Una retrospettiva ai Giardini Ducali / Le forme momentanee di Gianluigi Toccafondo
La mostra di Gianluigi Toccafondo, L'immagine in movimento è allestita nella Palazzina secentesca dei Giardini Ducali di Modena, voluta da Francesco I d'Este come luogo di svago e divertimento per l'entourage di corte e ora sede espositiva della Galleria Civica di Modena; si trova in un luogo suggestivo e fiabesco, perfetto per accogliere oltre mille opere che documentano la lunga attività dell'artista, a partire dai suoi primi cortometraggi, La coda (1989) e La pista (1991), prodotti fino a oggi.
Ho incontrato per la prima volta Gianluigi Toccafondo poco meno di dieci anni fa, davanti all'ingresso di una piccola sala cinematografica nel centro storico di Lucca, in primavera – lavoravo allora per Lucca Animation International Film Festival – e ne ho un ricordo bellissimo. Aveva illustrato le affiches ufficiali della rassegna, ed esponeva disegni e lavori in una mostra documentaria.
Alcuni di questi, è stata una gioia ritrovarli. Mentre osservo, penso a una coincidenza, a una specie di riconoscimento: i colori e lo stile dei manifesti lucchesi suggeriscono immagini che il mio occhio ha registrato di recente; sono gli schermi televisivi di Mario Schifano, tra cui le nove opere di Paesaggio TV in mostra #TV70 alla Fondazione Prada (di cui si è già scritto qui).
In quei giorni a Lucca lo si incontrava spesso. Parlava piano. Mi sembrava che la sua voce andasse modulandosi secondo l'intelligenza dei pensieri che esprimeva. Tutto si addiceva al suo modo inconfondibile – ovvero, al suo stile, unico – di essere come di intendere e fare arte.
Artista poliedrico, grafico, illustratore e scenografo, diplomato all'Istituto d'Arte di Urbino, Toccafondo è uno di quei pittori, direbbe un giovane Roberto Longhi, il cui stile è soprattutto coloristico puro, il quale ci conduce in «un mondo visivo di bruta primordialità». Non tira la rete per delineare le belle linee di un disegno vibrante, energico, come quello del Pollaiolo, non si cura della complessità quasi intellettuale della prospettiva di Antonello da Messina, né delle forme plastiche michelangiolesche. Alla figura conferisce una forma momentanea, metamorfica, attraverso la stesura dei colori sulla superficie nella quale i suoi personaggi sembrano tuffarsi. Scompaiono per brevi tratti in una profondità bidimensionale, «come se non si fossero mai addentrati nello spazio: [per] vedere ed esprimere il mondo come un tappeto disteso di superfici variegate e null’altro»; riemergono poi con fisionomie sempre nuove e inaspettate: l'artista modifica continuamente l’immagine «fino a cambiare quasi completamente quella originaria». Con che fantasia prorompente e quanta immaginazione, poi, anima – dà letteralmente un soffio di vita – ai suoi disegni e fantasmi, fluttuanti, danzanti.
Più di altri pionieri e maestri dell'animazione classica italiana, come i fratelli Nino e Toni Pagot, Bruno Bozzetto, Guido Manuli e Pino Zac – Toccafondo è un artista del divenire, nell'antica concezione della tradizione filosofica greca, in particolare eraclitea: movimento fluido, scorrere continuo e mutevole della realtà che si trasforma incessantemente, nello spazio e nel tempo. Lo dimostra il suo tocco ampio, sinuoso e disteso, come una carezza, appreso, forse dal padre ceramista; lo racconta il suo segno, lasciato dal colore denso e pastoso che si mescola in un altro, sporcandosi e contaminandosi in diverse tonalità: così le ombre si allungano e allontanano dalle loro figure, sempre alterate, liquide, persino deformate da una spinta espressionista, come animate di vita propria, in virtù di qualche incantesimo: lanterne magiche grazie alle quali risaliamo alle origini primitive, artigianali del cinema.
Toccafondo dichiara a più riprese che il suo lavoro «nasce all’interno del cinema», e dalla necessità di operare sempre su materiali-immagini preesistenti, scelti e selezionati come tema da interpretare da capo, usando principalmente la sua caratteristica tecnica mista. Ha detto: «non ho quasi mai disegnato su carta bianca, parto sempre da un’immagine, spezzoni di film o scene girate da me con l’aiuto di operatori; faccio migliaia di fotografie, stampo su carta o su fotocopie, ci dipingo sopra con colori acrilici, matite o altro [...]; filmo i disegni con una verticale tradizionale in pellicola 35 mm e vedo il risultato in proiezione. Il risultato finale è un film d’animazione che conserva un movimento reale».
Diversamente dalle mostre personali tenute in gallerie italiane (Bologna, Modena, Torino, Milano, Roma) e straniere (Parigi, Marsiglia, Tokyo), che presentavano un progetto in sé concluso, questa mostra è una retrospettiva completa, che tenta di comprendere e, in un certo senso, anche esaurire – sino ad oggi – le molteplici avventure artistiche intraprese da Toccafondo, per offrire al pubblico, in primis, l'occasione di conoscere le varie modalità espressive di un autore che si rinnova continuamente nella prova destreggiandosi abilmente con linguaggi eterogenei e dispositivi narrativi diversi tra loro, ma anche la possibilità di riscoprire alcune delle sue chicche meno note.
Il percorso dell'allestimento, supervisionato dall'artista, è strutturato in un flusso di immagini che si snodano lungo le cinque sale: è possibile osservare diverse sequenze di disegni originali e bozzetti preparatori, storyboard e altri materiali, da molto vicino, in modo da intuire meglio l'articolato processo di ideazione e il procedimento di creazione delle opere.
Di questi innumerevoli fogli coloratissimi, affissi con spilli sottili e impercettibili, affascinano tanto i personaggi misteriosi, quanto i margini indefiniti: ci si perde tra i piccoli strappi di scotch, le sovrapposizioni di superfici stratificate e i materiali ormai nascosti e sedimentati per lasciar emergere l'immagine finale. In apparenza, non mostrano pentimenti; se pur dovessero essercene, eccoli rimediati con magistrale sprezzatura nell'impasto consistente raccolto da una tavolozza fauve. In ogni sala, inoltre, sono proiettati a video i lavori animati che accompagnano gli studi e i modelli definitivi esposti: circa due ore di cortometraggi, sigle e pubblicità per la televisione, video musicali e per il teatro.
Sotto la cupola centrale è presentata, sospesa su un pannello circolare, l'opera più recente, donata dall'artista alla Galleria Civica: i disegni realizzati per illustrare la Favola del gattino che voleva diventare il gatto con gli stivali, un racconto inedito di Ugo Cornia. Si tratta di un oggetto-libro d'artista, in formato leporello, pensato e pubblicato proprio per questa occasione: un nuovo lavoro dal linguaggio vernacolare e colorito, che si inserisce in una più ampia riflessione, tutta illustrata, su testi letterari – dal più celebre Orlando Furioso, alle Invettive dello scrittore modenese Antonio Delfini, autodidatta con qualche tendenza nevrotica, poeta necessario (da rileggere su poetarum silva), ma scandalosamente sottovalutato, come scriveva Andrea Cortellessa su Alfabeta2.
Toccafondo ha iniziato a lavorare su questo autore nel 2009, per un'opera commissionata dalla Biblioteca Delfini, depositaria del Fondo Delfini, in parte ancora inedito: rapito e affascinato da questa figura, studiando le carte e i materiali d'archivio e intervenendo su di essi, ha realizzato un affresco digitale di 130 metri quadrati dedicato allo scrittore, i cui disegni originali sono esposti in sala. Ha lavorato inoltre sulle favole dello scrittore partenopeo Gianbattista Basile, Lo cunto de li cunti, edite intorno al 1635. Ha illustrato Jolanda, la figlia del Corsaro Nero di Emilio Salgari (Corraini, 2006), e La favola del pesce cambiato di Emma Dante (L'arboreto, 2007), per molti anni ha disegnato anche le copertine di Fandango libri (tipo, questa) come il logo animato e la sigla della casa di produzione e distribuzione cinematografica Fandango film.
Sul Pinocchio di Carlo Collodi, invece, ha diretto un cortometraggio su pellicola 35mm. nel 1999: le corrispondenze di stile, tra i due autori, sono molteplici; incredibilmente, i toni scuri da film noir riescono a mettere in luce quanto questo romanzo di formazione, generalmente considerato letteratura per bambini e ragazzi (è stato il primo vero libro che abbia letto interamente da sola, seienne) sia in realtà un romanzo millepiani, con molteplici pieghe e trappole anche per adulti, ambiguo, terrificante e violento, in una parola, macabro.
Il racconto, reso scarno ed essenziale da Toccafondo, ripercorre i momenti più feroci, interrotti da alcuni istanti di pura poesia visiva: il film inizia con il rumore del mare. Una figura nera tradisce una fisionomia umana, che ha una specie di naso lunghissimo: è proprio lui, Pinocchio; la musica incalza e il burattino corre a perdifiato. L'anticipazione di una fuga ininterrotta da un incubo. Le silhouette di tutti i personaggi provocano turbamento e inquietudine, emozioni intensificate dai tratti provvisori, indefiniti, dai colori spessi e dalle espressioni spaventose. Il gatto e la volpe non sono che ombre danzanti, mentre la bambina turchina ha un volto lunare che si staglia nel cielo notturno stellato, profondo blu cobalto: qui è la sua mano a soccorrere il ragazzino dall'impiccagione dei briganti. Intorno al suo lettino, si radunano i «conigli neri come l'inchiostro», presagio di morte. Si susseguono poi i disegni di una nuova corsa verso una metamorfosi animale, nell'animale che dunque siamo: tutto, ormai (le persone in strada, le auto, i tram e le carrozze), presenta lunghe orecchie da coniglio, o fattezze d'asino, dalla coda pronta a farsi elica, o ali – nel vento. Il mare in cui si getta, ha gli stessi toni del cielo e insieme a lui, nel ventre della balena, riposa, risucchiato da una bocca rossa, un villaggio intero. La fine della storia è nota, ma Toccafondo non cede mai al sentimentalismo; avrebbe preferito anche lui, forse, il primo, vero epilogo che Collodi fu costretto a modificare, controvoglia, per accontentare i suoi lettori, delusi da un lieto fine mancato. Un volume illustrato (con DVD) è stato pubblicato a Logos, nel 2011.
Con il commovente omaggio a Pier Paolo Pasolini, Essere morti o essere vivi è la stessa cosa, prodotto da Fandango nel 2002, esprime la sua profonda sensibilità, giungendo all'apice della poesia: lì dove i richiami ai film e alla morte dell'intellettuale, quando le sue parole così precise e taglienti si inseriscono nell'atmosfera sospesa, cupa e onirica dei suoi interventi pittorici. È un piccolo, terribile film empatico, ad alto rischio emotivo.
Il titolo – scritto a mano, in corsivo, con la tipica grafia esitante che hanno i testi nei video di Toccafondo – fa esplicito riferimento a La terra vista dalla luna, l'episodio-fiaba girato da Pasolini del film collettivo Le streghe (1967), che si conclude proprio con questa frase, posta a commentario con funzione di explicit. Nello stesso modo, diventa incipit, invece, del cortometraggio. La donna sola in strada con la valigia, così come quella che danza, ha le morbide fattezze di Silvana Mangano o Anna Magnani, bellissime; un motociclista in fuga, racconta di aver lasciato dietro di sé qualcosa di spaventoso. Un secondo tableau riporta due versi di una dolente poesia del giovane Pier Paolo, Un grappolo d'uva (Un rap di ùa) scritta nel dialetto 'friulano di Casarsa della Delizia', lingua materna, pura perché mai stata scritta, una rivelazione sonora; «perché quando muore, / o mangia, uno si vergogna», «parsé che co al mòur/ o al mangia un al si vergogna»
Il cortometraggio rilegge altre vette poetiche pasoliniane, come L'angelo impuro e Crocifissione: «il sole e gli sguardi! La voce / estrema chiese a Dio perdono / con un singhiozzo di vergogna». Sul finire, ritroviamo tutti i protagonisti del film che ha ispirato questo gioiello, la bizzarra acconciatura da clown di Miao Ciancicato (Totò) e il ciuffo arancio fluo del figlio Baciù (Ninetto Davoli). Non ultima, una straordinaria Assurdina (Silvana Mangano) angelo sordomuto che, scivolando su una buccia di banana, precipita dal Colosseo. L'atmosfera del film si fa sempre più irreale e grottesca, Il corto così ispirato, diventa un lavoro disseminato di segni, simboli e citazioni; si lascia allo spettatore uno sforzo di ricerca e di scoperta. Si chiude con un abbraccio che fonde, due corpi – quello di Pier Paolo e di una donna che giunge a risvegliarlo – in un'ascensione nel blu atmosferico. In una scia di luce emergono i tratti somatici del poeta, è un suo ritratto appena accennato, che va prima definendosi poi assottigliandosi e addensandosi in una macchia nera; prende le sembianze di un gorilla e si allontana esaurendosi sulla superficie.
Tra gli altri cortometraggi presenti in mostra, ricordiamo La pista (1991), Le criminel e altri due noir, in coproduzione francese: due racconti brevi, in bianco e nero, ognuno di un quarto d'ora: La piccola Russia (2004), che in alcuni passaggi, dà più l'idea della Riviera di Romagna abitata dai personaggi di Fellini, è stato proiettato e premiato a festival internazionali da Ottawa a Torino, passando per Tallinn e Ljubljana e Briganti senza leggenda (2013), dove l'artista rivisita, a partire dal titolo tarantiniano, una storia tradizionale romagnola, secondo cui due briganti cercano di derubare un'anziana coppia di contadini, che sapranno vendicarsi in modo diabolico.
In apertura si è detto dello stile; fin qui, abbiamo avuto modo di notare anche una certa ossessione per alcuni motivi tematici, come la fuga: un tòpos ricorrente, se non costante, dei suoi lavori: è soprattutto nella corsa perdifiato che si attua una metamorfosi, proprio come accade nel racconto del mito di Dafne e Apollo, narrato da Ovidio.
Il passaggio inevitabile in Altro-da-Sé, è un ripetuto tentativo di decostruzione e ricostruzione identitaria, di comprensione della propria natura, come della natura umana; condizione necessaria dell'esistenza. È un modo per trovare il proprio posto nel mondo.
Nel campo simbolico del mutamento, anche l'elemento acquatico sembra irrinunciabile ed è significante: l'immaginario dell'artista è popolato da sirene, che, non a caso, presentano una duplice natura. Il suo operare è pindarico, le sue narrazioni oniriche ed enigmatiche, i suoi personaggi ineffabili e mutevoli, se pur conservano sempre una traccia di quello che sono stati. La lettura delle opere di Toccafondo non è mai trasparente e lineare, esige un'attenzione non comune e un certo impegno interpretativo. Ci domanda di fare un passo oltre, in un certo senso di fidarci e abbandonarci a una magia – proprio come accade nelle grandi opere letterarie e cinematografiche di fantasia e di fantascienza: a suspension of disbelief.
Il senso della poesia eccederà sempre il racconto.
In cambio, ci è offerta la chiave d'accesso al suo mondo straordinario: i personaggi ipnotizzano e meravigliano lo spettatore, come il lungo nastro di una ginnasta che disegna con eleganza, secondo un ritmo musicale esterno, ma più ancora interiore, forme sinuose intorno a sé, nello spazio circostante il suo corpo. Proprio la danza, arte del movimento per eccellenza, è per l'artista un mezzo privilegiato di indagine e modalità stessa di rappresentazione.
Non potevano mancare, in questa vastissima panoramica modenese, anche i lavori pensati per il cinema, in particolare la sigla della 56° Mostra d’arte cinematografica di Venezia, nel 1999 – con Asia Argento e Marco Giusti, e la sequenza animata dei titoli di testa per Robin Hood di Ridley Scott e la collaborazione come aiuto-regista di Matteo Garrone in Gomorra (2008).
Più recente è l'impegno in teatro: oltre ai manifesti delle stagioni liriche (2014-2017) del Teatro dell'Opera di Roma, ha realizzato anche i video, le scene e i costumi per Figaro! da Il Barbiere di Siviglia di Rossini e del Don Giovanni di Mozart, due produzioni OperaCamion, una felice operazione culturale del teatro d'opera capitolino, che scende in piazza e invade le città.
Nel 2016 collabora anche con il Bologna Jazz Festival, con una ventina di disegni-poster per celebrare la musica jazz e musicisti come Paolo Fresu e Uri Caine, Steve Coleman, Buster Williams, Barry Harris e altri mostri di questa specie («ragazzi scimmia del jazz, così eravamo noi /così eravamo noi»).
Ha prestato la sua vivacissima creatività anche alla televisione, ideando numerose sigle di programmi Rai come Tunnel (1994), Carosello con Elio e le Storie Tese (1997) e Stracult (2000), tra gli altri. Sempre per la TV ha ideato e realizzato campagne promozionali indimenticabili: basti pensare a Woman finding Love per la linea femminile dei jeans Levi's, dove ritroviamo la sua mano nel volto della donna che, spinta da un desiderio d'amore, fluttua con i suoi blue-jeans nel blu atmosferico in un lungo volo – che prende le mosse da un'auto-illusione, ma, superando la propria solitudine, per un colpo di fortuna inaspettato, trova l'amore. La generazione Xennial (rido, facendo il Guardian quiz) ricorderà bene una serie di spot martellanti ed eccentrici, quelli di Sambuca Molinari — chiara e decisa. Lo chiamano anche in estremo oriente, a Tokyo, nel 1997 rilascia il video pubblicitario del brand di abbigliamento nipponico United Arrows.
Certo, ci sono anche videoclip musicali: un esempio? Per il primo singolo dei C'mon Tigre, è uscito il coloratissimo Fédération Tunisienne de Football (2014): si tratta di un'avvincente partita nel deserto del nord, popolato da una un bestiario africano (cammelli, giraffe ed elefanti) con tigre, che i calciatori giocano danzando. La perizia con cui rende ogni movimento è unica, tanto che sono riconoscibili stili diversi, passi precisi e coreografie iconiche. Artista del movimento, artista del mutamento.