La Castalda e le altre / Fiori: ombrellini e ombrelloni
Bianchi parasoli estivi, talora gialli; con il bel tempo le erbe della famiglia delle Apiaceae (dal lat. apium, sedano) aprono i loro ombrelli di trine. Annuali, biennali o perenni, ve n’è di tutte le dimensioni, esili o giganti, leggere o vigorose. Le maggiori paiono dame ottocentesche a passeggio in merlettate toilettes, alla ricerca di refrigerio lungo strade di campagna o per viottoli ombrosi; le piccole si radunano a frotte come ragazzine ciarliere sui cigli di fossi e prati.
Il clan è numerosissimo. Ne fanno parte erbe aromatiche e altre che, selezionate, coltiviamo come ortaggi: anice, aneto, cumino, cerfoglio, prezzemolo, sedano, carota, finocchio hanno i loro archetipi in essenze spontanee. Alcune sono note per le loro proprietà officinali, quali l’Angelica (Angelica sylvestris), o perché micidiali come la cicuta (Conium maculatum).
Nell’estetica giardiniera, si sa, i pennacchi piumosi del finocchietto selvatico, con i loro ombrellini giallo lime, ammorbidiscono le rigide verticalità di Echinacee e Verbene bonariensis. Ma non mi dispiace quando qualche parasole ficcanaso, dal bosco adiacente, si intrufola nel giardino.
Benché invasiva, la Girardina silvestre (Aegopodium podagraria), dal rizoma strisciante che sa di prezzemolo, incede elegante sul fusto eretto (60-80 cm) tra foglie basali dal lungo picciolo carenato e trigono, lamine composte da due o tre elementi di forma ovata, con apice acuminato e margine seghettato. Le infiorescenze, prive di involucro, sono composte da peduncoli ascellari da cui dipartono dai dieci ai venti brevi raggi, portanti un ombrellino di bianche corolle a cinque petali e cinque stami, ovario con due carpelli e due stili revoluti.
Il nome scientifico rinvia al “piede di capra” (con questo epiteto è nota a spagnoli e francesi) per la disposizione dei lembi fogliari simile, dicono, allo zoccolo degli ungulati. L’aggettivo è giustificato dal fatto che, nella medicina popolare, l’erba era tenuta in gran considerazione quale diuretico e toccasana contro la gotta.
I tedeschi invece la chiamano Giersch: Castalda. Jan Wagner – classe 1971 – è un poeta sorprendente, che si vorrebbe tutto tradotto nella nostra lingua per l’attenzione ironica, ammirevole e ammirata, a soggetti di natura vegetale e animale. Da poco è entrata nella collana Bianca di Einaudi la sua raccolta del 2014 Regentonnenvariationen (Variazioni sul barile d’acqua piovana, trad. di Federico Italiano, Einaudi 2019) dove, accanto a individui più esotici – notevole il ritratto dedicato al fico strangolatore (ficus watkinsiana) –, troviamo presenze più dimesse e quotidiane. Il libro si apre proprio con una poesia in onore della castalda. Il testo è, come tutti gli altri, privo di maiuscole, quasi a voler suggerire, anche con questa scelta grafica, la necessità di far scendere dal trespolo la poetica maiuscola. Canta la permanenza e la tenacia di quest’erba umile e al contempo regina:
non si sottovaluti la castalda,
che domina già nel nome – e per questo
ha fiori di un bianco pensile e casto
come il sogno di un despota.
ritorna sempre come un vecchio sbaglio
e smista i suoi segreti
per il buio delle braide e dei prati,
finché da qualche parte di nuovo non germogli
covo di resistenza. accanto alla rimessa,
tra il ciliegio e la ghiaia che scricchiola: castalda
come spuma, come schiuma che spruzza
in silenzio, che sale fin sul timpano della casa,
finché ovunque è castalda, nel giardino castalda
su castalda, e nulla la spazza via se non lei stessa.
Estendiamo questo omaggio a tutte le apiacee.
Sarei contenta se in giardino mi arrivasse in schiera il cerfoglio selvatico (Anthriscus sylvestris), con il ricamo delle foglie pennatosette e la candida, lieve mousse delle ombrelle, dentellate ai bordi da fiorellini con petali un poco più vistosi in funzione vessillifera. Mi basterebbe allungare la mano per dare, alla maniera francese, più gusto alle mie omelettes. Ma attenzione nel coglierne: all’occhio gli ombrellini paion tutti uguali, e potreste pigliare per cerfoglio la cicuta.
Selvatiche son selvatiche, e vogliono scegliere dove e con chi stare. L’Angelica che piantai, desiderata più per le gonfie guaine cauline avvolgenti a proteggere i futuri rami ascellari che per le grandi foglie tripennate e l’ampio parasole, se ne morì di solitudine e nostalgia nell’angolo per lei approntato.
Per la mia propensione, sempre frustrata, al “far grande” in giardino, nella lista dei vorrei- ma-non-posso c’è il Panace di Mantegazza (Heracleum mantegazzianum), così battezzato in onore del medico e antropologo Paolo Mantegazza. Assai più alto dell’Angelica che di suo può raggiungere altezze umane, si impone non solo per le dimensioni – s’innalza ben oltre i cinque metri – ma pure per le maniere non proprio signorili. È davvero uno screanzato, ma stupefacente. Se ti prendi delle confidenze e allunghi troppo le mani ne esci scottato: letteralmente! Tutte le sue parti contengono sostanze fototossiche che, attivate dalla luce del sole, provocano ustioni e vesciche; se poi arrivano a intaccare gli occhi si rischia persino la cecità. Insomma, un tipo scorbutico da prendere con le molle. Per questa sua ruvidezza nei modi, oltre che per la vincente rivalità con la flora autoctona soccombente sotto la sua ombra estesa, è stato messo al bando e figura nei dispacci delle amministrazioni locali tra le piante indesiderate.
Originario del Caucaso, questo gigante è stato introdotto in Europa verso la metà dell’Ottocento. Qui giunto come nuova risorsa ornamentale, ha percorso il tragitto inverso alle indigene: è fuggito dai giardini per rifugiarsi nelle aree umide e ricche a lui più favorevoli. Il suo fusto, costoluto e cavo, può misurare più di una spanna, le foglie dai lobi profondi in pochi giorni oltrepassano il metro, l’ombrellone può avere un diametro di 80 centimetri e contare oltre 150 raggi. A maturità, migliaia di semi (dai 10.000 ai 40.000) di longeva capacità germinativa potranno colonizzare nel tempo vaste aree. Perciò, contro di lui si mobilitano anche le ruspe.
Ma se avrete il bene di incontrarne uno, pur standone alla larga, osservate il suo ombrello e scoprirete un condominio di insetti!