Lezioni di etica a Palazzo Madama / Mantegna. Rivivere l'antico, costruire il moderno
“Lasciò costui alla pittura la difficultà degli scorti delle figure al di sotto in su: invenzione difficile e capricciosa” scrive Giorgio Vasari in Vite de' più celebri pittori, scultori e architettori, riferendosi alle figure rappresentate in scorcio nei dipinti di Andrea Mantegna. Lo scorcio del Cristo morto nel sepolcro e tre dolenti conservato alla Pinacoteca di Brera è un capolavoro assoluto, ispirato al motivo iconografico del Compianto sul Cristo morto. Una sua videoriproduzione giganteggia con movimenti di camera sui dettagli nell’allestimento multimediale che correda la mostra Andrea Mantegna. Rivivere l'antico, costruire il moderno (Torino, Palazzo Madama, prorogata fino al 20 luglio 2020), promossa dalla Fondazione Torino Musei e da Intesa Sanpaolo. Il Cristo in scurto, presentato come uno sviluppo illusionistico della prospettiva rinascimentale, deve l’effetto del rendere più breve in pittura anche alle linee di contorno, dette da Vasari “linee girate”.
La linea di contorno infatti “deve come girare su se stessa e finire in modo da lasciare immaginare altri piani dietro di sé e da mostrare anche quelle parti che nasconde” spiega Gaio Plinio Secondo in Storia Naturale, (XXXV,67-68), riferendo che Antigono e Senocrate attribuirono a Parrasio la conquista del primato nel disegno delle linee di contorno. Queste linee furono da Bernard Berenson intese con valore plastico e a questa loro interpretazione “funzionale” si deve in parte la lettura plastica e monumentale delle figure dipinte da Mantegna.
Il racchiudere entro il limite del contorno la modalità di scorcio dell’immagine, come nella Battaglia dei dieci uomini nudi incisa da Antonio del Pollaiolo, nota al Mantegna dal tempo del suo apprendistato presso la bottega di Francesco Squarcione, risponde a una logica visiva diversa da quella prospettica.
Nel De pictura e negli Elementa picturae, entrambi composti a Firenze tra il 1435 e il 1436, Leon Battista Alberti espone i principi della geometria euclidea con il linguaggio dei pittori, gettando i fondamenti concettuali e pratici dell’innovazione figurativa trovata da Brunelleschi. Mantegna, che entra in contatto con Alberti alla corte dei Gonzaga, adotta la ratio della prospettiva puntocentrica o lineare che mette in fuga verso un punto infinito (nella Pala di San Zeno il punto è posto al centro del piccolo rosone alla base del trono), ma per scorciare il corpo del Cristo morto usa anche la linea di contorno, che abbrevia segnando il limite di ciò che è finito. Il rendere più breve in pittura con un termine nel quale si racchiude l’intera estensione della figura, nel caso del Compianto di Brera esprime la tragedia della morte di Cristo che completa ed esemplifica il significato della sua esistenza umana.
Nelle opere di Mantegna il disegno della linea di contorno che monumentalizza le figure si combina alla symmetria, intesa nell’accezione antica, greca e poi latina, come proporzione fra le parti e fra le parti e il tutto. Parrasio, che conquistò il primato nella linea di contorno, fu anche il primo che dette symmetria alla pittura (Plinio, Storia Naturale, XXXV, 67). La compostezza delle figure “scolpite” dal disegno fermissimo dei contorni nelle opere di Mantegna è data anche dalla symmetria della composizione. Si presume che il pittore fosse a conoscenza dell’opera di Plinio attraverso una delle ultime copie manoscritte in lingua latina della Naturalis Historia (Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino, MS I.I.22-23, c. 469r.) consultata dagli intellettuali e dagli artisti alla corte dei Gonzaga.
Nella sezione I Trionfi e l’antico è esposta la Madonna delle cave dipinta nel 1490 circa. Alle spalle della Madonna si erge una montagna di pietra vulcanica che degli scalpellini stanno estraendo e lavorando. La precisione con la quale Mantegna rappresenta il mondo minerale e geologico probabilmente risente della lettura dei Libri XXXIII-XXXVII dedicati alla mineralogia e alla storia dell’arte, nel corso della quale possiamo ragionevolmente supporre che il pittore non abbia trascurato di esaminare il passo riferito a Parrasio, nel contesto di una classificazione della pittura, ripartita per categorie cronologiche, alfabetiche e qualitative: opere dei grandi maestri (catalogate a seconda della tecnica usata e dei contenuti illustrati), dei primis proximi, dei non ignobiles e infine delle pittrici. Questa complessa classificazione della pittura comprende anche un suo giudizio sul piano morale.
L’antico non rinasce nel Quattrocento solo sul piano estetico.
Il contegno delle figure monumentalizzate da Mantegna richiama tipologie della scultura antica, come il Ritratto del cardinale Ludovico Trevisan. La compostezza delle sue figure “scolpite” dalle linee di contorno trasporta nella pittura un ideale di compostezza e misura tratto dai suoi studi sulla scultura antica. La permeabilità fra pittura e scultura nell’opera di Mantegna è ben documentata nella mostra a Palazzo Madama anche dalla relazione fra il Martirio di San Sebastiano gettato in bronzo da Donatello e i monocromi con i quali Mantegna tenta di restituire la consistenza della materia bronzea, ora con effetti di doratura, come nella tempera a colla e oro su tela Donna vestita all’antica e vecchio in panni orientali (Sibilla e profeta?), ora con effetti di patinatura, come nella Madonna con il Bambino, realizzata a punta metallica, rialzata a biacca, su carta blu scuro preparata. Fonte d’ispirazione per il Mantegna è la scultura antica rivisitata da Donatello, dalla quale trae l’idea di una “classicità rinata”.
La monumentale compostezza delle figure dipinte da Mantegna, come quella dei ritratti descritti da Plinio “che si potevano vedere negli atrii degli antenati” (Storia Naturale, XXXV, 6), ha un valore morale oltre che estetico. La bellezza che si esprime attraverso la symmetria degli antichi e che rinasce nel Quattrocento è anche un ideale di controllo, equilibrio e misura nella condotta sociale. Leon Battista Alberti, che Mantegna incontra alla corte dei Gonzaga, è uno dei primi moralisti a teorizzare un nuovo modello di comportamento etico ed estetico (Amedeo Quondam, Forma del vivere. L'etica del gentiluomo e i moralisti classici (Il Mulino, Bologna 2010). Attraverso la sua opera Mantegna educa alla misura, alla symmetria coniugata allo scorcio che riassume l’estensione dell’intera figura, mostrando con un termine grafico la misura della finitezza umana, entro la quale acquista senso e scopo un’intera esistenza. In questo, lo scorcio del Cristo morto raggiunge un vertice.
Nel testo Image of imperialism pubblicato il 26 Ottobre 1967 nella rivista New Society, John Berger analizza una fotografia del corpo di Ernesto Guevara ucciso dall’esercito boliviano 17 giorni prima. Il corpo è fotografato dalla stessa altezza di quello del Cristo morto. In comune il dettaglio delle mani rattrappite, la pieghettatura del velo e della stoffa, la posizione leggermente rialzata della testa. La relazione tra le due immagini porta alla luce la tragedia della morte che completa ed esemplifica il significato di un’intera esistenza, nel caso di Guevara esemplifica il tentativo di agire in prima persona per eliminare ciò che nella società è intollerabile, con la consapevolezza di esporsi a un destino tragico.
Mentre collego, attraverso la prosa di Berger, l’immagine del corpo dipinto da Mantegna a quella del corpo fotografato da un anonimo a Vallegrande in Bolivia, risuonano nella mia mente i versi della poesia Veglia, scritta da Giuseppe Ungaretti in trincea il 23 dicembre 1915. Il poeta dell’Ermetismo fa con la poesia quello che Mantegna fa con la pittura: scorcia la sintassi affidandosi a valori fonetici, così come ai mezzi grafici e tipografici (gli “spazi” e i “bianchi”), perché “la parola è impotente, non riuscirà mai a dare il segreto che è in noi, mai… lo avvicina”, spiega il poeta nell’ intervista televisiva trasmessa dalla RAI nel 1961 (Incontro con… Giuseppe Ungaretti, a cura di Ettore Della Giovanna). Entrambi, sia Mantegna che Ungaretti, lasciano immaginare ciò che sta più in là, lo avvicinano, lo suggeriscono. Il primo con una linea di contorno che sintetizza l’intera estensione della figura ponendovi un termine; il secondo con la parola scritta in trincea, nel pericolo della morte che pone un termine alla vita umana.
Mostrando con un termine grafico la misura della finitezza umana, entro la quale acquista senso e scopo un’intera esistenza, Mantegna scorcia e dà symmetria, senza tralasciare d’inserire con la prospettiva lineare l’infinito di cui l’antichità aveva orrore: fa “rivivere l’antico” costruendo il moderno.