Speciale

Antologia / Antonio Delfini

16 Agosto 2011

Delfini racconta la passeggiata con precisione quasi burocratica, ne descrive gli intenti, la direzione, l’ambiente e i suoni circostanti. Delfini non ha bisogno di addobbare una finzione, ma onestamente descrive, direi quasi fa rapporto, del passeggiare con meraviglia. Un atteggiamento morale ed etico che dona al lettore la forma più semplice e rara di stupore.


La passeggiata

Sono andato dove non so, dove non sono forse arrivato, dove mi è piaciuto andare,
perché la gente se ne avesse a male.

La gente, quella che ti dice sempre la strada e non pensa nemmeno a ripulirla, questa regina degli spazzini scioperati.

Mi pare che la vita fosse libera e pulita perché il cielo aveva voluto così.

Mi pare che ogni tanto ci fosse una casa come quella della vecchia che stava alla porta a filare e di sera raccontava le favole ai bambini.

Mi pare che a un certo punto ci fosse un castello con due occhi neri che mi guardavano, e mi affascinavano come la sala di un caffè dalle tendine rosse.

Mi pare, e non so perché, che in fondo ci fosse un mulino, di quelli che vanno con la modernità, che fumava fumava e mandava un acre odor di carbone su nel cielo, così per farmi sognare i viaggi in treno e farmi battere il cuore perché avrei pensato che a momenti ero a casa mia:
la vecchia casa col cortile buio, dove risuona sempre il rumore del secchio sbattuto contro l’acqua del pozzo.

 

Udivo un suono di chitarra, un canto di ubriachi, e sentivo un odor di fiori di campo sotto la luna, perché era giorno e la fantasia correva con la sera, così come alla sera via via col sole che nascerà domani.
    
Pensavo che cosa ero io e camminavo.
Fischiavo cantavo e continuavo a camminare.

Sognavo di arrivare in una città che tenesse le fanfare in piazza tutto il giorno e tutta la notte e nei minuti d’intervallo tra una sonata e l’altra, si udisse il fischio dei treni sortire dai comignoli delle case.

Poi pensavo, chissà, che oltre quei monti ci doveva essere una ragazza con gli occhi verdi che guardava sempre il mare.

I monti stavano a picco sulla valle e avrei dovuto arrampicarmi lassù a forza di unghie.

E se l’avessi trovata là sulla cima?
No, era impossibile, lei non stava che in faccia al mare.

Non fischiavo più, non cantavo più e continuavo a camminare.

Era così bella la strada, così facile, così bianca, con le sue casette, le sue vecchie, i suoi bambini, il suo castello e quella città del sogno!

Com’era bella quella città!
Nemmeno una vettura, nemmeno un avvocato, soltanto fischi e trombe.

Perché adesso quei monti?
E perché quella ragazza?

Sono andato dove non so, dove non sono forse arrivato, dove mi è piaciuto andare,
perché la gente se ne avesse a male.

da Ritorno in città in Antonio Delfini, Autore ignoto presenta. Racconti scelti e introdotti da Gianni Celati, Einaudi, Torino 2008   

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