Anteprima / È la nebbia che va

13 Agosto 2020

A volte ci si dimentica di come possa essere consolatoria e di compagnia la matita. Il suo silenzio grafico impressionante – carico di senso, quella sorta di fuliggine che palesa un contorno e simboleggia ombre; tratteggia tagli di luce. In un periodo come questo, in cui “inquadrare”, “arginare”, soprattutto “contenere” sono stati per diverso tempo i mantra di una grave emergenza sanitaria, il fumetto, con il suo svolgimento visivo su carta – da un quadro all’altro – aiuta la lettura degli eventi, ricollocandoli in una successione cronologica che, procedendo consequenzialmente fra i pieni e i vuoti delle immagini, ristabilisce un rapporto di proporzioni simulando l’andamento nello spazio.

Milano è ancora una volta la protagonista di questo disegno. Una Milano ritratta, rievocata e ricordata da Giancarlo “Elfo” Ascari nel nuovo volume È la nebbia che vaStorie milanesi, edito da Milieu edizioni (pp. 304), che ho potuto leggere quest'estate, in anteprima. Inizialmente prevista per lo scorso marzo, la pubblicazione è stata infatti travolta dall'incalzare degli eventi per essere definitivamente rimandata all'autunno. 

 

Giancarlo Ascari.


La ricca antologia a fumetti di Ascari ripercorre le tappe salienti di un percorso che ha visto nascere, nella Milano degli anni ’70, l’editoria più illuminata e creativa nell’ambito del fumetto, unitamente a quei molteplici processi di trasformazione sociale, urbana e antropologica cui sono legati fatti storici di grande rilevanza, tutt’oggi con aspetti irrisolti nelle varie linee interpretative e forti ripercussioni sulla politica, l’attualità, la cultura… Milano risuona ancora di quei profondi stravolgimenti e in questi giorni d'agosto in cui è semideserta, il suo scenario, libero dal tran tran quotidiano, appare quasi sconosciuto, distante, misterioso ed incerto e si può meglio immaginare come il passato si sia intrecciato al presente in quei minimi particolari, dettagli per lo più, che ne hanno condizionato in maniera determinante gli andamenti del futuro. 

 

Giancarlo Ascari nasce ad Avellino, nel 1951. “Elfo” è la firma che accompagnerà le sue tavole a partire da Lo statuto dei Lavoratori a fumetti edito per Gammalibri. Si tratta del primo lavoro che gli viene commissionato e che apre la strada alla sua produzione fumettistica, inevitabilmente segnata dallo sguardo attento alle mutazioni socioculturali del tessuto urbano in cui vive. È il periodo che va dagli anni Settanta fino ai primi anni Ottanta, in cui il sogno della comune studentesca dei movimenti del ’68 aveva sprigionato un’energia comunicativa in grado di manifestare l’insoddisfazione e il malessere di una generazione pronta a non subire passivamente gli effetti della nuova società dei consumi. Il segno grafico di Ascari sembra nasca da qui, da quel vissuto la cui intensità necessariamente si tramuta in esigenza espressiva, quasi che il ’68 vero e proprio non sia altro che la sua rappresentazione, o meglio, che la sua forza dirompente stia proprio nella sua rappresentabilità a scapito delle ricostruzioni storiche e delle sue future degenerazioni. Com’è possibile che un particolare aspetto grafico di un disegno possa permeare così tanto un periodo, al punto che vissuto biografico e narrazione a fumetti siano sovrapponibili? Dalle marcate ombreggiature di “Elfo”, usate – come l’autore stesso dice – “per supplire alle carenze tecniche”, emerge l’ingombro storico di una città che se osservata dalla giusta prospettiva, restituisce ancora quegli stessi giochi d’ombra, quell’aria colorata dai fumi industriali. A ben guardare, non sono del tutto cancellati i segni delle periferie. 

 

 

L’antologia muove dalla prima storia a fumetti pubblicata su Alteralter, rivista nata dalla casa editrice Milano Libri come sorella avventurosa di Linus e diretta da Oreste Del Buono, nell’agosto del 1977. La porta sui Navigli è la prima apparizione dello squattrinato detective Paolo Valera, personaggio omonimo dell’autore di Milano Sconosciuta del 1879, il testo nel quale viene aspramente denunciato il degrado sociale del sottoproletariato urbano e ricostruita una mappa dei luoghi “proibiti” della città, come bordelli o vie frequentate da omosessuali e luoghi di incontro fra malavitosi. L’episodio a fumetti segue uno spunto di fantascienza dai toni satirici, come nei racconti di Robert Sheckley e denota una cifra stilistica che lega insieme questa prima selezione di storie milanesi in cui realtà e finzione scompaiono reciprocamente dalle coordinate comuni. Il Detective Paolo Valera introdurrà poi altri personaggi che diventano i protagonisti di alcuni racconti a sé stanti. Si prosegue in ordine, introducendo alcune storie a fumetti che, intrecciandosi alle personali vicende editoriali dell’autore, rispondono ad esigenze diverse. A partire dai primi anni ottanta molti dei militanti delle lotte sociali (dal ’68 al ’77) si reinventano in molteplici attività culturali che trovano terreno fertile a Milano, fra cui cooperative di musicisti e teatranti, attività editoriali, e fra gli stessi collaboratori di Linus e Alteralter nasce Storiestrice, cooperativa di disegnatori di cui si occuperanno attivamente Giancarlo Ascari, Franco Serra e Ugo Cirillo e a cui si assoceranno nel tempo nuovi autori come Lorenzo Mattotti, Francesco Tullio Altan, Franco Matticchio e molti altri. Di questa seconda selezione spicca Claustrofobia un racconto ambientato nella metropolitana che ricrea fedelmente le ambientazioni allestite da Franco Albini e Bob Noorda per il primo nucleo della Linea 1, nel 1963, concepite all’insegna della regolarità e della funzionalità, ma che se inquadrate sbilanciandone la simmetria ed evidenziandone l’obliquità generano un senso di straniamento, ribaltando la loro compostezza formale.  

 

 

Si arriva poi a toccare il cuore del volume: Tutta colpa del ’68 è il più celebre romanzo a fumetti firmato da “Elfo”, ed è uscito per Garzanti nel 2008. Apre questa sezione una nota introduttiva dell’autore ’68 e dintorni:

 

Il 1970 per me è l’anno dell’esame di maturità che, dopo una tempestiva riforma post ’68, prevede solo due scritti e due orali. Porto storia e italiano, una giovane professoressa mi domanda di cosa voglio parlare, rimango imbambolato. A quel punto mi chiede delle crisi economiche in Piemonte ai tempi di Carlo Alberto. Vado per deduzioni, suppongo che siano legate alle guerre del periodo. Me la cavo, ma alla fine in stile Fantozzi sussurro: “E ora potrei parlare di Marx?”

 

Una storia precedente, Identità e segreti, realizzata negli anni Ottanta per la rivista Linea d’ombra, fornisce qualche anticipazione delle atmosfere in cui sarà ambientata la vicenda di Rinaldo, il protagonista, e il giovane studente (alter-ego dell’autore) che attraverserà quegli anni. Sono alcune istantanee che scorrono con un montaggio serrato. Colpiscono per come catturano attimi di stasi squisitamente descrittiva. Procedono tracciando un inventario sospeso, sembrano incontrare un accenno di nostalgia diffusa. Difficile pensare che quelle immagini siano solo le fedeli ricostruzioni dell’epoca, come teche allestite a regola d’arte, manichini abbigliati secondo l’uso del tempo. Da qualche tratteggio impreciso, dal modo di rievocarne le atmosfere sembra in realtà trapelare un affetto sincero. 

 

 

Nel disegnare, Ascari mette molta cura. Anche se quel tempo è andato, se non ha senso rimpiangerlo, se ci sono stati episodi drammatici e di violenza, si provava comunque un forte senso di appartenenza, animato da un sentimento comune che rendeva possibile una vicinanza che fino a ieri sembrava impossibile avvertire di nuovo. I collettivi studenteschi animavano le strade di Milano in chiassosi cortei a cui dai balconi si rispondeva con segni contrari o di approvazione fino a quando, annunciata da squilli di tromba, non partiva una carica di polizia che disperdeva la folla lanciando lacrimogeni. Era una guerriglia coinvolgente, luogo d’incontro e veicolo d’esperienze a cui si rivolgevano artisti, intellettuali uniti nel segno della “contestazione” che elevavano a simbolo del proprio gusto culturale. È questo il periodo in cui Dario Fo e Franca Rame fondano il collettivo “La Comune”, e portano in scena spettacoli brillanti, carichi di satira politica che diventano veri e propri eventi, a cui migliaia di persone partecipano. Nel fumetto succede che le scene di affollamento raggiungono un particolare effetto di fascino per via dell’addensarsi progressivo del tratto che ne riproduce i toni confusi e concitati. Ogni disegno è più che un preciso documento di testimonianza. Appare evidente, nella sensazione dello sguardo catturato dalle immagini, come non si tratti solo di quadri di ricostruzione storica. Il linguaggio del fumetto, che per certi versi semplifica e riduce, non assume qui il carattere del “souvenir”, della “carineria” in miniatura; è piuttosto un movimento, quello che attiva il disegno (sia nel disegnatore sia nel lettore/spettatore), in grado di sondare, attraverso un’attenta disposizione di forme e simboli, una profonda e complessa concatenazione di eventi. Si potrebbe dire che il disegno si scontra con gli oggetti della sua rappresentazione esattamente nella misura in cui questi si presentano come in rilievo. In questo senso si può parlare di un aspetto topografico del disegno, che risulta particolarmente interessante nel momento in cui riporta sulla carta delicati temi storici favorendone il loro attraversamento per mezzo di una narrazione. Le immagini hanno uno spessore e questo non è dato, come per effetto fotografico, dalla impressione di verosimiglianza, disposizione prospettica e messa a fuoco, bensì dalla loro molteplice decifrabilità, che si svolge su più livelli, ciascuno nascosto dal precedente, a cui corrisponde un diverso grado di lettura. È necessario spostarsi entro le fila della storia per leggerla, è più che un patto narrativo.  

 

 

All’alba del nuovo secolo cominciano a chiudere le riviste di fumetto d’autore e la produzione artistica di “Elfo” si sposta su l’Unità e Linea d’ombra, per proseguire su Repubblica e Il Manifesto, illustrando le copertine di ViviMilano e del Corriere della Sera. Alcuni nuovi progetti editoriali come Diario, settimanale diretto da Enrico Deaglio, vedono la sua collaborazione attiva. Da questo periodo viene selezionata per l’antologia una storia che riguarda lo sgombero del Centro sociale Conchetta, dal titolo Saluti da Milano; mentre dal volume Quelli che Milano realizzato insieme a Matteo Guarnaccia per la Bur, sono estratte due curiose tavole che riguardano le leggende delle acque sotterranee di Milano e una panoramica sulle radio libere che nascono in città a partire dal 1925. Infine, una sequenza inedita, realizzata appositamente per questo nuovo volume, che dà anche il titolo alla raccolta. È la nebbia che va è un’ulteriore prova di maestria che accosta con eleganza alcuni angoli della città ripresi a distanza di tempo. Quel fenomeno di sospensione poetica, descritto in riferimento ad alcune sequenze precedenti già presenti nel fumetto, che potrebbe trovare il suo corrispettivo in un andamento cinematografico neorealista, in grado di sollevare una sensibilità estetica per il “dettaglio”, si posiziona fra le ultime pagine dell’antologia ed elegantemente la porta a conclusione, una conclusione che ammette le differenze intercorse nei mutamenti della città e dei modi di viverla, senza giudizio e senza intento celebrativo, solo accostando un panorama di “Darsena con la Nebbia, 2016” ad uno di “Darsena senza nebbia, 2019”. 

 

Ci si sente un po’ meno soli fra le pagine di questa Milano a fumetti, fantasiosa, tragica, epica, teatro di incontri e rivoluzioni. Quasi che le speranze, i sogni di quei giovani ammassati davanti all’università Statale abbia travalicato le generazioni e si sia instillata un po’ anche in noi lettori, a volte per un fatto anagrafico (come nel caso del sottoscritto), estranei al periodo di ambientazione di quelle vicende, ma pur sempre coinvolti e partecipi, se non altro per la grande curiosità che un materiale così variegato inevitabilmente ha saputo suscitare nel tempo. Una sorta di stagione mitica i cui personaggi hanno contribuito a costruire un immaginario verso cui oggi, col senno del poi si potrebbe provare un po’ d’insofferenza. In fondo è stata una stagione di cui non sono mancati gli aspetti controversi, la violenza gratuita e gli errori, come aveva saputo rimarcare Pasolini, che scriveva di una gioventù già troppo lontana da quella “vita dell’essenziale” della generazione precedente, per poter ribellarsi compiutamente ad una che sarebbe diventata di feroce consumo. Lungi dall’essere un’analisi, che fraziona e divide, addentrandosi nella miriade di interpretazioni e senza scadere nelle ideologie, È la nebbia che va, nel raccogliere il lungo lavoro di Giancarlo “Elfo” Ascari, è un’antologia a fumetti che unisce, ricompone, ravvicina e che allo stesso tempo si congeda dal “passato”, senza gesti plateali, senza ricorrere a slogan o sensazionalismi, con una vena d’ironia e leggerezza. 

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