Tutti in ansia e insicuri
"Mi fanno paura i voti", la tredicenne fissa i suoi leggins neri. "Hai preso dei brutti voti?" "No, quelli non li prendo mai – io ho paura dei voti, tutti i voti. Prendo nove o dieci, quasi mai otto, ma ho paura anche dei nove e dieci. La sera prima della restituzione di una verifica, non dormo. Ho il terrore delle cifre che saranno scritte sul mio foglio."
"Quando il sangue inizia a gocciolare" dice la sedicenne con un filo di voce, "io sto meglio. Sono calma. Sono loro che creano tutto quel caos attorno." – Loro chi? – "Gli insegnanti, l’ambulanza, il preside, i genitori. Mi accusano di influenzare le altre." – Quante siete in classe che vi tagliate? "Sei!" la risposta è accompagnata da un sorriso.
"Sento le mie cosce grossissime". L’undicenne trattiene il fiato, come se avesse svelato un segreto. "E mi ripeto: non devi mangiare i crackers, non devi mangiare i crackers." Il suo sguardo mi attraversa senza trasmettermi alcuna emozione: "Tu cosa mi consigli?"
Da quando gli smartphone permettono di essere costantemente online (dal 2010 in poi) – è stato riscontrato un aumento inarrestabile di ansia e depressione negli adolescenti, in particolare nelle ragazze. Lo scrive Jonathan Haidt nel suo bestseller mondiale La generazione ansiosa. Haidt descrive correlazioni rilevanti tra l'uso dei social e la salute mentale e riporta che gli adolescenti negli Stati Uniti passano mediamente sette ore al giorno davanti agli schermi.
Ho chiesto a un ragazzo ventenne, in terapia con me, quante ore al giorno trascorre sugli schermi. "Cinque o sei, più o meno" risponde, "ma se vuoi, ho la app, possiamo controllare." Abbiamo guardato insieme la sua app: un giorno prima erano nove ore e 40, l’altro otto ore e 30, due giorni prima dieci ore e 20. È rimasto più stupito di me.
Non si tratta solo delle ore trascorse nel mondo virtuale. Oggi notiamo cambiamenti più drastici e difficilmente reversibili inerenti alle dinamiche intrapsichiche. Riguardano soprattutto un bisogno che sta alle radici dei processi di maturazione e di socializzazione: il bisogno di essere visti e riconosciuti dagli altri.
"Tutte abbiamo tre account sui social", mi spiega una quattordicenne, "uno privato solo per gli amici, uno pubblico e uno...insomma, abbiano un terzo account, con un profilo totalmente fake. Con quell’account posso seguire chi voglio, perché nessuno sa che sono io." – "Capisco, quell’account non sei tu, ma sei tu ad usarlo". – "Esatto, io posso seguire gli altri. E posso entrare nei siti più strani." Fino a ieri si andava dallo psicanalista per confrontarsi sulle cose strane. Oggi c’è il terzo account. Chissà dove sarà situato. Mi rendo conto che la parola dove è superata oggi. D’altro canto in questi luoghi che non hanno fisicità, si produce un tipo di intimità particolarmente intensa. Si crea una sensazione di vicinanza creata dalla iperstimolazione sensoriale, limitata alle percezioni visuali e acustiche. Un’intimità senza il tatto, il gusto e l'olfatto.
La ragazza desiderava guardare gli altri senza essere vista. Una forma di voyerismo? Potrebbe trattarsi anche del suo opposto. Quel bisogno vitale di essere visti e riconosciuti dagli altri. È per quel bisogno che i ragazzi rimangono incollati a guardare video altrui? Non sembra logico. Lo fanno perché sperano di trovare il trucco, perché un giorno diventi "virale" un loro video?
Cercando di capire, ho provato a guardare i videoclip come arrivano sul cellulare di una sedicenne: da un sito cinese famoso. I contenuti erano lontani dai miei interessi e i protagonisti lontani dalla mia età. Nonostante ciò, devo ammettere che durante l'esposizione mi sono sentita in compagnia, come se fossero venuti a trovarmi dei vicini di casa che non avrei mai invitato. Quando ho spento lo schermo, i colori della mia stanza sembravano più opachi di prima, il cielo fuori meno azzurro e le cose che avevo da fare sembravano lontane. La iper-stimolazione audiovisiva aveva già lasciato traccia nel mio cervello.