Il colore acido del limone / La didattica di Johannes Itten
Siamo nel 1919, o forse l’anno seguente, al corso preliminare del Bauhaus. Il maestro Johannes Itten, chiamato da Gropius a Weimar, chiede ai suoi studenti – architetti, pittori, insegnanti o aspiranti tali – di disegnare una natura morta: due limoni su un piatto bianco e un libro con la copertina verde. Un po’ perplessi per la semplicità del compito, gli studenti abbozzano uno schizzo veloce e guardano con aria interrogativa quello strano insegnante che si atteggia a monaco orientale. Forse si aspettano una lezione di geometria proiettiva, ma Itten sorprende tutti, prende un limone, lo taglia a fette e dà a ciascuno uno spicchio da mangiare e chiede: «avete rappresentato l’essenza del limone nei vostri disegni?». L’aneddoto è stato raccontato più volte e ora lo troviamo nel libro di Itten, da poco pubblicato dal Saggiatore, Teoria della raffigurazione e della forma nella traduzione italiana di Silvia Verdiani. Ci lascia comunque spiazzati in un groviglio di domande che vanno dalla pedagogia della creatività all’antico problema della mimesi, dalla teoria del colore al tema della sinestesia, dalla metafisica dell’essenza alla soggettività dell’esperienza.
Procediamo con ordine. Johannes Itten (1888-1967) è un pittore svizzero, teorico dell’arte, allievo di Adolf Hölzel dal 1913 al 1916 all’Accademia d’arte di Stuttgart, da cui apprende la teoria dei contrasti di colore, lo studio dell’uso del colore nei dipinti degli antichi maestri, la sperimentazione con collage, gli esercizi di ginnastica preliminari all’attività pittorica e le forme di scrittura e pittura automatica. Durante la prima guerra mondiale Itten si trasferisce a Vienna, dove mette in pratica queste indicazioni pedagogiche in una sua scuola di pittura. Qui frequenta il salotto teosofico di Alma Mahler, moglie di Walter Gropius, il quale nel ’19 lo chiama come insegnante al Bauhaus di Weimar e gli affida il corso preliminare fino al ’23. Sono divergenze nella concezione dell’arte e nella didattica che provocano la rottura e l’allontanamento di Itten: Gropius vuole impostare la scuola con un taglio funzionalista, Itten non si accontenta dell’unità di arte e tecnica e aderisce al movimento maznazdan, attivo in America e in vari paesi europei nei primi decenni del Novecento, che si richiama all’antica religione persiana.
L’accusa di Gropius è quindi di aver creato nella scuola del Bauhaus una setta chiusa di adepti, dediti alla cura ossessiva del corpo mediante esercizi fisici e immersioni nella natura, con rigidi principi salutistici e vegetariani, in nome di un rinnovamento spirituale dell’uomo, che non esclude qualche tratto razzista, come racconta in forma romanzata Theresia Enzensberger in La ragazza del Bauhaus (trad. it. di Irene Abigail Piccinini, Guanda 2019, cfr. la recensione di Maria Luisa Ghianda). Lo stesso Itten ricostruisce quel periodo dell’immediato dopoguerra come un momento di grande disorientamento, dovuto alle enormi perdite umane e all’insicurezza economica e politica. Conquistato dalla tesi della decadenza dell’Occidente teorizzata da Oswald Spengler, aveva studiato filosofia orientale, mazdeismo e cristianesimo delle origini, alla ricerca di una prassi di vita e di lavoro rivolta all’interiorità.
L’adesione al movimento maznazdan sarà poi confermata dal successivo ritiro, dal 1923 al ‘26, nella comunità del tempio Mazdaznan a Herrliberg vicino a Zurigo, ma lo stesso artista scrive di errori dovuti all’esaltazione della ricerca febbrile che caratterizzò il primo periodo del Bauhaus, lamentando la mancanza di un «grande maestro che ci indicasse la strada in quel caos primordiale» (p. 13).
Dal 1926 al ‘34 Itten dirige una sua scuola a Berlino e, dal 1932 al 1938, la scuola tecnica superiore per l'arte della tessitura a Krefeld, fino alla chiusura imposta dai nazisti. Dopo il 1938 continua la sua attività di direttore e di didatta nelle scuole d’arte svizzere e, infine, nella Ulm School of Design.
Il libro ora pubblicato traduce Mein Vorkurs am Bauhaus, Gestaltungs- und Formenlehre del 1963, riedito, con nuove immagini raccolte dalla moglie Anneliese Itten, nel 1975. Un capitolo è dedicato al colore e riassume l’altro volume Kunst der Farbe (1961), disponibile in traduzione italiana nell’edizione del 1965, sempre nel Saggiatore. Ispirandosi a Goethe, Runge, Schopenhauer e Hölzel, Itten disegna un triangolo equilatero tripartito nel giallo nel rosso e nel blu, attorno al quale costruisce un cerchio che presenta i sei colori che risultano dalla mescolanza dei tre: arancio, viola e verde; poi inserisce altre tonalità intermedie che vanno a completare il suo cerchio di 12 colori.
Il punto di partenza è il cerchio di Goethe che presenta semplicemente i colori isolati, mentre la riflessione di Itten vorrebbe appuntarsi sui rapporti dei colori tra di loro e sui loro contrasti, ma già nella scelta dei tre colori definiti come primari si pone un problema di non facile soluzione: l’analisi, che vorrebbe muoversi su un piano puramente logico e astratto, senza riferimenti a una qualsiasi tecnica pittorica, grafica, cosmetica o altro, introduce immediatamente una questione empirica: la mescolanza di blu e giallo dà il verde solo in una sintesi sottrattiva, quindi ad esempio nella mescolanza di pigmenti. D’altra parte, della difficoltà di elaborare una teoria onnicomprensiva del colore si rende conto anche Itten quando, proiettando sul piano la sfera di Runge, propone un nuovo modello, la stella cromatica che comprende le gradazioni dei colori dal chiaro allo scuro.
Le difficoltà teoriche aumentano quando Itten passa alla pretesa di costruire una teoria oggettiva dell’armonia dei colori, quando propone l’analogia tra colori e musica e, soprattutto, quando introduce osservazioni fisiognomiche che associano i colori ai tipi umani, sostenendo, ad esempio, che i biondi con gli occhi azzurri propenderebbero per le tinte vivaci, mentre i mori per i colori tetri e via dicendo. Ma su questi esiti troviamo una precisa analisi critica nel libro di Falcinelli Cromorama (pp. 70ss.; per il libro di Falcinelli cfr. qui).
Le lezioni di Itten contengono però moltissime osservazioni ed esperienze interessanti quando si spostano dal piano, per così dire, ideologico all’analisi che possiamo definire fenomenologica e alla sperimentazione didattica. E questo vale sia per i tentativi di definire alcuni colori come primari, sia per le ricerche sulle relazioni che i colori intrattengono tra di loro in uno spazio geometrico (cfr. Narciso Silvestrini su doppiozero) e nei diversi contrasti a cui possono dar vita nei loro differenti accostamenti. Il libro sulla forma e la raffigurazione (Gestaltung) allarga questa impostazione alla disamina degli altri elementi che intervengono nella creazione e nella percezione dell’oggetto d’arte.
Il resoconto dell’attività didattica di Itten diventa così un patrimonio di ricerche, esercizi, sperimentazioni corredato dalle bellissime immagini dei lavori dei suoi studenti, che ci invitano a ripeterle e a prendervi parte.
Gli esercizi di respirazione, concentrazione e rilassamento preliminari all’attività artistica, che oggi siamo più disposti a prendere sul serio, diventano importanti per sviluppare la capacità di compiere ogni gesto con consapevolezza; guardarsi allo specchio ripetendo il proprio nome e parlando con l’immagine non sembra più ridicolo, ma appare l’invito a un’introspezione capace di individuare la forma più adatta della nostra espressione; infine anche i tratti somatici che ci caratterizzano non sono più ridotti a una fisiognomica riduttivista, ma diventano suggerimenti sulla maniera migliore di procedere, sulla scelta della tecnica da utilizzare.
Materiali, texture, ripetizioni, variazioni e combinazioni di forme, trasposizioni dal piano alle tre dimensioni, ricerca del ritmo e degli accenti prevedono il coinvolgimento non solo della vista, ma anche del tatto e del gusto, come nell’aneddoto del limone, e del movimento del corpo. Tracciare un movimento circolare con il braccio, poi immaginarlo e, infine, disegnarlo comporta un’attenzione precisa; scrivere lentamente e poi velocemente e poi ancora più velocemente, scrivere con la destra e con la sinistra, in parallelo o a specchio, scompone e ricompone le lettere con risultati sorprendenti. Anche l’analisi di un’opera d’arte e la sua riproduzione che ne coglie solo i toni del chiaroscuro o le linee di costruzione dello spazio pervengono a una comprensione più profonda dell’immagine.