Artpod / David Salle, "The Farewell Painting", 1985
La scena ospita un dramma minuto. Una voce sussurra e noi rimaniamo in ascolto, in attesa di una rivelazione che non arriverà. Lo spazio è ripartito in un trittico, forma che dall’altare attraversa i secoli e arriva qui nuda, dissanguata, senza più traccia del sacro: due danzatori colti in un gesto coreografico, la riproduzione di un dipinto di Thomas Jones, A Wall in Naples, del 1782 – dettaglio prelevato dalla carne pittorica di un paesaggista gallese inebriato dalla luce del Grand Tour –, i corpi degli stessi ballerini quasi solarizzati; piccole, piccolissime, come note a piè di pagina, le donne di una tribù africana, un appunto fotografico repentino che dice del corpo e di altro.
Farewell, arrivederci. La pittura di David Salle è priva di malinconia, ma in questa tela, più che in altri capitoli della sua vicenda pittorica, s’insinua una corrente appena intiepidita da un afflato emotivo. La rêverie si dispiega: una porzione di superficie senape inquadra i due danzatori, infilzati da una lama di giallo che s’incunea nel fianco delle figure – l’uno tocca l’altra, le mani di lui le coprono le orecchie con un gesto che anticipa un’intera enciclopedia di oscuramenti che popoleranno le tele a venire; quelle di lei indirizzate alla propria bocca, gesto del pensiero e di rivolgimento a sé, mentre a sinistra, un viola-blu che costeggia la monocromia delinea i corpi impegnati nella danza e inabissa lo sguardo dello spettatore; incoronata da un dettaglio luminoso, la parte alta della tela possiede quel carattere consolatorio che è proprio del mimetismo pittorico, e sembra riaffermare per un istante la realtà, malgrado i fantasmi e i soggetti squadernati di una pittura crudele.
La lezione del Minimalismo è qui tradotta attraverso un rigore e una distanza che rendono impossibile l’immersione emotiva nell’opera. Nel recupero di una figurazione che solo in apparenza si appropria del flusso di immagini dei mass media, colui che guarda è mesmerizzato, costretto all’interno dello spazio di una pittura gelida e magnificata da un carattere di eloquenza. La tentazione formale della giustapposizione, la riproduzione, la mescolanza di materiale fotografico scattato e trovato nascondono trappole profonde da cui si levano punte acuminate: lo sguardo non trova punti di ristoro e si sposta nella composizione, spinto qua e là lungo linee di tensione. La scena è un teatro di assenze e la mancanza di principi gerarchici accresce la necessità di interrogare ciò che alberga negli spazi tra un soggetto e l’altro. Eppure, una ragnatela di relazioni si stende tra le immagini, consegnando lo spettatore a un sottile, pervasivo disagio.
Le stanze pittoriche di Salle, con i loro surrealismi, i concettualismi e ogni altro ordine e grado di tassidermia dell’arte preludono alla rinuncia al significato univoco, alla risposta che si cerca affannosamente saccheggiando la superficie del dipinto. La disponibilità del repertorio del visibile e la possibilità postmoderna di maneggiarlo spregiudicatamente hanno un esito fatale.
Le sue opere, come stazioni, sono monumenti all’elusività e gli anni ‘80 a cui The Farewell Painting appartiene sono l’inizio della caduta lunghissima che è ancora in essere, una fine che non smette di finire, dove il grado zero della narrazione anticipa e profetizza la superfetazione delle storie che impregna oggi, 2021 d.C., un mondo governato dal caos.
Legge: Roberto Magnani del Teatro delle Albe.