Due libri recenti / Proprietà e condivisione

26 Maggio 2016

Nel corso dei secoli, le merci hanno progressivamente arricchito la loro capacità di produrre dei significati, sviluppando le componenti comunicative e immateriali a scapito di quelle puramente materiali. Decisiva a questo proposito è stata l’introduzione nell’Ottocento del concetto di design all’interno del processo industriale. Il design, infatti, è andato sempre più a sviluppare la possibilità di abbellire le merci con decorazioni e forme spesso operanti in maniera indipendente dalla funzione svolta. Ma sono stati i progressi dell’elettronica a rendere particolarmente evidente il processo di smaterializzazione degli oggetti. Di dimensioni sempre più ridotte e realizzati con nuovi materiali leggeri, questi ultimi sono diventati dei protagonisti discreti dello spazio sociale. In essi, infatti, la componente hard si è via via ridotta e alleggerita, mentre quella relativa al software si è sviluppata, moltiplicando enormemente le funzioni disponibili.

 

Nel 2000 Jeremy Rifkin ha segnalato che questo processo comportava l’ingresso delle società avanzate in una nuova fase sociale: L’era dell’accesso (Mondadori). Comportava cioè il progressivo imporsi di un modello economico basato sulla sostituzione della proprietà illimitata dei beni con l’acquisto della possibilità di utilizzare gli stessi beni per un tempo definito. Mentre due anni prima Zygmunt Bauman aveva chiaramente affermato nel volume La libertà (Città Aperta, p. 94) che «nel mondo dei consumi, il possesso dei beni è soltanto una delle poste in gioco. Lo scontro avviene sui simboli, sulle differenze e sulle distinzioni che rappresentano. In quanto tale, questa competizione ha la capacità unica di moltiplicare le poste in gioco invece di usarle gradualmente durante lo scontro». Ne consegue che le mete che vengono raggiunte da alcuni individui non diminuiscono necessariamente le opportunità degli altri. Al contrario, stimolano chi è rimasto escluso ad effettuare degli sforzi sempre più consistenti.

 

Ma proprio perché infinitamente aperta, la lotta simbolica giocata dagli individui attraverso le scelte di consumo non è mai risolutiva, non consente cioè di avvicinarsi a un successo che possa essere considerato definitivo. Il che comporta per Bauman che i consumatori si trovano solitamente a vivere in una condizione di grande eccitazione. Essi ritengono infatti che sia meglio consumare subito qualcosa che sicuramente svanirà presto e d’altronde la società ha bisogno che il singolo atto di consumo non assorba troppo tempo, in quanto le attenzioni dei consumatori hanno la necessità di essere costantemente rivolte verso i nuovi beni in arrivo. Pertanto, i consumatori devono essere flessibili e sempre disponibili a raccogliere ciò che può arrivare e che, qualora arrivi, non dev’essere perso. Hanno l’obbligo di praticare una strategia basata sulla ricerca di una soddisfazione istantanea, che non preclude ulteriori possibilità di consumo. Perché il godimento per il consumatore odierno risiede soprattutto nell’attesa di una soddisfazione più che nella soddisfazione stessa, ovvero nel consumo che viene anticipato attraverso l’immaginazione.

 

Queste tematiche sono centrali per comprendere dove stanno andando le società contemporanee. Il libro da poco uscito in libreria Dalla proprietà all’utilizzo (Feltrinelli) sembrava promettere ulteriori approfondimenti su di esse. In realtà, non aggiunge molto a ciò che già sappiamo. Se si fa eccezione per una decina di pagine che contengono alcune interessanti riflessioni del sociologo Mauro Magatti, il volume si basa quasi completamente sulla trascrizione di un incontro che ha visto coinvolti otto manager di importanti aziende italiane e internazionali. Com’è ovvio che sia, i manager hanno approfittato dell’occasione per promuovere le loro rispettive aziende oppure per difendere i propri interessi, sostenendo ad esempio che le nuove aziende che vendono “accessi” al consumatore (come Airbnb, Uber o BlaBlaCar) non necessitano di una maggiore regolamentazione da parte della società, com’è ovvio che sia dato che si tratta di realtà economiche appena nate il cui business non è ancora stato adeguatamente considerato dal legislatore, ma al contrario devono essere necessariamente “liberalizzati” anche i loro concorrenti tradizionali.  

 

Il vero problema di questo libro è però, come si è detto, che un suo possibile acquirente può apprendere poco su uno dei fenomeni centrali delle società odierne e cioè quel passaggio all’era dell’accesso di cui ha parlato in passato Rifkin. Certo, è evidente che il libro Dalla proprietà all’utilizzo è nato da un’operazione promozionale di un’azienda: la società di consulenza MBS Consulting. Intesa Sanpaolo ha mostrato però che si possono realizzare operazioni di questo tipo rendendo un miglior servizio al lettore e probabilmente anche ottenendo dei risultati superiori sul piano della propria immagine aziendale. Stiamo parlando di un altro recente volume: Un mondo condiviso (Laterza). Un volume che affronta un tema vicino a quello trattato in Dalla proprietà all’utilizzo e cioè come è possibile per gli esseri umani vivere meglio insieme condividendo il più possibile ciò che si ha a disposizione, ma lo fa con una buona capacità di approfondimento, grazie ai contributi degli otto autori coinvolti, tra cui Laura Boella, Derrick de Kerckhove, Ilvo Diamanti, Giacomo Rizzolatti e Luigi Zoja.

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