Viaggio a Tokyo

30 Ottobre 2015

Dopo l'intervista con Edo Chieregato, torniamo a parlare della casa editrice bolognese Canicola. A loro si deve infatti l'uscita di Viaggio a Tokyo, folgorante esordio sulla lunga distanza di Vincenzo Filosa. Un’opera prima dalla lunga gestazione che impone l'autore calabrese come una delle voci più interessanti del panorama fumettistico italiano. Abbiamo colto l'occasione dunque per parlare con lui del suo particolarissimo universo narrativo, esplorando la storia del fumetto giapponese, l'ossessione per il racconto sequenziale e il travaglio che accompagna ogni processo creativo degno di essere considerato tale.

 

 

Visto che il tuo libro gioca con elementi autobiografici, rimescolati e traditi come nella migliore tradizione dei mangaka ai quali fai diretto riferimento, mi piacerebbe che ci raccontassi la tua formazione e il tuo esordio nel mondo del fumetto.

 

Sono cresciuto leggendo tutto quello che trovavo nelle edicole calabresi, da Topolino e Braccio di ferro a Le bizzarre avventure di Jojo e Ranma ½. Seguivo tutto con attenzione maniacale, ma il mio primo vero amore è stato It's a Good Life, If You Don't Weaken, di Seth edito in Italia da Coconino Press [La vita non è male, malgrado tutto]. Quel libro ha letteralmente stravolto la mia vita indirizzandola su binari del tutto inaspettati. Leggendolo capii che non c'era cosa al mondo che desideravo di più che diventare fumettista. E soprattutto capii che per raggiungere il mio scopo non avrei avuto bisogno di creare epiche intergalattiche, scazzottate infinite o viaggi lisergici hippie. Capii anche che in Italia c'era una casa editrice che pubblicava solo libri eccezionali. Mi abbonai alla produzione annuale di Coconino Press e, non appena se ne presentò occasione, inviai loro un curriculum e la redazione di Monza mi propose una collaborazione. È a loro che devo la mia formazione nel mondo del fumetto: durante le fiere e gli incontri osservavo e ascoltavo autori immensi come Igort, David B., Davide Toffolo, Marco Corona, Manuele Fior e Sergio Ponchione, ne studiavo ogni tratto e ripensavo a ogni loro parola. Da loro ho imparato ad amare il lavoro. Volevo diventare come loro, sentivo un bisogno incontrollabile di raccontare storie e condividerle. I miei primi passi come autore nel mondo del fumetto nascono da quel desiderio irrefrenabile: la serie Pictures from life's japanese side per il collettivo Ernest era una raccolta di frammenti, storie microscopiche, pagine di diario del mio soggiorno in Giappone. Un tentativo fallito di raccontare quello che era il mio piccolo mondo. Un Viaggio a Tokyo in fase embrionale.

 

 

Viaggio a Tokio è innanzitutto la cronaca di una educazione o forse ancora meglio di una evasione sentimentale, quella di Francesco detto Franco, che fugge dalla Calabria per il Giappone in cerca di prospettive e soprattutto di una realtà che possa coincidere con il mondo immaginario che ruota intorno al suo amore ossessivo per il fumetto giapponese. Che ruolo gioca per te questa devozione maniacale nei confronti di questo grande universo narrativo ?

 

Io vivo di fumetti. Leggo, disegno, traduco, impagino, adatto, racconto, discuto, sogno fumetti. Considero le opere dei maestri del fumetto alternativo giapponese degli anni '60 e '70 come la massima espressione mai raggiunta dal media. Di conseguenza, i lavori prodotti durante quel particolare, felicissimo periodo rappresentano il centro del mio universo di autore e lettore, la stella intorno alla quale orbito ormai da millenni. È un immaginario con cui mi confronto su base quotidiana, rappresenta la scintilla che dà via al processo con cui do sfogo alla mia voglia di raccontare.

 

 

 

Il fulcro del tuo libro sono i gegika, forma “inventata” (passami il temine) dal maestro Yoshihiro Tatsumi. Parliamo di fumetti che per primi hanno inserito temi adulti e autobiografia nei manga, secondo una formula di “romanzo" a fumetti che precede di gran lunga la nozione eisneriana di graphic novel. Quanto ti senti debitore di quella grande rivoluzione e cosa ha dal tuo punto di vista di ancora attuale?

 

Il mio pantheon personale è costituito da quattro grandi autori che a modo loro hanno apportato grandi, piccole e silenziose rivoluzioni. Per le tematiche alla base della loro poetica, per la potente sincerità delle loro voci saranno sempre autori attuali e ancora oggi all'avanguardia. Shigeru Mizuki è stato il “ponte” che ha avvicinato il mio mondo a quello del fumetto giapponese. Mi ha insegnato che esistono voci che riescono a raggiungere anche il cuore più lontano. Tatsumi è stato il “lampo”, l'autore che mi ha folgorato con una sola pagina e poi accompagnato durante i primi passi della mia educazione al manga “alternativo”. Ha cambiato la prospettiva con cui guardo al mondo quando decido di raccontarlo. Nejishiki di Tsuge Yoshiharu è stata la “bomba” che ha spazzato via tutte le strutture preconcette e le cattive abitudini sviluppate lavorando alle mie prime storie. Da lui ho imparato che è possibile raccontare e unire mondi agli antipodi anche in un'unica, all'apparenza semplice sequenza. Tsuge Tadao è il “faro” che sprigiona la luce verso cui continuo a navigare. Dal 2006 le sue opere ispirano ogni segno che ho tracciato su carta. Il mio amore per la sua produzione va oltre ogni logica e tocca corde intime del mio animo. Il suo Fune ni Sumu, ignorato in patria e all'estero, è a mio giudizio il più grande romanzo a fumetti di tutti I tempi.

 

 

Nell’incedere del racconto così come nel tuo segno convivono il timore reverenziale con la dimensione assolutamente ludica legata alla rielaborazione degli stili dei grandi maestri giapponesi. Ho avuto l’impressione di una timidezza di facciata, che in realtà tu usi come grimaldello per piegare codici ben precisi con l’intento di farne qualcosa di assolutamente personale.

 

Ho deciso di mettere in sequenza la storia della mia vita e il mio rapporto con i grandi del fumetto ne è parte integrante. I maestri giapponesi per me sono un punto di riferimento costante, proiettano un'ombra che avvolge l'intero racconto. Ma leggendo le loro opere ho anche imparato che non c'è niente di più appagante di una storia narrata da una voce unica, il regalo di uno sguardo irripetibile. Ogni autore ha il dovere morale nei confronti di del lettore di offrire prospettive inedite. La timidezza di cui parli non è proprio di facciata, il mio rispetto per i lavori degli autori già citati è immenso ma non potrei mai sacrificare un racconto per mantenere intatti codici e stili già esistenti, anche se il rischio di fallire è dietro l'angolo. Non abbiamo tempo per leggere due volte la stessa cosa. Io sono fortunato, le mie enormi lacune tecniche rendono la mia voce personale e più sincera, forse più nel male che nel bene. Preferisco comunque un tratto sgraziato e non riproducibile a una tecnica superba sacrificata al plagio.

 

 

Uno degli elementi più interessanti del tuo libro è il modo assolutamente originale con il quale fai coincidere la città di Tokyo con la sua rappresentazione immaginaria presente nell’universo dei Manga. Senza scomodare Roland Barthes, il Giappone del tuo libro è un unico grande Impero dei (di)segni in cui programmaticamente hai deciso di far saltare tutti i confini fra narrazione e realtà.

 

Come spiego in uno dei momenti più sinceri dell'intero libro, passo ogni momento del giorno a capire come potrei metterlo in sequenza. Vivo l'illusione di una narrazione “senza confini” quotidianamente. La tua è una affermazione corretta e va sicuramente inquadrata nel contesto della mia quotidianità spesa tra manga e fumetti.

 

 

Uno dei capitoli più belli e intensi del tuo libro s'intitola Namazu, dal nome di un pesce gigantesco della mitologia giapponese in grado di generare terremoti. È, se mi passi il termine, il cuore nero di Viaggio a Tokyo, un vero punto di svolta del racconto in cui Francesco si confronta con l’abisso dal quale probabilmente provengono tutte le storie degne di essere raccontate. Se ne hai voglia mi piacerebbe che ci raccontassi di questa parte così speciale del tuo libro, della sue genesi e dei riferimenti sui quali ti sei basato.

 

Quel capitolo ha pesato sulle sorti del libro per più di un anno, è stato ridisegnato, rimaneggiato innumerevoli volte e infine, grazie all'aiuto di Edo Chieregato e Liliana Cupido, si è trasformato sino a diventare lo snodo cruciale del libro. Nei miei intenti era nato come storia horror che avrebbe aiutato il lettore a capire le reali motivazioni del protagonista e, alla maniera dello star system di Tezuka, avrebbe utilizzato i personaggi del libro in ruoli stravolti. Ho disegnato le prime trenta pagine di quella versione almeno due volte. Un disastro. Io lavoro senza storyboard, Viaggio a Tokyo non ha mai avuto una mappa di navigazione ben definita e quel racconto purtroppo non funzionava nell'economia dell'intero racconto. Ma per capire quanto fosse estraneo ho dovuto prima disegnarlo... e ancora... e ancora... La redazione Canicola continuava a chiedermi cosa muovesse veramente il protagonista, e io mentivo spudoratamente dicendo che Namazu avrebbe spiegato tutto. A due mesi dalla messa in stampa, era stato accantonato. Cercavo di capire (anche con l'aiuto dello psicologo!) che cosa muovesse davvero il protagonista. La faccenda aveva assunto toni drammatici. Naturalmente il problema era nell'approccio a una tematica così delicata. È proprio in questo contesto che l'aiuto della redazione di Canicola è stato fondamentale: insieme abbiamo messo a fuoco il cuore del racconto e deciso di semplificare. Da lì il passaggio alla forma compiuta del capitolo è stato relativamente facile: ho abbattuto le barriere di spazio e tempo e ho lasciato parlare le sequenze. In casi come questi, lavorare senza storyboard aiuta anche se resta una pratica decisamente rischiosa. Namazu è la mia balena nera, l'ossessione che mi porta dritto nell'abisso e che però allo stesso tempo provoca la scossa che mi rimette in piedi ogni volta che tocco il fondo.

 

 

Ciò che accomuna il viaggio all’esperienza della lettura è l’evasione, la possibilità di estraniarsi da sé, aprire le pagine di un fumetto per staccare da tutto, vivendo e fantasticando di avventure romantiche, erotiche, eroiche. La sete insaziabile di fumetto del tuo protagonista è anche questo. Ma il tuo libro secondo me racconta bene come dietro al racconto/viaggio come puro escapismo si nasconda sempre un lato grottesco in cui la leggerezza spensierata finisce implacabilmente per convivere con una paura cieca senza apparente movente, in grado di mozzare il fiato. Una paura primaria, legata a doppio filo all’insicurezza del vivere. Qualcosa di difficile da cancellare, come il grande occhio che alla fine del libro aspetta Francesco (o il lettore), nascosto fra le tende della sua casa natale.

 

Ho cercato in tutti i modi di rendere la storia leggera e divertente, “avventurosa”, forse è l'aspetto che ho curato sopra ogni altro, ma non è mai stata mia intenzione fare di Viaggio a Tokyo una lettura di evasione. È sempre stato chiaro in me l'intento di raccontare con onestà un periodo particolare della mia vita e ai miei occhi è una dichiarazione d'amore e di resa totale alle mie personali ossessioni e paure, con l'auspicio di una convivenza serena ed equilibrata.

 

 

 

Il libro: Vincenzo Filosa, Viaggio a Tokyo, Canicola 2015, pp. 264, b/n, € 18,00

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