L’altra metà del cielo / 494 - Bauhaus al femminile
Leggere che tra le Bauhausmädels, le ragazze del Bauhaus, c’era anche una misteriosa italiana, addirittura allieva di Kandinskij, è stata un'autentica sorpresa. Autrice di questa scoperta è Anty Pansera, ce la rivela nel suo libro 494 – Bauhaus al femminile, recentemente pubblicato da Nomos Edizioni (pp. 302, € 24,90) che sarà presentato l'11 gennaio in Triennale. Quella fanciulla si chiamava Maria Grazia Rizzo ed era di Avellino.
Su di lei, come su tutte le 494 donne del Bauhaus, in totale nel corso dei suoi 14 anni di esistenza, da Weimar, a Dessau, a Berlino: 475 studentesse, 11 docenti, 6 donne intorno a Walter Gropius, 1 manager, 1 fotografa, Pansera ha condotto una ricerca archivistica mirata e inedita che ha finalmente disvelato le loro storie personali e messo l’accento sulla loro creatività, da sempre oscurata dalla presunta ‘supremazia’ maschile, pervicacemente sostenuta da Walter Gropius, primo direttore della scuola, di cui è stato anche il fondatore (Weimar, 1919), e di seguito perpetuata dai suoi successivi esegeti.
È infatti risaputo che le allieve, dopo il Vorkurs (il biennio propedeutico, della durata di sei mesi, tutto incentrato sulla liberazione delle facoltà creative e sull'acquisizione dell'autonomia progettuale, dove hanno insegnato artisti del calibro di Josef Albers, Johannes Itten, Paul Klee, László Moholy-Nagy), su esplicita imposizione di Gropius, venivano ‘indotte’ dal Meisterrat (il Consiglio dei Maestri) ad iscriversi soprattutto ai corsi di specializzazione in Tessitura e in Ceramica, ritenuti più ‘adatti’ alle donne, ostacolandone l’accesso al corso di Architettura, a cui molte di esse avrebbero invece ambito (ne racconta anche Theresia Enzensberger in La ragazza del Bauhaus, Guanda, 2019).
Dati alla mano, sui circa 1.400 studenti che risultavano iscritti al Bauhaus, dal 1919 al 1932, solamente 36 ragazze ebbero accesso ad Architettura, mentre la percentuale più elevata di esse si divise tra Tessitura (la maggior parte), Ceramica, Fotografia, Stampa, Legatoria, Pittura murale, Falegnameria e Lavorazione del vetro. E tutto questo avveniva a discapito di quanto invece sostenuto nel famoso Manifesto, concepito dallo stesso Gropius, con xilografia di Lyonel Feininger, pubblicato il 12 aprile 1919, in cui si proclamava che uomini e donne potevano liberamente accedere alla nuova scuola nella più assoluta uguaglianza.
"Vengono ammesse tutte le persone incensurate, senza riguardo all'età o al sesso. Nessun riguardo particolare per le donne, quando si tratta di lavoro siamo tutti artigiani [... ] assoluta parità di diritti, ma anche assoluta parità di doveri. Non ci deve essere differenza tra il sesso più bello è quello più forte.”
Tuttavia, Gropius, ad un certo punto arrivò addirittura a sostenere la necessità di creare una “classe delle donne”!
Nel libro dedicato alle Bauhausmädels, si ritrovano molti nomi noti, come quello di Anni Albers, di Otti Berger, di Lena Bergner Mayer, di Marianne Brandt, di Alma Buscher, di Marguerite Friedlaender-Wildenhain, di Gertrud Hantschk Arndt, di Benita Koch-Otte, di Lucia Moholy-Nagy, di Lilly Reich, di Gunta Stölzl, di Re Soupault, etc., accanto ad altri che si conoscevano appena o che risultano del tutto ignoti, quelli, insomma, delle cosiddette “figure minori”, ma tutte le loro portatrici sono protagoniste di storie intense ed avvincenti. Così Pansera: “Certa, però, e comune, è la loro determinazione a trovare una propria strada, diversa, rispetto al contesto in cui sono nate e/o si sono formate: strada, molto probabilmente, impervia; a mettersi alla prova in un modo nuovo, e soprattutto in settori prima non accessibili e, se in un terreno tradizionalmente femminile come la tessitura, mettendo a punto linguaggi felicemente moderni.”
Sicuramente, ad accomunarle, insieme alla creatività e allo spirito indomito, c'era anche il look, o, come si direbbe oggi l’outfit.
“Numerosissimi sono i ritratti fotografici delle Bauhausmädels, che esplicitano l’adesione a certo mood contemporaneo, l’emancipazione, il senso d’uguaglianza: a indossare i pantaloni e sfoggiare il taglio dei capelli a caschetto, quel Bob cut che denotava modernità e indipendenza, a volte a mostrare le gambe inguainate in calze di seta; Gunta Stölzl a sfoggiare la cravatta”, si legge nel libro.
A tale proposito, come non ricordare lo stile 'sacerdotale' degli studenti del Vorkurs di Johannes Itten? Una livrea unisex (di taglio maschile, of corse): pantaloni larghi, giacche marroni con il cappuccio, simile alle cotte dei monaci, che conferivano a questo gruppo votato all'ascetismo un aspetto monacale, sottolineato anche dalla pratica di diete vegetariane, di esercizio fisico e di astinenza dal sesso.
Itten, infatti, aderendo al movimento del Mazdaznan (che significa approssimativamente pensiero principale), contribuì a coltivare nella generazione dei bauhäusler l'interesse per la realtà dello spirito (Wirklichkeit des Geistes), inducendola ad interrogarsi sul rapporto tra vita e dimensione sovrannaturale. Ed anche molte delle nostre ragazze condivisero tale modo di pensare, di esistere e di vestire, almeno fino al 1922, anno in cui il Maestro lasciò la scuola.
Su 475 studentesse iscritte al Vorkurs, solamente 181 hanno proseguito gli studi fino a conseguire il diploma finale e, tra di esse, soltanto due sono poi diventate insegnanti nella medesima scuola: l'immensa Anni Albers (se ne legga qui su Doppiozero), un'artista di primaria grandezza, moderna Penelope, come lei Regina del telaio e l’altrettanto straordinaria designer Marianne Brandt, votata al dio Vulcano, in quanto Signora dei Metalli.
Se Marianne Brandt, dopo il Vorkurs, poté frequentare l’Officina dei Metalli fu solo grazie all’intercessione di Moholy-Nagy che ne apprezzava la grande creatività e la notevole perizia tecnica. Tuttavia, la Brandt fu costretta ad una gavetta di fuoco (e mai metafora fu più indicata), osteggiata com'era dai colleghi che condividevano il maschilismo gropiusiano. “È lei ad aver disegnato alcuni dei pezzi più iconici associati al Bauhaus" scrive Pansera "oggetti casalinghi in forme semplici ed essenziali (sfera, cerchio, cilindro), caratterizzati dalla combinazione di materiali diversi, come un posacenere che assomiglia a una palla di metallo dimezzata (oggi nella collezione del MoMA), un infusore e un filtro per tè d'argento, esempi di ricerca di semplicità nel processo di imbutitura e stampaggio industriale. E citiamo, ancora, solo la piccola teiera, in ottone argentato e legno di ebano, progettata nel 1924, a pianta circolare, con un coperchio tondo e una maniglia semicircolare sulla superficie dell'oggetto. Ma anche le sue prime stoviglie in ottone, argento, vetro ed ebano sono testimonianza, seppure fatte a mano, di una nuova estetica finalizzata alla produzione industriale."
Nel 1928 Marianne sarà chiamata addirittura a sostituire Moholy-Nagy nella didattica e nella direzione del laboratorio dei Metalli e persino Gropius finirà per capitolare all'evidenza della sua abilità, arrivando a richiederne la collaborazione in alcuni suoi personali progetti di mobili e di arredamento d'interni. Un passo da gigante verso quell'eguaglianza che avrebbe dovuto essere un dato di fatto e non soltanto un disatteso postulato in quella scuola per tutto il resto così all'avanguardia e democratica, fondata sul principio di collaborazione tra maestri e allievi.
Gunta Stölzl è tra le prime ad iscriversi al Bauhaus nel 1919. Segue tutto l’iter didattico frequentando il Vorkurs di Itten, quello di Klee e persino quello di Muche. Dopo aver superato gli esami, frequenta il laboratorio di Tessitura, del quale, nel 1926, diventa Jungmeisterin per assumerne poi addirittura la direzione, incarico che ricoprirà fino al 1931.
“L’orientamento tessile le è congeniale”, scrive Pansera “in lei trovano perfetta rispondenza talento personale e compiti da svolgere. Così cattura immediatamente l'attenzione dei suoi insegnanti e colleghi per la sua esuberanza intellettuale, la sua voglia di sperimentare. E per la sua predilezione per il patchwork, per le linee ondulate dei suoi tessuti che si fondono in mosaici caleidoscopici di colori e si concretizzano in meravigliosi arazzi e tappeti nonché, collaborando con Margaretha Reichard nei rivestimenti delle sedie di Breuer."
Recentemente, su Marianne Brandt, Gunta Stölzl ed altre tre Bauhausfrauen è uscito anche un documentario, dal titolo Haunted Bauhaus. Occult spirituality, gender fluidity, queer identities and radical politics, opera di Elizabeth Otto.
L'interesse per la riscoperta, a vario titolo, delle figure femminili del Bauhaus, a cento e due anni dalla sua fondazione, è finalmente in crescita esponenziale.
Tornando al libro, che dire poi della straordinaria Lilly Reich, docente al Bauhaus nella stagione berlinese e coautrice di Mies van der Rohe nel campo del design e dell'architettura degli interni? (Se ne legga qui su Doppiozero).
La prima ad insegnare Caratteri Tipografici, nel 1919, a Weimar fu Dorothea Eugenie Pauline, detta Dora Wibiral, una talentuosa allieva di Henry van de Velde. Tuttavia, un vero e proprio laboratorio di stampa Tipografica "sarà aperto soltanto a Dessau nel 1925 come Officina di Stampa e Grafica pubblicitaria, ma molti maestri e studenti dimostrarono fin da subito un interesse nei confronti della composizione tipografica", ci ricorda Anty Pansera.
La Wibiral sarà allontanata dal Bauhaus per la sua storia d'amore con Dorothea Seeligmüller, anch'essa per un breve periodo insegnante al Vorkurs.
Tra le Maestre non figurano però soltanto artefici, per quanto esse fossero in realtà più prossime all'essere artiste, tra di loro c'è stata anche una teorica, Lydia Gertrud Grunow (che fu anche cantante e pianista). Lì chiamata ad insegnare da Itten, raccoglierà i suoi fondamentali studi nel saggio La creazione della forma vivente attraverso il colore, la forma e il suono. Pubblicato nel 1923 nel catalogo della prima grande mostra del Bauhaus (uno degli eventi artistici più importanti del novecento!), tenutasi a Weimar, indaga quella che Argan definirà Teoria dell'amonizzazione
senza, tuttavia, attribuirne la maternità alla Grunow.
Essa si pone l'obiettivo di incentivare "l'uso equo e armonioso di tutti i sensi, a partire da un'esplorazione delle relazioni di base tra colore, suono e movimento" chiarisce Pansera "e il suo cerchio di 12 toni cromatici porta a stabilire un'analogia con la musica dodecafonica di Schönberg. In più, esplora anche le correlazioni tra forma e colore in un modo che può essere confrontato con il taglio dei corsi tenuti da Itten, Klee e Kandinsky.”
Il suo insegnamento pratico "detto di armonizzazione, e fondato sulla base unitaria del suono, della forma e del colore integrava le diverse attitudini fisiche e psichiche dei singoli. Esso surrogava ogni altro insegnamento umanistico o cattedratico: il suo scopo era di abituare ad una percezione esatta e immediata dei fatti formali e di indurre nei giovani una spontanea disposizione a inquadrare ogni dato d'esperienza in un nitido contorno formale. Questa disciplina tendeva a sviluppare contemporaneamente e in stretto rapporto l'attitudine attiva e quella recettiva, che erano considerate inseparabili; cioè a ribadire il principio che la sensazione e la percezione sono momenti attivi dello spirito, e quindi non mere premesse della forma, ma autentica forma. La cultura che si voleva dare all'artista non era un patrimonio di esperienze, ma una libera capacità di esperienza, un modo lucido d'essere nel mondo, una chiara coscienza di civiltà." (Argan, Walter Gropius e la Bauhaus, Einaudi, 1951, pag. 47)
Maestra di attività motoria femminile e coreografa nella classe di Teatro di Oscar Schlemmer, fu poi Karla Grosch, allieva della grande ballerina di Dresda Gret Palucca. A lei si devono "esperimenti di movimento per consentire una nuova connessione tra corpo e spirito." Sue eccelse performance furono anche le famose Metalltanz (la Danza del Metallo, 1927) e Glastanz (Danza del Vetro, 1929, in cui indossava una gonna fatta di bacchette di vetro e teneva delle sfere di vetro tra le mani e sulla testa) messe in scena da Schlemmer.
E questo per quanto riguarda le insegnanti, ma il libro di Anty Pansera è ricco soprattutto di informazioni su molte delle studentesse, tutte recuperate studiando gli archivi: famiglia d'origine, doti artistiche, religione, amori e matrimoni. E poi i loro capolavori: i giocattoli di Alma Buscher; le fotografie di Gertrud Arndt, di Lucia Moholy-Nagy, di Re Soupault (che fu anche stilista) e di Katt Both (che fu anche designer); i tessuti di Otti Berger, di Lena Bergner Mayer e di Benita Koch-Otte; le ceramiche di Marguerite Friedlaender-Wildenhain e quelle di Grete Marks, tanto per citarne solamente alcuni.
Più unica che rara è stata poi l'esperienza di Lotte Beese in Architettura. Ma siamo già al tempo della direzione di Hannes Mayer che non era prevenuto come Gropius sulle donne architetto.
In appendice, una tavola sinottica, elaborata da Mariateresa Chirico, risulta particolarmente utile per conoscere i dati anagrafici e i luoghi di provenienza delle 494 Bauhausmädels, nessuna esclusa.
Il volume è anche denso di notizie e di aneddoti sulle loves tra docenti maschi e allieve (nessuna tra docenti femmine e allievi!) e di liaison, più o meno ufficiali, dei Maestri con le loro compagne.
Com'è noto, ad essere assai movimentata è stata soprattutto la vita amorosa di Gropius. Affascinante tombeur de femmes, ebbe sempre storie d'amore tempestose e coinvolgenti con donne bellissime. Una di esse la conobbe ad Hannover, mentre teneva una conferenza per illustrare il programma del Bauhaus. Era il 28 maggio 1923, dieci giorni esatti dopo il suo quarantesimo compleanno. Lei si chiamava Ise Frank, aveva ventisei anni e possedeva "quel genere di bellezza con cui la giovane Greta Garbo avrebbe in seguito catturato le platee dei cinema." (Fox Weber) E Gropius se ne innamorò perdutamente, ricambiato.
A lei Jana Revedin ha dedicato il bel romanzo dal titolo La signora del Bauhaus, Neri Pozza, 2020.
Nella scuola, furono numerose anche le relazioni fra studenti. "Più di settanta – annotano alcuni testi – i matrimoni interni al Bauhaus! E sottolineano anche come un terzo delle studentesse che hanno studiato per tre semestri o più hanno qui incontrato i loro futuri mariti!" ci informa Pansera.
Per non togliere al lettore il piacere della lettura, mi fermo qui, lasciandolo al gusto della sorpresa e della scoperta.
A proposito dell'avellinese Maria Grazia Rizzo, al momento, su di lei le informazioni sono ancora scarse, nonostante la puntuale ricerca archivistica condotta dall’autrice, coadiuvata da esperti locali che hanno rinvenuto il suo atto di nascita e notizie sulla sua residenza in città. Purtroppo non si sa più di questo:
"Come è arrivata a Weimar? E dove, poi, è finita?", si interroga Pansera. I Lupi irpini, in veste di segugi, sono sulle sue tracce per indagarne la storia e la sorte, per ora ancora avvolte nel mistero.
Attendiamo fiduciosi.