le considerazioni estetiche agli studiosi, come è giusto, e mi limiterò a ricordare alcuni tratti umani di Pier. Ci eravamo conosciuti a Milano, nei corridoi scricchiolanti della Feltrinelli: lui era in coda per parlare con Aldo Tagliaferri, io per incontrare Antonio Porta. Allora dovevamo aspettare almeno tre anni per pubblicare un libro.
Non sapevano neanche dove metterci. Io sarei dovuto uscire nei Franchi narratori ma poi saltò fuori che ero laureato in filosofia e mi inserirono nei Narratori. Non abbiamo subìto alcuna ingiustizia, siamo stati trattati con grande gentilezza. Pier era contentissimo di Tagliaferri e io di Antonio Porta. Eravamo completamente privi di arroganza, non sapevamo noi stessi dove collocarci. Stavamo appena cominciando ad annodare i fili con quella che ho chiamato "tradizione", che per me prese il nome di Bilenchi e per Pier quello di Coccioli. Coccioli era un nomade, Bilenchi veniva da Tozzi ma soprattutto dalla grande letteratura russa, e da quella francese. Ma noi chi eravamo? Forse Pier lo sapeva meglio di me. Io avevo appena letto Silvio D'Arzo, al quale avevo quasi rubato (senza saperlo) il titolo del suo bellissimo Casa d'altri, e anche Pier lo amava molto. Non ricordo se ne parlammo in quel primo timidissimo incontro ma ne parlammo con entusiasmo. Eravamo entrambi molto timidi. Lui era alto, molto emiliano nell'aspetto, e i capelli lunghi e dritti lo facevano sembrare un cantante pop. Si nascondeva un po', dietro capelli e occhiali, e forse io facevo lo stesso.
Il mio primo racconto era in realtà una prova generale, la mia voce cominciava a formarsi nei racconti più brevi che stavo scrivendo. I racconti di Altri libertini avevano invece già una forte voce, una grande personalità. Tanto che tutti lo identificarono con i suoi personaggi, e questo equivoco favorì l'incontro con il pubblico. Che era un po' assetato di linguaggi giovanili: anche Boccalone di Palandri era stato letto allo stesso modo. Lodoli e Del Giudice avevano invece esordito già da scrittori maturi. Ma la cifra di Tondelli non era quella del cantore dei nuovi emarginati (i drogati) ma piuttosto la curiosità. Cosa si dipingeva in giro per il mondo, cosa si fotografava, cosa si suonava, cosa si scriveva… Tutto ciò che gli era contemporaneo lo riguardava. In un mondo già in via di globalizzazione si potevano prendere diverse direzioni, del labirintico e insidioso presente ma anche del passato.
Non compimmo scelte radicali, ma partendo tutti e due da una forte percezione del presente prendemmo due direzioni diverse. Pier decise di portare tutto quello che aveva letto nel presente, di riattivarlo, di metterlo in circolazione. Decifrare il presente è difficile. Quando si decifravano geroglifici non c'era distinzione tra una lista della spesa e la frase di un dio. Ogni segno era una possibile chiave interpretativa. Quindi pittura ma anche graffiti, allora certamente agli esordi. Quindi moda e semiologia della moda. Pier voleva conoscere il presente, voleva leggerlo e voleva capirlo, e soprattutto voleva farne parte. Io avevo avuto un'adolescenza turbolenta e diventai quasi un secchione, Pier che aveva studiato più di me cominciò a girare il mondo. Quando dei giovani editori mi proposero di curare l'edizione di un'antologia di nuovi autori mi feci subito da parte. Pier accettò subito e così nacquero gli Under 25. Non so quante centinaia di racconti dovette leggere ma lo fece con serietà e con grande rispetto per tutti. Non so quanti ricordino quella serie di libri, ma sono all'origine dell'attuale grande diffusione di nuovi scrittori, nel bene e nel male. Con lo stesso spirito anni dopo Pier si lanciò nell'impresa di Panta, forse l'unica rivista letteraria italiana con respiro internazionale di quei decenni.
In un certo senso Pier ha prima cercato di creare un pubblico, poi ha allargato gli orizzonti e ha cercato di dialogare con il mondo intero. Sono preziosi e ancora attualissimi i suoi interventi, raccolti in Un weekend postmoderno: dovunque scrivesse restava se stesso, parlava soltanto degli autori che amava. Come dicevo non mi addentrerò nei libri, mi limiterò a citare l'ultimo romanzo, da me amatissimo: Camere separate. L'ho riletto recentemente e mi ha di nuovo emozionato, come e più della prima volta. Succede di rado. Il presente, come dicevo, è insidioso e pochissimi libri resistono a una rilettura dopo vent'anni. Molti libri e molti autori sono scomparsi negli ultimi vent'anni (alcuni immeritatamente!) ma Camere separate resta un romanzo che ci riguarda, che continua a parlarci.
Ho incontrato Pier in numerose occasioni, a Milano, a Bologna, a Firenze, in treno, ma il ricordo più prezioso che ho di lui è un incontro in absentia, tanto per cambiare mancato da me. Prima di tornare definitivamente a Correggio, Tondelli tornò dopo molti anni a Bologna. Io purtroppo avevo appena lasciato la mia casa di via dello Scalo, della quale gli avevo parlato e che era stata molto importante per me. Pier venne comunque a trovarmi. Sapeva che non ci abitavo più. Gli aprì la porta un amico, Renato, al quale avevo lasciato casa e mobili, che lo riconobbe subito e lo accolse cordialmente. Pier gli spiegò che da tempo voleva visitarmi in questa casa, e siccome io ero andato via voleva almeno vedere dove avevo vissuto e scritto i miei libri. Andò in giardino e ci rimase un po'. C'era una bella rosa, vecchissima, e il perimetro del giardino era delimitato da una siepe di caprifoglio. In fondo c'era un grande albicocco. Visitò ogni stanza. Il mio studio, con vista sul giardino, le camere, la cucina e la sala da pranzo. L'intera casa, su due piani, era riscaldata da un'unica stufa, e sembrava fuori dal tempo. Non saprò mai cosa lo colpì in particolare ma Renato mi disse che guardando a lungo il giardino dall'alto si era commosso. Poi si era seduto sulla mia vecchia poltrona, mentre Renato rispettosamente si teneva da parte. Considero questo il nostro ultimo incontro.