Todd May: la morale semplice

2 Agosto 2024

La vita morale «decente» proposta da Todd May, docente universitario di filosofia morale al Warren Wilson College di Swannanoa, NC, non è una vita di santità e nemmeno di perfetto altruismo. Decente sta qui infatti, nel senso dell’inglese «decent», per una vita morale praticabile, accettabile, adeguata. Insomma una morale di persone «per bene». 

Filosofia continentale

Da non sottovalutare il fatto che May non è da tutti considerato, in ambito analitico anglosassone, un filosofo «per bene»; è anzi un filosofo sospetto perché si occupa di filosofia «continentale», nel senso che studia filosofi del continente europeo e persino, udite udite, Deleuze e Derrida, per tacere di correnti continentalissime quali esistenzialismo, strutturalismo e post-strutturalismo.

May ha scritto diversi libri accessibili al lettore generalista, sulla morte, l’amicizia, la vulnerabilità, compreso l’unico a mia conoscenza tradotto in lingua italiana, Anarchismo e post-strutturalismo, da Bakunin a Foucault, Milano, elèuthera, 1998.

La vita decente. Una morale per tutti noi (Einaudi, 2024) è un libro di filosofia morale scritto in maniera limpida, che evita il linguaggio tecnico affidandosi per lo più ad aneddoti personali e a casi semplici. Il che sarebbe una buona cosa se l’autore non saccheggiasse teorie e principi elaborati dalla filosofia politica e morale nel corso dei secoli senza rendere merito ai loro ideatori, e soprattutto agli autori contemporanei dei quali non fa parola. Tanto per concentrare tutto il veleno o quasi nel capo invece che nella coda (come fa lo scorpione che ha in cauda venenum) dirò che May adotta sì uno stile semplice e divulgativo ma facendo sembiante di esporre pensieri originali. Un po’ sullo stile di Byung-Chul Han, forse il rappresentante più abile di tale pratica eppure, oppure proprio per questo, «adorato» da molti lettori.

Il testo di May comunque note ne ha e ha anche una buona ossatura e un numero di pagine adeguato (decente?) allo svolgimento del tema. È tutto sommato un buon libro di filosofia.

Che cos’è una morale decente

La morale decente di May, che non richiede la santità o l’altruismo perfetto, si diceva, non si rivolge ai principi noti e collaudati dell’etica consequenzialista o deontologica e nemmeno dell’etica delle virtù, questo benché la decenza possa essere considerata in un certo senso essa stessa una virtù, e infatti è forse proprio quest’ultima forma, tipica del pensiero greco antico, a incontrare le simpatie dell’autore. 

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Todd May.

Ricordiamo che il consequenzialismo, derivato dall’utilitarismo, si concentra sulle conseguenze dell’azione, cercando di ottenere il maggior bene (la maggior felicità) per il massimo numero. L’etica deontologica invece, precipuamente kantiana, guarda all’intenzione più che ai risultati e ritiene giusta l’azione che risponde all’imperativo categorico (agisci in modo che la massima delle tue azioni valga come legge universale); il quale a sua volta rivela qualche affinità con la regola d’oro di molte religioni (fai/non fare agli altri quello che vorresti/non vorresti fosse fatto a te). L’etica della virtù infine, di origine aristotelica, fa coincidere il vivere bene con il seguire alcune virtù «mediane» che stiano nel mezzo tra due estremi, come il coraggio che è il giusto mezzo tra imprudenza e codardia. Si tratta però di forme di filosofia morale che sembrano chiedere troppo, troppa conoscenza sul piano teorico e troppe rinunce sul piano pratico. L’alternativa di May, ricercata e analizzata lungo l’intero saggio, è una modalità di vita morale che non richiede una teoria astratta. L’enunciato base, l’unico pensiero guida, sta nel riconoscere che nel mondo ci sono altre persone con le loro preferenze, piani e progetti, che hanno una vita da vivere di cui si deve tener conto, e che non è meno preziosa della mia. 

Le persone distanti nello spazio e nel tempo

Una volta elaborata ed enunciata l’idea di una vita decente, May provvede ad allargare la cerchia dalle persone cui applicarla da quelle che incontriamo faccia a faccia alle persone lontane nello spazio e nel tempo e anche agli animali non umani, per rientrare poi nei contesti politici attuali chiedendoci come affrontarli in maniera moralmente decente. Riprendendo con disinvoltura tematiche affrontate da pensatori del calibro di Hans Jonas per i diritti delle generazioni future, o Martha C. Nussbaum per i lontani nello spazio, nonché per gli animali e le persone disabili senza mai citarli (lo scorpione ritorna a pungere con il suo veleno) May passa a occuparsi, oltre che delle persone che incontriamo direttamente – e che dovremmo, raccomanda, abituarci a guardare sempre negli occhi senza evitarne lo sguardo – dei lontani, dei defunti, dei non ancora nati.

Con i lontani bisognosi possiamo usare la benevolenza e la carità oppure l’impegno politico, o anche applicare un mix, mostrandoci «benevolmente politici» o «politicamente benevoli» e focalizzando l’attenzione su un gruppo specifico per condurre un intervento più efficace. Per quanto riguarda i non ancora nati, è bene impegnarsi genericamente a intervenire sui cambiamenti climatici e a evitare la povertà e la fame.

Gli animali non umani...

Gli animali non umani sono trattati da May prendendo le mosse dal gatto di casa sua, Sammy, che peraltro l’autore dichiara di non amare particolarmente, tant’è che all’inizio lo faceva vivere fuori dall’abitazione (poi la bestiola è stata accettata anche nei locali interni almeno al momento del pasto, perché non ne approfittassero i gatti del vicinato). Per Sammy e per tutti gli animali non umani vige comunque la stessa regola che vale per gli animali umani: anch’essi hanno una vita della quale si deve tener conto. Si evitino quindi le crudeltà verso gli animali, soprattutto nelle pratiche di allevamento intensivo, senza dover per questo diventare necessariamente vegetariani o, Dio ce ne scampi, vegani.

...e la narrazione

Un’ultima parola sull’ultimo capitolo, dove May difende il suo stile colloquiale, bonario e anche divertente nonché il suo uso del racconto, per il quale ammette di essersi ispirato al pensiero di Adriana Cavarero e della sua filosofia della narrazione, per poter pensare alla propria vita come a una vita narrabile, di cui di fatto questo testo narra. 

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