Un popolo di statue
L’eredità che l’Italia unita ha consegnato al mondo intero è l’opera lirica e la monumentalità statuaria urbana moderna, scrivono Renzo Villa e Giovanni Carlo Federico Villa nel saggio Statue d’Italia. Storia della statuaria commemorativa pubblica. 1. Monumenti dal Risorgimento alla Grande Guerra (Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, Milano 2024).
La statuaria celebrativa dell’Italia post-unitaria ha fornito un modello imitato da molte capitali straniere, eppure passiamo accanto ai monumenti equestri e alle imponenti figure stanti che popolano le nostre piazze senza notarle. In Pagine postume pubblicate in vita Robert Musil scrive: «la cosa più strana nei monumenti è che non si notano affatto. Nulla al mondo è più invisibile».
Il libro Statue d’Italia restituisce loro quella visibilità che hanno perso. Gli autori ci conducono in visita ai monumenti eretti dal Risorgimento alla Grande Guerra. Concepiti come ornamento urbano, strumento di educazione pubblica, glorificazione della storia nazionale e legittimazione dell’autorità statuale, resistono imperterriti alle avversità metereologiche così come all’indifferenza dei passanti. La visita guidata inizia dalla Testa ‘d Fer, fusa in bronzo su base di granito rosa di Baveno. Realizzata dallo scultore Emanuele Marochetti nel 1838, la statua equestre di Emanuele Filiberto di Savoia, eretta in piazza San Carlo a Torino, viene descritta dagli autori in questo modo: «È un monumento che ancora affascina per quel gesto imperioso e regale del duca nel rinfoderare la spada sul precario equilibrio del destriero, tanto focoso quanto improbabile». La scrittura ha un tono elegante e colto, andato perso con i significati delle statue, che formano una popolazione muta, forse ammutolita dall’insipienza dei passanti che le ignorano. Chi mai sarà quel cavaliere o quella figura in finanziera assorta nei suoi pensieri?
Sulle loro basi monumentali le statue non toccano terra, come una volta conveniva a quelle degli dèi e degli eroi. Non toccano terra perché sospese in un limbo, come d’altra parte la Storia stessa. Persa la memoria della narrazione socialmente condivisa, il monumento dismette la sua funzione. Il depotenziamento semantico dei monumenti eretti in determinati periodi storici deriva infatti da una perdita della narrazione, o da un conflitto tra narrazioni diverse.
In un precedente saggio: Un popolo di statue. L’Italia raccontata dai suoi monumenti (EDT, Torino 2023), un lavoro nato per la radio che ha avuto un esito a stampa, Giovanni Carlo Federico Villa porta a più riprese l'attenzione sul rapporto che il monumento intrattiene con narrazioni che cambiano nel tempo. Un esempio è rappresentato dalla statua di Carlo Felice, eretta a Cagliari per celebrare l’apertura della Strada Reale. Nel 2012 gli indipendentisti la ricoprirono con un telo bianco e bandiere con i Quattro Mori. Ora celebra le vittorie calcistiche del Cagliari. La scultura resta, ma la narrazione cambia e con essa il suo significato.
Il monumento è il fulcro di una ritualità celebrativa, commemorazioni al suono della banda cittadina, sfilate e orazioni. Quando qualcosa cambia nell’identità sociale, ci si riappropria dello spazio pubblico (e della memoria riferita al luogo) attraverso nuove narrazioni. Per esempio, il Monumento agli Eroi del Movimento Nazionale di Liberazione della Seconda guerra mondiale, eretto nel 1961 in piazza Adem Jashari a Prishtina, celebra la fratellanza dei vari gruppi etnici che hanno partecipato alla resistenza. La proposta di rimpiazzarlo con un monumento alla resistenza albanese ha alimentato un dibattito, che l’artista Ugo Rondinone ha richiamato (per Manifesta 14) rivestendo con una pellicola colorata adesiva la struttura in cemento armato e il gruppo di figure stilizzate che sta alla base. Rondinone ha evidenziato la contesa, come quando si evidenzia una frase con un colore fluo, facendo del colore stesso opera monumentale.
Come può la scultura monumentale adattarsi al carattere instabile dei luoghi nell’età della globalizzazione e delle migrazioni? L’esplorazione del territorio urbano attraverso l’uso del GPS estende la nostra esperienza dello spazio, così come la creazione di comunità interconnesse in rete estende le pratiche di coesione sociale. L’esperienza dello spazio come luogo fisico dialoga e si completa con quella degli ambienti comunicativi del Web, ambienti o luoghi che si caratterizzano in modo inter-testuale anziché spaziale. Quali saranno le forme attraverso le quali queste nuove identità sociali potranno esprimersi?
Statue d’Italia non risponde a queste domande, ma fornisce un serio e approfondito studio dal quale partire per riflettere sulla «storia insegnata, rivissuta e socialmente accettata per una o più generazioni», una storia che si è materializzata nei monumenti dell’Italia post-risorgimentale. In questo genere di statuaria pubblica, in dialogo con l’architettura e l’urbanistica, convivono tratti del Neoclassicismo, del Romanticismo, del Simbolismo, del Realismo, del Naturalismo, del Verismo e dell’Arte Nuova.
Uno dei monumenti neoclassici ben inseriti nello spazio architettonico è il bronzo Napoleone Bonaparte come Marte pacificatore realizzato da Antonio Canova nel 1811, che però precede i moti risorgimentali e la loro statuaria. Dal centro del cortile d’onore del palazzo di Brera a Milano, la statua, fusa utilizzando il metallo dei cannoni dismessi di Castel Sant’Angelo, irradia una maestosa armonia che trova corrispondenza nella composizione architettonica dell’edificio. Non tutti i monumenti dialogano bene con l’architettura e l’urbanistica, per esempio l’ingombrante complesso architettonico del Vittoriano eretto per celebrare Re Vittorio Emanuele II e con lui l’intera stagione risorgimentale.
Il saggio ripercorre il dibattito storiografico, dalla mitizzazione del Risorgimento in chiave liberale alla sua strumentalizzazione in chiave nazionalistica, considerando anche l’estraneità dei socialisti, degli anarchici e dei sindacalisti per l’espressione monumentale della politica.
Dal Testa ‘d Fer torinese (1838) alla statua equestre romana di Anita Garibaldi (1905; 1928-1932); dalla quadriga milanese di Abbondio Sangiorgio (1837) sopra l’Arco della Pace, che Napoleone fece volgere verso Parigi al tempo della Repubblica Cisalpina, al Federico Rosazza Pistolet (Le voci della montagna), (1910-1915) di Leonardo Bistolfi; dalla statua di Carlo Felice di Savoia, realizzata da Andrea Galassi nel 1833 in piazza Yenne a Cagliari, al Popolano dell’insurrezione bolognese contro gli austriaci, realizzato da Pasquali Rizzoli nel 1903.
Tra tutti questi monumenti post-risorgimentali quello che più di ogni altro attira la mia attenzione è il Guerriero di Legnano, opera di Enrico Butti inaugurata il 29 giugno 1900. Su un basamento di granito grigio il condottiero assume una postura riconducibile a un ritmo compositivo detto “chiastico”, caratterizzato da un gioco di tensioni contrapposte: alla gamba flessa corrisponde il braccio opposto flesso; alla gamba tesa corrisponde il braccio opposto teso. Questa figura, che dal tempo di Policleto non ha perso la sua efficacia comunicativa, è stata paragonata a quella retorica del chiasmo che abbina due coppie di elementi in relazione tra loro a due a due, disponendole in modo alternato a X, per esempio: «con destrezza la mano, l’occhio con attenzione» (D. Bartoli). La statua è quindi doppiamente retorica.
A corredo del paragrafo dedicato al Guerriero di Legnano Villa pubblica la riproduzione di un manifesto elettorale della Democrazia Cristiana, dove la statua regge uno scudo crociato, simbolo del partito politico. Il guerriero è ora il simbolo di un altro partito. La statua sembra aver definitivamente perso la capacità di rammemorare i moti risorgimentali che condussero all’Unità d’Italia (il progetto statuario venne messo in cantiere dopo un discorso pronunciato da Giuseppe Garibaldi il 16 giugno 1862: «Noi abbiamo poca cura delle memorie degli avvenimenti patrii; Legnano manca di un monumento per constatare il valore dei nostri antenati e la memoria dei nostri padri collegati, i quali riuscirono a bastonare gli stranieri appena s'intesero»). Come il monumento cagliaritano a Carlo Felice, il Guerriero di Legnano resta al suo posto, ma il suo significato cambia.
In copertina, Enrico Butti, Guerriero di Legnano [ricoperto con bandiere della contrada La Flora per la vittoria al Palio di Legnano nel 2018], 1895-1900. Legnano, piazza Monumento.