Oggi non sarà mai domani / Che ne è oggi del soggetto collettivo?
Il soggetto è collettivo
Il termine soggetto collettivo è riemerso, dopo anni di silenzio. Come si andasse a trovare un anziano signore, che ha avuto un lungo periodo di popolarità e, dopo la pensione, si fosse ritirato a vita privata entrando in casa di riposo.
In generale, quando diciamo: “soggetto”, parliamo di un individuo, come di un numero all’anagrafe, un nome proprio. Ma il soggetto, più che essere individuo, appartiene alla singolarità dell’evento. Dobbiamo pensare a un insieme - un corpus - che si disordina, esce dai confini propri, invade territori. Il soggetto è sempre collettivo perché non è identità, ma differenza. L’individuo è astrazione, il soggetto appartiene al concreto.
Per maggior chiarezza: il termine “individuo” si riferisce a un’identità chiusa, coerente, eguale a se stessa, una sorta di ripetizione indifferenziata, è un concetto razionale, cristallizzato; il soggetto si presenta sulla scena della vita come singolare, in quanto appartiene a un sostrato storico: il farsi e disfarsi della vita.
Il soggetto collettivo è entità propria, sui generis, sistema che produce eventi: gesto, carezza, schiaffo sono soggetto collettivo, non appartengono all’individuo sono sempre transizioni, relazioni. A maggior ragione se parliamo di fenomeni sociali come l’ospitalità, il respingimento, la festa, la guerra, ecc..
Di questi tempi molti eventi hanno carattere distruttivo, significa che il soggetto collettivo si sta trasformando. Non è una novità, gli uomini, in nome della trascendenza - Dio, la Nazione, la Patria, la Causa, la Missione, la Legge, persino la Ragione - si ammazzano, si opprimono, si torturano, si incarcerano reciprocamente.
L’evento dunque non è sempre cosa buona, si tratta di osservare il mondo dal punto di vista del soggetto collettivo: non sono gli individui che creano eventi, perché sono gli eventi a creare il soggetto.
Hitler non ha creato il nazismo, sono gli eventi del primo dopoguerra che hanno creato la scalata al potere di Hitler. L’individuo Hitler proviene da un conglomerato di eventi che conduce alla distruzione: il nazionalismo, la secolare tradizione antisemita europea, che perdura anche oggi, le pesanti sanzioni attribuite alla Germania dopo la sconfitta, l’idea scientista (biologica e psicologica) che pretende di fondare il razzismo come inferiorità/superiorità tra i tipi umani, la diffusione dell’eugenetica, le pratiche di mobilitazione e addestramento di massa, il controllo capillare dell’intimità familiare, infine una guerra devastante.
Che ne è oggi del soggetto collettivo? Come sta, questo concetto, che era finito nei retroscena dalle terminologia psicosociale? Il soggetto collettivo è in ostaggio, prigioniero dell’eterno presente, sta in una casa di riposo, è vero, ma in un ospizio per anziani non autosufficienti, perché ha perduto la memoria.
Il contemporaneo è invecchiato
Come può invecchiare il contemporaneo?
La definizione storica del contemporaneo sembra sbriciolarsi. Stiamo vivendo nel mondo in cui la Regina regala un barattolo di marmellata ad Alice, da ritirarsi un giorno sì e uno no, a partire da domani. Poiché oggi non sarà mai domani, Alice non avrà mai la marmellata. Il contemporaneo è stato sopraffatto dall’eterno presente, che non ha origini e non ha futuro. La memoria è sbriciolata, non ci sono testimoni.
Questa la condizione psichica del contemporaneo, che ha conseguenze antropologiche importanti; viviamo come fossimo eterni, come pezzi di marmo. Eppure la storia, che abbiamo eliminato dalla vita, si ripresenta nella forma dell’inconscio sociale. Emergono, in modo potente, risentimenti, rancori, invidie, gelosie che covano odio sotto il velo di una normalità. Nel reale è guerra di tutti contro tutti.
Negli ultimi frenetici anni, le bio-politiche, che mantengono la vita per la riproduzione sociale del capitalismo, si coniugano al potere del sovrano, che torna a infliggere la morte. Le risorse, un tempo risparmiate, vengono di nuovo dissipate; di nuovo il sovrano è assoluto, può sequestrare corpi in uno spazio concentrazionario, devastare territori rigogliosi, impedire azioni umanitarie in nome dell’emergenza, sfidando le leggi, le costituzioni.
Il diritto alla vita è riservato a chi appartiene alla Nazione, non ha difetti fisici o morali, possiede un corpo sano. Con gli altri vale la pena di morte. La democrazia è riservata a chi sta dentro questi parametri, per chi sta fuori è dittatura. Nel contemporaneo si fondono il potere del principe/dittatore, totalitario, e il controllo delle popolazioni, capitalista, ma senza più democrazia.
Alcuni potrebbero sostenere che la condizione di questi nuovi dittatori e l’eversione popolare verso norme di cooperazione tra paesi amici, come la Brexit, debba essere sottoposta ai limiti della Legge, delle costituzioni, delle norme europee. Si dice: “questi scalmanati dalla mentalità infantile non possono agire in base ai loro capricci”. Tuttavia “questi scalmanati” ottengono quantità straordinarie di consensi.
Assistiamo all’incapacità, da parte delle, ormai, frange democratiche di farsi intendere, di affascinare le folle.
Il razionalismo illuminista è del tutto insufficiente; le folle, come insegnava Gustave Le Bon (1841-1931), sono pulsionali, le masse, come sosteneva Ortega y Gasset (1883-1955), si ribellano per affossare la convivenza civile. Si affidano a un carisma. Non si riesce ormai più a pensare il contemporaneo come entità storico-sociale; se il Novecento è stato definito il secolo breve, dai primi anni del secolo presente dovremmo parlare di “secolo istante”, l’estrema velocità ci ha imprigionati dentro a un eterno presente.
Chi non ricorda le nostre migrazioni non ha accesso psichico all’ospitalità verso gli altri, chi ha dimenticato le sue origini non può creare legami di amicizia, chi non ricorda la propria infanzia non può pensare al futuro dei figli, chi è costretto a dilapidare il proprio patrimonio per le folli politiche economiche di governi sconsiderati non avrà più neppure un lascito economico da trasmettere. La morte cambierà e nessuno verrà più a piangere la nostra scomparsa.
Ci sarà ancora un soggetto collettivo capace di invertire questa tendenza? Se i giovani riapprendono a distinguere e a connettere i piani storici di ciò che un tempo veniva considerato contemporaneo, allora forse ci saranno nuove speranze, ma sarà un paziente lavoro di lunga durata, arriverà il momento in cui il soggetto collettivo rinascerà e tornerà a essere differenza che crea differenze.