I suoi 16 mm / Marinella Pirelli. Estranea a se stessa
Marinella Pirelli (Verona 1925 - Varese 2009) è uno dei pochi artisti italiani ad avere lavorato nel cinema sperimentale. Ha operato per più di cinquant’anni, trenta dei quali isolata dal carosello sociale che fa girare il mondo dell’arte, lasciando opere importanti sia di arte cinetica sia opere, meno note, in 16 mm.
Il lavoro cinematografico dell’artista dialoga con quello di altri due registi italiani, Piero Bargellini e Paolo Gioli, mettendo in discussione costantemente i paradigmi necessari per generare un'immagine e il suo rapporto con il dispositivo cinematografico.
Marinella Pirelli registra i suoi film in 16 mm negli stessi anni in cui nasce la videoarte e in cui incomincia una ricerca ancora ininterrotta attorno alla relazione tra corpo e tecnologia. Il suo cinema non è tanto e solo uno strumento per raccontare, quanto uno strumento che può creare immagini. Mentre l’ossessione per la pura luce si declina nello studio del rapporto tra natura e cosmologia, il disinteresse verso forme di intrattenimento la portano a dedicare attenzione a una prospettiva intima o di analisi del comportamento.
Per Marinella la luce è il primo impatto: “le immagini che non sono racconto di qualcosa, ma frutto della nostra fantasia, rappresentano semplicemente se stesse”. Piccola noia è uno spiazzante resoconto del disinteresse verso la distrazione e di un voluto processo di dimenticanza che porta verso la ricerca di forme astratte tra le cose umane. Il rapporto con la realtà attraverso la categoria del possesso, tipicamente borghese, diventa in lei il rifiuto della costruzione di ricordi in un ambiente di svago, vacanziero. La telecamera si aggira in luoghi di spensieratezza, se pur lontana dal mondo che la circonda, aliena.
Nel percorso di Marinella Pirelli Indumenti (1966) ha il valore di un documento storico. L’opera, muta, è infatti testimone di un momento privato in cui Luciano Fabro e Carla Lonzi sono entrambi presenti nello studio di Marinella Pirelli. L’esperienza privata dell’incontro fra l’artista e la critica d’arte, che di poco precede la pubblicazione di Autoritratto (1969), testimonia un tipo di indagine critica basata sul rapporto personale. L’esecuzione del calco dei seni di una donna che fuma viene poi collocata a parete.
L’antagonismo tra visivo e verbale che caratterizza la prima fase dell’attività di Lonzi anticipa lo stadio in cui l’oralità scenderà in campo contro la scrittura e quella in cui subentrerà il rifiuto di partecipare ai momenti celebrativi della creatività maschile. Scriverà infatti Lonzi nel 1971: “L’artista si aspetta dalla donna la mitizzazione del suo gesto ed essa, finché non inizia un suo processo di liberazione, risponde esattamente a questa necessità della civiltà maschile. L’opera d’arte non vuole perdere la sicurezza di un mito che si adagia nel nostro ruolo esclusivamente ricettivo. Prendendo coscienza della sua condizione in rapporto alla creatività maschile, la donna si scopre con due possibilità: una, quella usata fino ad ora, di raggiungere la parità sul piano creativo definito storicamente dal maschio, per lei alienante e riconosciutole dall’uomo con indulgenza; l’altra, quella che il movimento femminista sta cercando, della liberazione autonoma della donna che recupera una sua creatività alimentata nella repressione imposta dai modelli del sesso dominante … Con la sua assenza la donna compie un gesto di presa di coscienza, dunque creativo” (testo firmato RIVOLTA FEMMINILE e datato Milano, marzo 1971).
Marinella Pirelli alcuni anni prima che Carla Lonzi scrivesse ASSENZA DELLA DONNA dai momenti celebrativi della manifestazione creativa maschile, si concentrò sull’esperienza creativa in sé, sull’atto di filmare se stessa nel tentativo di registrare la propria essenza (o assenza del soggetto da sé), dando quindi visione anche della sue esperienza di essere artista e donna. Il risultato di questa ricerca è raccolto in Narciso - Film Esperienza (1966-67). In questa opera l’artista intenta un dialogo con sé mentre con la telecamera cerca di riprendere il proprio corpo, privato della testa e di tutte quelle parti che una visione frontale non consente. Narciso, immagine della moderna crisi del soggetto, è in Marinella il tentativo di essere presente a se stessa. La messa in scena della crisi della soggettività viene espressa attraverso parole che Marinella dice essere “parole false, difficili, sbagliate”. “Io in questa casa qui … Ci sono i bambini che dormono ... queste parole sono false quando vengono fuori … ma non è così falso … non si riesce a fare una conversazione così come si fa con un’altra persona. Ci si guarda. Si vivono assieme dei momenti, delle cose delle situazioni”. Estranea a se stessa, intenta un dialogo con sé ma “la verità di un qualche momento di noi … rimane dentro ... non è che lo dici”. Il doppio presente a sé stesso alla domanda: chi sono, ha come migliore risposta un punto interrogativo.
C’è in questo dialogo l’interrogazione di un falso individualismo e di una falsa singolarità in una società di massa che è, invece, individualizzata. Emerge anche una declinazione del concetto di straniero che è il soggetto in sé. Il recupero di una dimensione personale, autobiografica, all’interno di un atto critico, muove deliberatamente in direzione di una autorappresentazione. Che è mancante, parziale. La consapevolezza di un soggetto eccentrico – quindi non centrato per tutti in maniera identica – si contrappone ad un soggetto che pretende di essere universale. La storia, infatti, ha negato alle donne lo status di soggetto relegandole a oggetti delle costruzioni teoriche degli uomini e alla pura fisicità. In questo senso, il monologo di Marinella in Narciso è da considerare opera proto-femminista, anche rispetto a una riappropriazione del corpo per poter definire un’identità autonoma attraverso esso e il linguaggio.
La crisi del soggetto e il ripensamento radicale del rapporto tra i sessi nell’ordine sociale e simbolico, proprio in contrapposizione al soggetto maschile, è presente in maniera metaforica in Sole in mano (o appropriazione, a propria azione, azione propria), tratto dall’archivio personale dell’artista del 1967-1970 ed editato 1973. Si tratta dell’unico film in bianco e nero di Pirelli. Protagonista è il movimento della mano dell’autrice che, di fronte a un orizzonte e alla campagna, cerca di afferrare il Sole. La messa in discussione di un ordine simbolico (il Sole, simbolo divino per antonomasia nel sistema patriarcale, e principio maschile della vita) viene espressa attraverso il non ancora detto e con un gesto. Fondare una tradizione al femminile avviene attraverso una sottile e provocatoria opposizione al mondo maschile, con una forza a cui non siamo abituati e che ha tutta l’aria di un principio di de-colonizzazione. In questo caso infatti il simbolo solare non è rigettato, ma, ripiegato al proprio scopo, è riscritto per inventare un linguaggio e un ordine simbolico nuovi su un duplice livello, personale e sociale. Il soggetto, riconoscibile in un corpo, che contesta la metafisica asessuata del maschile, arriva a superare i limiti di quel corpo.
La vista di una viola apre l’opera Bruciare (1971). In questo lavoro l’immagine di un uomo di colore che fuma si alterna alla visione di un giardino ben curato, a primi piani su fiori che ricordano vagamente i Flowers (1964) di Andy Warhol. Una sigaretta si nasconde ad ogni inquadratura dietro ai petali di differenti fiori, per bruciarne la pelle sottile. Il fiore, simbolo di bellezza e fragilità, viene deturpato dal calore della sigaretta accesa.
Il lavoro pubblico di Marinella Pirelli si interrompe quando nel 1973 viene a mancare suo marito Giovanni, erede negli anni Cinquanta della celebre industria di pneumatici, che rinuncia a dirigere, e autore di Lettere dei condannati a morte della resistenza italiana (8 settembre 1943 - 25 aprile 1945).
L’anno seguente Marinella Pirelli produce il suo ultimo film Doppio Autoritratto. Il lavoro è così introdotto da uno scritto dell’artista del gennaio 1974: “In questo film ho cinematografato me stessa. Agisco contemporaneamente come operatore e come attrice. Nelle sequenze di movimento mi sposto con la cinepresa in mano rivolta verso di me. Nessuno controllava l’immagine attraverso la cinepresa durante la ripresa. La cinepresa era il mio partner: Ognuno di voi è ora il mio partner”. Nessuno di noi è mai presente nella visione di sé: “Quando mi vidi non c’ero” esce dallo schermo e entra nella vita contemporanea doppiata e in cui il soggetto non coincide mai con se stesso, perché è l’altro.
“Il commento musicale è tratto da Iudita Triumphans di Antonio Vivaldi e da Lamento di Arianna di Claudio Monteverdi”. Questo lavoro è dedicato a Vincenzo Agnetti. Pirelli riprende se stessa in viso. Alle riprese di sé sono alternate proiezioni di scritte presenti nel lavoro di Agnetti, la prima delle quali è “QUANDO MI VIDI NON C’ERO” seguito da differenti inquadrature di Marinella e da “QUANDO TI VIDI NON C’ERI” accompagnato dal lamento di Arianna.
Marinella Pirelli si ritira dalla scena nella sua casa di Varese, dove continua a lavorare fino al 29 giugno 2009.