Viaggio lungo il sessantesimo parallelo
Il lungo viaggio raccontato da Malachy Tallack in Il grande nord, edito da Iperborea, è la storia di un giro intorno al mondo seguendo la linea del sessantesimo parallelo: isole Shetland, Groenlandia, Canada, Alaska, Siberia, Finlandia, Svezia e Norvegia. Una linea, un confine, che ha affascinato da sempre esploratori, geografi e scienziati; secondo il grande geografo e astronomo Tolomeo (II secolo d.C.) quella latitudine rappresentava il limite settentrionale degli spazi marini conosciuti, oltre quel limite il nulla.
Si comincia a leggere il libro immaginando e ricordando il fascino di tante storie di terre estreme e di mare, da Jack London a Francisco Coloane, e quell’emozione si avverte certo, ma si scopre anche un’inaspettata asprezza del vivere. Scrive Tallack: “Lungo il parallelo ci sono regioni i cui abitanti sono messi a dura prova. Dal clima, dal paesaggio, dall’isolamento. Eppure scelgono di restare. Trovano il modo di convivere con le isole e le montagne, con la tundra e la taiga, con il ghiaccio e le tempeste, e rimangono”.
Tutto inizia nelle isole Shetland, luogo di confine tra due mari, l’Oceano Atlantico e il Mare del Nord, un paesaggio di brughiere, alte scogliere, torrenti, vento salato. Herman Melville le cita in Moby Dick: “Le baleniere di Groenlandia che salpano da Hull o da Londra fanno scalo alle Isole Shetland a prendervi uomini per completare l’equipaggio. Ripassando di lì sulla via del ritorno, li riscaricano a terra. Come avvenga non si sa, ma sembra che gli isolani risultino i balenieri migliori”.
Tallack è cresciuto in quelle isole, davanti agli occhi un orizzonte marino aperto verso l’infinito. Un vuoto dentro di sé causato dalla tragica e improvvisa scomparsa del padre, dall’incertezza del futuro, dalle linee d’ombra che dovrà superare. Sedicenne, figlio di genitori separati, Malachy aveva da poco scelto di vivere con il padre, che abitava nel Sud dell’Inghilterra e di frequentare un’accademia di musica a Londra, sognando di divenire un cantautore. Poi un giorno mentre sono a pesca insieme in un lago del Sussex, il padre si allontana con l’auto per un impegno; non tornerà più, muore in un incidente. “Una parte di me rimase in riva al lago. Una parte di me non ha mai smesso di aspettarlo”. E così deve abbandonare la via della musica appena scelta, e tornare a vivere nelle Shetland, con la madre e con il fratello. Passano alcuni mesi, dalla finestra di casa, affacciata sul porto di Lerwick, capoluogo delle isole, guardando il mare sogna di navigare e camminare lungo il sessantesimo parallelo, un viaggio che riuscirà a realizzare dieci anni dopo.
Tallack non spiega il suo desiderio di andare, lo lascia trasparire dalle pagine. La malinconia è leggera ma persistente, si intreccia alla curiosità verso luoghi mai visti e all’empatia verso gli altri. In contesti a volte molto difficili, incontrerà anche persone che vivono ai margini del mondo, reggendo saldamente il timone di vite e di lavori ai limiti della sopportazione.
Il viaggio inizia da Ovest, dalla Groenlandia. Di questa isola, la più grande del mondo ma con solo 56.000 abitanti, Tallack descrive i fiordi e i laghi, il paesaggio spoglio, la tundra e le rocce, il ghiaccio e la neve, i riflessi del mare sulle nuvole. “In Groenlandia la caducità permea ogni istante di ogni giorno. È negli iceberg che si sciolgono a riva e nelle nuvole in viaggio e nel clima mutevole. È nell’aria stessa, dove regna la sensazione che ogni certezza possa essere scalzata, che in un baleno la terra possa cancellare le persone”. Tra le pagine, la descrizione dei paesaggi si alterna alla storia degli abitanti di quella terra difficile e dei loro problemi: la dispersione scolastica, i ragazzi che vanno a studiare lontano da casa, magari a Copenaghen, e non tornano più, perché non troverebbero un lavoro soddisfacente. Racconta anche le frustrazioni degli adulti, per la crescente disoccupazione, per vite e giorni sempre uguali, alleggerite nell’alcool, e la gratificazione della caccia alle foche, a livelli tollerabili dal punto di vista ambientale, almeno sinora. La caccia alle foche su piccola scala effettuata dai nativi, dagli inuit, è vitale per l’economia dell’isola, non ne danneggia l’ecosistema e segue regole severe. Gli esemplari cacciati in un anno sono circa 200.000, su una popolazione di 12 milioni. La stessa Greenpeace, riguardo gli inuit e la caccia alle foche, in un comunicato di qualche anno fa dichiarò: “Prendono solo ciò di cui hanno bisogno, e non di più. Onorano gli animali, la terra e l'oceano. Questo rapporto speciale esiste da tempo immemorabile, e meritano rispetto”.
Il Canada, più di altri luoghi visitati seguendo il sessantesimo parallelo, gli rende il senso di distanze e spazi immensi: paesi lontanissimi dal resto del mondo, dove la vita sembra scorrere senza che succeda mai nulla. A Fort Smith si trova a discutere con un immigrato danese che decenni prima ha aperto una libreria, e poi con un anziano e autorevole nativo da anni impegnato a difendere la sua terra e l’ambiente; capisce che in quell’apparente uniformità di paesaggi e di esistenze, vivono persone di originale e ammirevole sensibilità.
L’immensità della Siberia è più studiata che visitata; dalle pagine affiorano conoscenza storica, ambientale e geografica. Luoghi immersi in spazi senza fine, scoperti e colonizzati ma mai divenuti davvero parte civile e culturale della Russia: “Immensa, fredda e stranissima: naturale depositaria delle nostre paure e luogo ideale in cui scaricare gli indesiderati”. Tallack ricorda la lunga storia dei campi di prigionia e lavoro forzato raccontata nei libri di Fëdor Dostoevskij, Varlam Salamov e Aleksandr Solženicyn, gli stermini voluti da Stalin. La Russia che più lo affascina e dove immagina di tornare, e addirittura fermarsi, è la penisola della Kamčatka, per la bellezza degli ambienti naturali e per l’apertura e la generosità dei nativi verso gli stranieri.
In una delle tappe finali del suo lungo giro del sessantesimo parallelo, il viaggio nello spazio diventa un viaggio nel tempo. Avviene quando, nella biblioteca dell’Università di Uppsala, può ammirare, da solo e senza fretta, l’antica Carta marina. Si tratta di una meraviglia della cartografia, stampata in Italia nel 1539 e realizzata dal sacerdote e diplomatico svedese Olaus Magnus, in esilio in Italia dopo il diffondersi della Riforma protestante nei Paesi scandinavi. La grande mappa (un metro e settanta per uno e venticinque) unisce una precisione mai raggiunta prima a un’incantevole raffigurazione di velieri e mostri marini, cattedrali e castelli, alberi e soldati. Ci sono anche le isole Shetland, nel vederle Tallack prova un affetto irrefrenabile, soprattutto per Fair Isle, uno scoglio sul mare che fa parte solo amministrativamente delle Shetland: lunga cinque chilometri, larga due e mezzo e separata dalle altre isole da quaranta chilometri di mare.
Prima della stesura di questa mappa, il mondo intorno e oltre il sessantesimo parallelo era immaginato brullo, freddo e desolato, Magnus lo rivela invece ricco di vita marina, animale e umana, terre e mari pericolosi, ma affascinanti e pieni di possibilità.
Le coste frastagliate della Norvegia sono l’ultima tappa. “Seduto davanti al mare, a circa trecento chilometri da casa, ripensai al traffico che si era spinto a occidente da quella costa verso le mie. Ai vichinghi salpati nell’VIII e nel IX secolo che si erano avventurati fino alla Groenlandia e oltre. Ai profughi della Seconda guerra mondiale, trasportati a bordo di pescherecci e altre imbarcazioni dall’unità militare che divenne nota come «Shetland bus». E infine alla petroliera Braer, che salpò dalla raffineria subito a nord di Bergen nel gennaio del 1993 con ottantacinquemila tonnellate di greggio diretta in Quebec, Canada, ma arrivò solo fino a Quendale, sulla costa sudorientale delle Shetland, dove finì contro gli scogli e riversò in mare il suo carico”.
Dalla Norvegia raggiunge la Scozia in aereo, poi immagina di prendere il consueto traghetto da Aberdeen a Lerwick, ma quel giorno, per svariati problemi non sono possibili imbarchi, e così decide di chiedere un passaggio a una piccola e vecchia nave da carico. Una traversata di 18 ore nel del Mare del Nord, con un’unica sosta alle isole Orcadi e con la nave che beccheggia e sbanda tra vento e onde irrequiete. “Galleggiare significa non essere del tutto né staccati né collegati, né qui né lì, ma sospesi tra gli elementi come la nave stessa. Mi piace molto. Qualcosa dell’andatura del viaggio mi mette a mio agio: l’insita fatica, e la noia che dipana, onda dopo onda, rollio dopo rollio. In mare mi sento quasi già a destinazione”.
Alla fine del suo lungo girovagare, nella memoria di Tallack si sono impresse mappe e percorsi di selvaggia bellezza e altri d’infinita desolazione, incontri con persone straordinarie e no, che non si sono mai mosse dal luogo dove erano nate o che avevano scelto altrove la loro piccola patria, paesaggi immobili nel tempo o stravolti da un consumo forsennato di risorse, tempi del viaggio e delle soste a volte estremamente dilatati, frenetici e difficili altrove. Non ha superato dubbi e paure, ma ha acquisito consapevolezza di ciò che desidera dalla vita, e quali sono i confini delle sue possibilità. La fragilità di tante vite che ha incontrato gli concede una maggiore comprensione per la propria, e la capacità di sopportare le difficoltà di altri lo aiuta a scoprire in sé una forza inaspettata.
Il grande nord è un libro che piacerà a chi ama gli orizzonti ampi, nella vita come nella letteratura, il gusto del rischio e il pudore dei sentimenti. Tallack, scrittore e cantautore per vocazione, è capace di adattarsi a molti altri mestieri per sopravvivere, a Fair Isle ad esempio si inventa operaio in una maglieria che realizza cardigan, cappelli e sciarpe, operaio stradale, insegnante si sostegno, pastore di un piccolo gregge e marinaio nel soccorso costiero e sui traghetti che collegano l’isola alla Gran Bretagna. Viaggiare diventa un modo per consolidare una personalità con molte incertezze, ma le riflessioni del narratore, che accompagnano la scoperta di terre, mari e persone nuove, non appesantiscono una scrittura sciolta e dal ritmo quasi musicale, rigorosa e oggettiva. Si comprende presto che il suo percorso lungo il sessantesimo parallelo è anche un viaggio dentro di sé.
A volte il ritorno a casa, alla propria Itaca, è una sconfitta e un negarsi ad altre possibilità; anche per Tallack vuol dire rinunciare ad altre vite, ma tornare nelle Shetland è una scelta consapevole. Non facile, rientrare vuol dire riabbracciare dubbi e sofferenze che pensava di aver dimenticato, dopo tanto viaggiare gli riesce difficile vivere e scrivere fermo nella sua terra. Per raccontare il sessantesimo parallelo e il Nord decide quindi di scendere verso Sud, cercando di riordinare emozioni e ricordi; sa che per tornare a vivere nelle Shetland ha comunque tutto il tempo del mondo, quelle isole saranno sempre la sua fine e il suo principio.
Chi vuole ascoltare le canzoni di Malachy Tallack può trovarle facilmente nel web, eccone una: