I dialoghi sul male di Luigi Zoja
«Alta, orgogliosa, alzò il braccio destro impugnando un bastone, per tagliare lo spazio separando il bene dal male». A compiere il gesto manicheo (in una posa che ricorda la signora Lucia di Davanti San Guido di Carducci: «Alta, solenne, vestita di nero»), il bene di qua il male di là – i buoni e i salvati a destra, i cattivi e i sommersi a sinistra, i giusti su questo piatto della bilancia, gli ingiusti su quello, in alto le anime buone, in basso le anime dannate e via così – è, nel primo dialogo sul male di Luigi Zoja (Dialoghi sul male. Tre storie, Bollati Boringhieri, 2022), una ragazza cinese, Yunshi. Piccola leader della Rivoluzione Culturale, Yunshi è convinta di sapere ove si trovi il bene: nelle parole del Libretto Rosso del Presidente Mao, ovviamente; e di poter giudicare e condannare chi quel bene non segue.
Separare il bene dal male
Yunshi non sa di essere vittima di una concezione filosofica-politica che viene chiamata perfettismo o perfezionismo, individuata da Norberto Bobbio nell’illusione dell’esistenza di un fondamento assoluto presente sia nel mondo del pensiero, per cui ci si sottomette a una verità indiscutibile, sia nel mondo della volontà, in base al quale ci si adegua a un potere irresistibile a cui si obbedisce senza discutere. Benché molti abbiano notato, da Rousseau a Rosmini, che non siamo angeli, esseri dunque perfetti che conoscono la perfezione, ma persone normali che si arrabattano nella ricerca di vivere in maniera armoniosa senza creare troppi guai, l’idea del bene e del vero e del giusto assoluto cui tendere pervade molte correnti di pensiero e molte mentalità.
Lo coglie e ce lo mette davanti Luigi Zoja, cimentandosi con la narrativa. Zoja opera in maniera quasi brutale, gettandoci nell’acqua fredda e costringendoci così a confrontarci con le nostre certezze manichee, di qua il bene di là il male. E se il bene non c’è, come nel caso del secondo racconto sul male? «Non esiste un bene assoluto, qui si può solo scegliere tra due mali». A parlare qui è M., lo psichiatra maestro dello psicoanalista italiano che lavora a Zurigo. Facile quando da una parte ci sono fascismo e nazismo e dell’altra i resistenti: «Tutto il male avevamo di fronte, tutto il bene avevamo nei cuor», come dicono le parole di Italo Calvino musicate da Sergio Liberovici in Oltre il ponte (1959) che cantavamo con le guide (le ragazze scout) nei primi anni ‘60. Come è facile e liberatorio pensarla così.
Ma anche accettare di scegliere tra due mali, propendendo per il cosiddetto male minore può portare a derive pericolose, prima fra tutte quella del potere che sbandiera la soluzione ideale per tutti, imponendo misure peggiori del male cui si vuol porre rimedio.
«Ora rompo entrambi i segreti, per versarne il succo dentro di te»
Domande analoghe a quelle poste da M. le solleva Claudia, la zia della protagonista del terzo dialogo, che rivela alla nipote Telma il mistero della sua nascita con queste parole: «Ora rompo entrambi i segreti, per versarne il succo dentro di te». Anche noi lettori veniamo riempiti di questo succo e non possiamo più fare finta di ignorare i segreti, le cose inconfessabili, i dubbi che ci tormentano.
Svelo ora in medias res l’operazione che qui conduco: non una recensione letteraria dei racconti di Zoja, non ne sarei capace, ma una individuazione e discussione di problematiche filosofiche di questi racconti-dialoghi, dove soltanto lo spunto è attribuibile al suo autore. Il resto è mio, che lo si condivida o no.
Nel primo dialogo, Il tappeto, emergono frammenti della Rivoluzione Culturale Cinese, una pratica che durò dieci anni e fece un numero imprecisato, comunque altissimo, di vittime: persone umiliate, torturate, imprigionate, private dei loro beni, uccise, massacrate perché dichiarate nemiche della rivoluzione e del proletariato; spesso intellettuali e professionisti, cosiddetti controrivoluzionari da rieducare o eliminare direttamente in nome della visione organicista-comunitarista-collettivista che stava a cuore al partito e apriva la via alla perfezione tramite la rivoluzione che avrebbe messo fine a tutte le rivoluzioni.
In tale visione anche il corpo vivo delle persone, è prima d’ogni cosa parte della società. E in quel caso il Grande Timoniere del paese, Mao, aveva deciso di «essere anche il Chirurgo della Cina e di operarla senza anestesia». Il racconto del modo in cui viene trattata l’insegnante Litzhou, la madre di Wang, dalle sue allieve e dalla figlia stessa, è di una brutalità e di una violenza insopportabili tanto più perché condotta in nome del bene, della prevalenza del soggetto comunitario sul soggetto individuale, perdendo di vista la semplice considerazione che è soltanto nel e per l’individuo che si realizzano e si proteggono i diritti, i diritti dell’uomo, i diritti fondamentali che sono per eccellenza diritti individuali.
«Con la grigia, squallida, ragionevole maggioranza»
Con chi stare allora in caso di eventi drammatici e violenti sconvolgimenti della quotidianità: con «la grigia, squallida, ragionevole maggioranza» (come dice di sé Zoja nel secondo dialogo, il più autobiografico) o con le forze critiche, isolate, singole, individuali ma anche talvolta irragionevoli e infuocate? E qui riprendo il punto già accennato prima ma che mi sta molto a cuore: vedo con preoccupazione la recente nuova avanzata di forme di pensiero collettivista e comunitarista che minacciano le posizioni critiche e individualiste (che non vuol dire egoiste e iolatriche ma semplicemente legate all’individuo) sottese all’affermarsi e al sempre più faticoso permanere dei diritti umani, tra i quali quello alla inviolabilità della integrità della persona fisica e morale. Lo dichiara esplicitamente l’Articolo 3 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea che forse è bene ricordare integralmente:
Articolo 3
Diritto all’integrità della persona
1. Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica.
2. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati:
il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge,
il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle persone,
il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro,
il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani.
In nome di questo e di un analogo articolo della Costituzione tedesca il Parlamento tedesco (Bundestag) il giorno 7 aprile 2022 ha bocciato l’obbligo di vaccinazione per i cittadini di età superiore ai 60 (sessanta) anni di età; il giorno stesso in cui in Italia partivano le multe per i cittadini di età superiore ai 50 (cinquanta) anni che non avevano rispettato l’obbligo di vaccino votato dal parlamento italiano.
«Qualche passo indietro aiuta»
Il terzo dialogo ci porta nell’Argentina del 2018, Buenos Aires, dove Telma inizia a sospettare di essere figlia di desaparecidos adottata da genitori ligi alla dittatura degli anni ‘70, per scoprire invece che è la sua nascita è il banale frutto di una quallida storia di tradimento coniugale, decorata con le balle «che gli uomini che si innamorano di altre donne si raccontano fino a crederci» e condita di rozzo maschilismo. Telma scopre il suo mistero: non è figlia di una desaparecida fatta partorire e poi gettata da un aereo nell’oceano, ma di una operaia della ditta del padre, povera ma bella, divenuta la sua amante.
All’epoca della nascita di Telma la dittatura argentina vuole anch’essa eliminare qualcuno e qualcosa, ma non direttamente una classe o una «razza» quanto la cultura; eliminare la cultura, distruggere gli intellettuali con varie forme di violenza tra cui quella terribile della sottrazione di figli ai genitori naturali per darli in adozione a genitori fedeli al regime affinché non succhiassero il latte della critica e della rivolta ancora in fasce.
Oggi invece è la tirannia dei mass-media a uccidere la mente; «propone sentimenti ma somministra emozioni improfonde, veleni psichici». Per giunta – continua Telma parlando con la zia che le aveva versato in corpo il succo dei segreti – «pare che occupi il mondo intero e per sempre: non solo l’Argentina, e non solo per qualche anno, come la dittatura». E dunque? Il problema di Telma è il vuoto che la donna non vorrebbe più riempire di cioccolatini mangiati davanti alla televisione ma nemmeno con le sedute con la sua amata psicoanalista, che ha tenuta informata e partecipe della vicenda della sua adozione. E qui Zoja pone intorno al vuoto esistenziale una ultima e terribile domanda filosofica alla quale non si può sfuggire.
Quante volte persone intorno a noi ci hanno detto di sentirsi svuotate, soprattutto nel periodo della pandemia, soprattutto quelle che hanno aderito al pensiero della maggioranza (grigia, squallida, ragionevole) e non si sono fatte invece riempire dallo spirito critico della minoranza vivace, creativa, immaginativa? E che ora formano l’avanguardia di una nuova esistenza dove il vuoto, assevera Zoja, «non è una particolare patologia, ma una condizione normale». Un vuoto che nemmeno gli stereotipi, le retoriche perniciose e le intollerabili demagogie dei media e dei politici riescono a riempire. Una possibile strategia di uscita? Fare un passo indietro. Mettere distanza per cogliere il segno di ciò che accade. Qualche passo indietro, scrive Zoja, «aiuta a vedere, persino a respirare meglio».