Fatto ad Arte / Ugo La Pietra: Né arte né design
Nel mondo del design, Ugo La Pietra ha sempre rivestito un ruolo profetico – e del michelangiolesco Isaia, in gioventù, aveva financo l’aspetto, gigantismo a parte, il suo indubbiamente più intellettuale che fisico – sin da quando preconizzava l'avvento della comunicazione totale, quella stessa in cui oggi siamo immersi. Risale al settantadue infatti la sua “cellula abitativa della casa telematica", esposta al MoMA, nella famosa mostra curata da Emilio Ambasz “Italy: the new domestic landscape”, un “progetto dell'abitacolo con strumenti telematici e informatici che indagavano il costante scambio di informazioni tra il singolo nello spazio privato e la collettività nello spazio pubblico (ovvero l’avvento di internet).” Con forti anticipazioni nello “spazio audiovisivo" da lui presentato alla XIV Triennale (1968), rivisitata, fu presentata nell’ottantatré alla Fiera di Milano, con monitor a guidare tutte le azioni dell'abitare. A distanza di tempo, dopo che la realtà ha principiato ad assumere la sostanza della sua previsione ipercomunicativa, eccolo orientarsi, con incredibile anticipo sui tempi, verso l’elogio del ‘fait-à-la-main’, in direzione ostinata e contraria rispetto a quella di tutti gli altri suoi colleghi designer e teorici della disciplina, impegnati invece, allora come ora, a percorrere la via del prodotto serializzato di tipo industriale e della comunicazione supertecnologizzata.
Sul tema che gli è caro del confine fra Arte e Artigianato, già negli anni ottanta ha dato vita alla manifestazione culturale Abitare il tempo (tenutasi a Verona fino al 2015); negli anni novanta ha poi fondato e diretto le riviste Abitare con arte e Artigianato tra arte e design (quest’ultima dal 2009 online con Fondazione Cologni) e nel 2015 ha pubblicato con Corraini il libro Abitare con arte (vincitore di una menzione d'onore alla XXV edizione del Compasso d'oro) – che riprende il titolo della fortunata mostra allestita nel 1988 a Milano, nella ex chiesa di San Carpoforo – per non parlare poi degli innumerevoli articoli che ha dedicato al tema apparsi su periodici italiani ed esteri. L’anno passato ha anche dato alle stampe, per i tipi di Marsilio, unitamente a Fondazione Cologni, il volume Fatto ad arte. Né arte né design. Scritti e disegni:1976-2018 (€ 23,00), che ne raccoglie alcuni, mentre lo scorso 23 settembre, in Triennale, si è tenuto l'omonimo convegno, da lui curato insieme ad Alberto Cavalli, che della Fondazione Cologni (cui si è dovuta l’organizzazione) è presidente. Con interventi di storici dell’arte e del design, di designer e curatori, ma soprattutto di responsabili, a vario titolo, del sistema dell'istruzione superiore (Accademia e Università), nella giornata di studio si è sottolineata la centralità della formazione dei nuovi operatori nel campo del design – settore nel quale La Pietra si è peraltro sempre impegnato in prima persona nel corso della sua lunga carriera –, che deve mirare a infrangere le barriere purtroppo ancora esistenti tra cultura del progetto e cultura del fare per un sempre più sinergico connubio fra queste due realtà che fino ad ora hanno percorso cammini separati.
Altro punto nodale è rappresentato dalla necessità di coinvolgere sul tema le istituzioni culturali esistenti sul territorio (ad esempio Triennale) o di fondarne di nuove. Fin dall’analogo convegno da lui organizzato nel 1996, sempre in Triennale, dal titolo Fatto ad Arte, La Pietra auspicava, ad esempio, l’istruzione di una Biennale delle Arti Applicate, così come esiste quella del cinema dell’architettura e delle arti figurative, che si possa porre “in modo esplicito come momento di sperimentazione e di ricerca rispetto alle presenze deliberatamente commerciali.” Ne suggeriva addirittura il titolo, Ad Arte, e non sarebbe male. In fondo, egli scrive: “basta valicare le Alpi per trovare in tutta Europa musei di arte applicata, istituzioni, gallerie, collezionismo, mercato, artisti-artigiani con quotazioni al pari, o quasi, di artisti del sistema dell’arte.”
A Parigi, ad esempio, fin dal 1905, c'è il MAD (Musée des Arts Décoratifs), di cui il design è addirittura ancella! Dalla metà degli anni novanta, vi è pure il PAD (in primavera) così come c'è anche a Londra (in autunno), la fiera leader per l'arte, il design e le arti decorative, alla quale partecipano anche giovani talenti italiani, costretti ad ‘espatriare' per poter far conoscere i loro lavori, per confrontarsi sia con il pubblico che con la critica e non solamente con il mercato (l'ultima si è svolta dal 30 settembre al 6 ottobre di quest’anno). Soltanto per citare qualche illustre esempio. E neppure va dimenticato che l'esatta traduzione del termine francese décorer si rende con “arredare” e non già con “ornare”, come verrebbe istintivo.
Centro della ricerca di Ugo La Pietra e della sua sperimentazione, ormai da oltre quarant’anni, non è tanto la forma da conferire all'oggetto (forma da lui già ‘decodificata' e impiegata in libere aggregazioni fin dalla sua giovanile, e mai dimenticata, stagione radical, come dimostrano le sue “eclettiche" creazioni anche ultime e cui appartiene, in nuce, persino lo spirito dei suoi recenti studi e campi d’applicazione), così cara invece ai designer suoi omologhi (ma egli non è soltanto un designer, si sa, come ha ben evidenziato la mostra antologica a lui dedicata dal Triennale Design Museum nel 2014, dal titolo Progetto disequilibrante e come conferma la mostra in corso, fino al 20 gennaio 2020, a Bergamo – Accademia Carrara e GAMeC – dal titolo: Ugo La Pietra, Opere, installazioni, film d'artista), nonché fondamento di quel ‘good design’ per cui l’Italia è diventata famosa, quando, piuttosto, il limen tra il mondo dell'Arte e quello dell'Artigianato, se non addirittura il loro punto di congiungimento, di coesistenza, per non dire di sovrapposizione.
Se il progettare del designer e dell'architetto procede dall’idea in direzione della cosa (oggetto), dall’universale perviene cioè al particolare, opposto è invece il procedere dell’artigiano che prende avvio dalla materia (il legno, la ceramica, il marmo e la pietra, il ferro, il vetro, etc., materie che La Pietra definisce “risorse del territorio", nel quale la loro lavorazione è tradizionalmente fiorita nei secoli) della cui intrinseca conoscenza egli è depositario e custode, per giungere, nei migliori dei casi, all’idea attraverso la cosa realizzata. Il faber compie quindi un percorso che dal particolare approda all’universale, con direzione contraria rispetto a quello del progettista, architetto o designer che sia. Ed è proprio su quella striscia di confine che appartiene ad entrambe le strade che si va a situare l'interesse di La Pietra, quel limen che egli indaga incessantemente e che ha proposto anche nel convegno in Triennale.
Il limen sottile che divide, ma inevitabilmente anche unisce, il mondo del disegno industriale da quello delle arti applicate ha a che fare con il “pensare" e con il “fare", laddove nel primo caso si pensa affinché si faccia, mentre nel secondo il fare, soprattutto il “fare bene", è anche pensare, e ciò con il conforto della teorizzazione di Richard Sennet (L'uomo artigiano, Feltrinelli, 2008, € 12,00). Così come accadeva: “Quando fare le cose – la gamba di un tavolo o un burattino bizzoso – era già interamente un pensarle-immaginarle, prima che si compisse la separazione tra chi le pensa solo e chi passivamente le esegue: un fare giustamente ascoltando le qualità e consentendo alle pretese della materia che passa e si trasforma tra le mani”, come ha scritto qui Marco Sironi.
La coincidentia oppositorum consiste proprio in questo rapporto osmotico tra il fare e il pensare e viceversa. È lì che si situa il quibus che interessa a La Pietra e nel quale si ripongono le speranze per un futuro che non veda più la dicotomica separazione tra Arte e Artigianato, fra il Design e le cosiddette Arti Applicate, così come è sempre stato, prima che la serializzazione industriale sconquassasse gli equilibri e separasse la figura del magister da quella del faber che convivevano, ab illo tempore, in quella dell'artefice, ovvero in quella di colui che “fa arte con arte”.
Ciò che La Pietra propone non è però un nostalgico ritorno all'artigianato di stampo romantico, stile Ruskin, quanto, piuttosto l’invito alla consapevolezza che una osmosi fra cultura artigiana e cultura del progetto possa essere la strada giusta da percorrere per il futuro, una strada che attraversi anche i territori della memoria e della storia e – perché no? – anche della tradizione, senza però rinunciare né alla ricerca, né alla sperimentazione e neppure a perseguire la bellezza della forma, la funzionalità e l'originalità degli oggetti creati. Poiché, come sosteneva Platone nel Simposio, se la poiesis (ποίησις), l'arte del fare, è produzione di ogni attività compiuta tramite tekne (τέχνη), ovvero il saper fare con perizia, anche gli artigiani meritano di essere detti poiētai (ποιηταὶ), alla medesima stregua degli artisti, degli architetti o dei designer, che dir si voglia.
La Pietra ammira moltissimo Gio Ponti, sulla cui figura di architetto-artista (poeta) ha pubblicato il primo studio completo in assoluto, in anni in cui sul maestro era calato un pesante oblio. Così scrive, ricordando i motivi che lo spinsero ad approfondire quell’indagine: “Mi serviva sapere come e perché era così facile per Ponti e i suoi contemporanei usare la figurazione nella decorazione; mi serviva capire come, a suo tempo, era possibile attraversare tutte le arti, dall’architettura, alla pittura, alla decorazione, al design e all’arredamento; volevo conoscere i materiali, quelli descritti con tanto entusiasmo da Ponti e che noi, fin da quando eravamo studenti, non avevamo mai avvicinato. Lontani dalla cultura del fare, tutti impegnati nella ricerca di una esagerata cultura del progetto. Ponti, con il suo lavoro mi aiutava a conoscere e a scoprire ciò che mi era stato occultato, così, con molto ritardo, ho scoperto le nostre risorse, quelle legate ai nostri territori, risorse di materiali e di tradizioni.”
Perciò, in esergo al suo libro, Fatto ad arte. Né arte né design. Scritti e disegni:1976-2018, La Pietra pone un pensiero di Gio Ponti che può essere inteso come il punto di partenza, ma anche come il traguardo del cammino che libro e convegno auspicano si percorra:
“L’Architetto d’oggi, l’Architetto universitario, impari dal marmista (le superfici lucide, levigate, a martellina, a bocciarda, a scaglia), impari dal falegname, dallo stuccatore, dal fabbro, da tutti gli operai e gli artigiani.” (Amate l’architettura, 1957)