Laurus nobilis
Il foliage autunnale, per poco ancora, offre a terra le spoglie dorate dei ginko, le rosse di aceri e liquidambar. Dai rameggi nudi balzano in piena evidenza i verdi cupi delle conifere o quelli densi di elci, ilex, magnolie grandiflora. Ma per rompere la ragna grigia del giardino d’inverno non c’è verde perenne così poco verde, quasi nero quasi blu, e così attraente come quello dei lauri.
Alla famiglia delle Lauraceae appartengono molte specie tropicali come la Canfora (Cinnamomum camphora), la Cannella (Cinnamomum zeylanicum), l’Avocado (Persea americana), la Cryptocaria moschata o massoia tutte ricche di olii essenziali noti a profumieri e speziali. L’unica specie europea della famiglia è l’alloro o Laurus nobilis usato in cucina e non solo che, nonostante il nome, nulla a che fare con il Lauroceraso (Prunus laurocerasus), famiglia delle Rosaceae, di rapida crescita e invasivo, sovraesposto nelle siepi domestiche e per ciò poco amato.
L’alloro è essenza rustica, si adatta anche al freddo e all’ombra su tutto il territorio nazionale dal piano ai colli, con diffusione spontanea per seme e facile moltiplicazione pollonifera tanto da costituire, in ambienti favorevoli, una specifica macchia o lauretum. Originario del bacino del Mediterraneo, ha portamento arbustivo o arboreo, con ramificazione eretta e basale ideale per ottenere in giardino folti sipari o – direbbe Ariosto – «vaghi boschetti di soavi allori». Bello tutto, l’alloro, e buono: i fiori ascellari, riuniti in ombrelle, paglierini, piccoli ma profumatissimi, a fine inverno ricoprono i rami annuali e sono saccheggiati dagli insetti; poi le drupe lucidamente nere a settembre, cibo ghiotto per gli uccelli, ottime per balsami, unguenti, elisir. Le foglie, semplici, a inserzione alterna, lanceolate, con apice acuminato, margine ondulato. Beh, quelle in cucina non possono mancare e poterne cogliere due, sotto casa, per dare alle castagne il giusto aroma, rende più lieve la vita nelle corte, fredde giornate.
Antica la tradizione simbolica che vede l’alloro protagonista di miti, riti, consuetudini giunte sino a noi; dunque, per la nostra citazione letteraria non c’è che l’imbarazzo della scelta. Pescando nella nostra poesia del secondo Novecento, piacerà ai lettori un testo di Franco Fortini non privo di un senso figurato sulle frustrazioni del poeta. Noi, aspiranti e frustrati giardinieri, ci fermeremo alla superficie: Fortini alle prese con l’Oziorrinco (Othiorrhyncus rugosostriatus), flagello di azalee, rododendri, camelie e, appunto, allori.
Sono molti anni ormai
che un insetto notturno
sale in cima alle foglie dei miei allori
le rosica e le sfrangia.
Un liquido c’è, che lo uccide, mi dicono;
però pericoloso. Sole non deve splendere,
non deve tirar vento,
non deve aver piovuto, non dev’essere
imminente la pioggia.
Quanto mi è stato detto
più d’una volta ho fatto
ma con mediocre esito. Le blatte color cenere
a fine maggio tornano e ogni notte
– di notte la mia lampada tascabile
le ha sorprese allibite – su dal suolo faticano
fino alle foglie nuove per il pasto.
Crescono i begli allori. Non coglie alcuno, dicono,
la bacca viola che autunno matura.
Metafore indolenti non vi raccoglierò.
Pure non so se combattere ancora
gli insetti oppure lasciare che a tutto
rimedi la natura.
(L’alloro, in Paesaggio con serpente)
Ma sì, lasciamo fare alla natura: più che la chimica contro il coleottero vorace – a Fortini non l’avevano detto – può una coppia di gallinelle ornamentali assai vezzose che, razzolando, ne distruggono le larve interrate.
E per non farci mancare niente concediamoci anche un gustoso prelievo dalle Storie del Signor Keuner di Bertolt Brecht, intitolato Forma e contenuto. Fortini, suo mentore in Italia, conosceva questa stoccata ben portata contro i filosofi, ma noi la rivolgiamo anche contro tutte le pratiche costrittive e perverse menate a suon di lame (potature scriteriate, pratiche bonsai e topiarie) del tutto assimilabili alle fasciature cinesi dei piedi femminili o alle deformazioni craniche azteche. Ecco qua:
Il signor K. stava osservando un dipinto che prestava ad alcuni oggetti una forma molto strana. – Ad alcuni artisti, – disse, – contemplando il mondo succede come a molti filosofi. Nello sforzo di arrivare alla forma la sostanza va perduta. Una volta lavoravo da un giardiniere. Egli mi porse le cesoie dicendomi di potare una pianta d’alloro. La pianta era in vaso e la si noleggiava in occasione di cerimonie. Per tal motivo doveva avere una forma sferica. Cominciai subito a tagliare via i rami sovrabbondanti, ma per quanto mi sforzassi di arrivare alla forma sferica, non voleva riuscirmi. Ora la spuntavo troppo da una parte ora dall’altra. Quando alla fine divenne una sfera, questa era piccolissima. Il giardiniere disse deluso: «bene, questa è la sfera, ma dov’è l’alloro?».