Pietropolli Charmet, Il motore del mondo / Sentimenti adolescenti

3 Dicembre 2020

Un adolescente, oggi, credo si senta come se stesse viaggiando in una navicella sperduta nello spazio lanciata a velocità pazzesca, alla deriva, tutto avvolto da cinghie e cannule di alimentazione, tra continui colpi e strattoni, botte in testa e calci sui fianchi e sui denti, che tanto uno più uno meno, e la libertà che non c’è e la fame e il bisogno di tutto. I ragazzi (non solo quelli in difficoltà) si trovano così, in mezzo a mille complessità speciali e inedite che devono fronteggiare, per questo sono diventati una delle categorie sociali più esposte, per le sue dinamiche particolarmente delicate, alle sollecitazioni fortissime e contraddittorie della nostra epoca. C’è da tremare, a pensarci bene: che cosa c’è di più incerto e incognito del momento cruciale della crescita in un tempo come quello che stiamo attraversando? Una formidabile mise en abyme: l’instabile per definizione collocato in una realtà in totale rivolgimento.

 

Del resto, che ci fosse l’urgenza di riflettere sulle nuove adolescenze (usiamo pure il plurale data la variegazione delle modalità che i ragazzi imprimono alla loro lotta per la crescita) lo si avvertiva dando un’occhiata ai prodotti dello spettacolo che da sempre agisce con sensibilità e tempestività nell’individuare e analizzare ciò che di nuovo emerge nel mondo (non più solo occidentale). Dalla TV alla Musica “di genere”, ai video-game e naturalmente al Cinema. Ma pensiamo anche alla Moda e al Marketing. Alcuni esempi ora in circolazione, tra i più interessanti: We Are Who We Are, la serie Sky-Atlantic diretta da Luca Guadagnino con le sue storie di adolescenti alle prese con l’identità di genere; Stalk serie televisiva francese diretta da Simon Bouisson che racconta la riscossa di un bullizzato (su Rai Play); i video-giochi Fortnite, con più di 250 milioni di iscritti, frequentato da una elevatissima percentuale di ragazzi, e Life is Strange espressamente dedicato all’adolescenza; qualche romanzo come Persone normali di Sally Rooney (Einaudi 2019) e quello di Fabio Bonifacci, Il giro della verità (Solferino 2020, destinato a sua volta a diventare una serie TV) sulle turbolenze evolutive dei corpi e dei sentimenti. Fra l’altro su questo dovremmo ragionare di più e capire perché la Letteratura non riesce a dare più “filosofie di vita” a tutta questa nuova gente, più pensiero invece che piccola sociologia. Sono narrazioni in cui la gravità esistenziale dei ragazzi di oggi emerge in tutta evidenza. E aggiungerei anche Favolacce (2020), lo splendido film (premiato al Festival di Berlino) dei fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo, un’eccellente analisi “figurata” che funziona benissimo da sfondo culturale della nostra socialità distorta.

 

La partita è infinita e complicatissima, ma sembra quasi che ora sia scattato un allarme, un avviso molto chiaro e forte sui possibili destini pericolosi a cui i ragazzini, specie i più problematici, potrebbero andare incontro. Nel suo ultimo libro, Il motore del mondo. Come sono cambiati i sentimenti (Solferino 2020), Gustavo Pietropolli Charmet individua alcuni sentimenti come gli indicatori più efficaci per descrivere la metamorfosi della moderna adolescenza. Perché, scrive, “Anche se poi diventano ideologie, teorie economiche, religioni, all’origine ci sono sempre e comunque gli affetti fondamentali. Per questo è importante seguirne le mutazioni nel tempo”. Il suo punto di vista non è quello “neutro” del sociologo bensì quello del terapeuta, cioè di chi dei problemi, dei rischi e delle insidie della crescita dei ragazzi in difficoltà si fa carico. È il motivo per cui l’aspetto fenomenologico in questo libro è molto interessante e ogni capitolo meriterebbe uno specifico approfondimento. 

 

C’è un importante rilievo teorico che va sottolineato: il dolore mentale, dice l’autore, ha nuove “provenienze e ragioni”, e dunque anche le modalità della sua cura devono adeguarsi. Pietropolli Charmet, psichiatra tra i più importanti in Italia, è stato membro del gruppo fondatore, con Franco Fornari, dell’Istituto Minotauro di Milano dove attualmente insegna Psicoterapia dell’Adolescenza; un’esperienza, quella di Minotauro, frutto di “rivolgimenti nella psichiatria e nella psicoanalisi, sia nei modelli di intervento sia nell’interpretazione da dare al dolore delle persone” (p.10). L’idea di Fornari che l’ha ispirata, scrive Pietropolli Charmet, era che l’inconscio fosse “una riserva di sapere utilissima al soggetto perché conteneva i suggerimenti che la specie metteva a disposizione per risolvere i problemi della vita di relazione”, e non più “un ricettacolo di tutto ciò che durante la crescita e il processo educativo veniva rimosso”. Ciascuno di noi, secondo Fornari, è dotato di “codici affettivi” – il sapere materno, paterno, fraterno, femminile e maschile – “pronti a partecipare al processo decisionale che ogni fase del ciclo di vita propone”. Questa riformulazione della teoria dell’inconscio ha reso possibile laicizzare e “portare la psicoanalisi in fabbrica, in azienda, a scuola, in carcere, in ospedale” (p.164). Si capisce che i nuovi problemi hanno suggerito anche i nuovi rimedi.

 

Nel Motore del mondo Pietropolli Charmet racconta che per orientare la terapia propone ai suoi giovani pazienti di compilare una “pagella evolutiva”, uno strumento con cui i ragazzi provano a mettere a fuoco i problemi che ritengono più pesanti come, ad esempio, la relazione con la mamma, strappare dalle sue mani i libri e i quaderni di scuola per “riconquistare il diritto allo studio”, la relazione con i coetanei, con l’altro sesso, col proprio corpo, con il padre. I disagi che i ragazzi manifestano, dice l’autore, sono riconducibili a una serie di sentimenti prevalenti nella geografia dell’adolescenza odierna: speranza, colpa, vergogna e vendetta, odio, paura, amicizia, dolore, noia e amore. Sono nove “etichette generali” che aiutano a mettere un po’ in ordine i tanti aspetti complessi delle dinamiche adolescenziali, cioè a descrivere il motore del (nuovo) mondo.

 

 

Gli adolescenti sono in difficoltà nel pensare il futuro, una dimensione che sentono compromessa dalle accelerazioni tecnologiche e della scienza avvenute in un contesto globalizzato che evidentemente produce instabilità. Le ideologie non bastano più, le grandi narrazioni sono tramontate, i sistemi politici sono in affanno, così la speranza è entrata in crisi, e la sua crisi è “assurta a metodo di lavoro e di valore condiviso” (p.36). La stessa scuola “non insegna il futuro” perché è ancora tarata sul passato, lungo e illustre, mentre ai ragazzi “piacerebbe che i docenti sapessero come si fa a capire cosa si desidera per sé nel futuro e come si fa a intercettare la propria profonda inclinazione, magari nascosta da un sarcofago di cattivi voti, che qualcosa dicono ma poco e male” (p.41).

 

Una delle più grandi trasformazioni degli ultimi anni, dice Pietropolli Charmet, è stato il cambiamento della relazione tra genitori e figli, avvenuto con il principio inderogabile che “il dolore che si può somministrare a scopo educativo ai figli deve tendere a zero”. È una società in cui il bambino non è più concepito “come piccolo perverso polimorfo, cioè come soggetto dominato dagli impulsi sessuali e aggressivi”, ma, al contrario, come “un soggetto buono, competente, membro di diritto della famiglia che ha contribuito a fondare con la sua nascita” (p.55). La conseguenza è una concezione secondo cui i bambini non devono più avere paura dei genitori e degli adulti. È così che si è creata una nuova utopia educativa piena di insidie, una nuova alleanza tra madri postmoderne  (“al servizio di un progetto di grande realizzazione sociale del figlio, rendendogli disponibile qualunque risorsa possa aiutarlo ad apprendere i segreti del potere e del successo”) e padri relazionali  (che  hanno smesso “di montare la guardia alle regole e ai castighi e si [sono] impegnati nella valorizzazione del bambino, al quale hanno deciso di offrire più relazione che regole” p.92) che dovrebbe aiutare (ma non sempre ci riesce) i figli a crescere soprattutto nell’adolescenza. Conclusione: “Se dalla famiglia esce un semilavorato educativo che non sa dell’esistenza del delitto e del castigo, è ovvio che nella società dilagherà una generale tendenza a dimenticare la legge morale e il rigore dell’etica che imperavano fino al secolo scorso; […] bisognerà abituarsi a non far più conto sull’eventuale sentimento di colpa del nostro interlocutore, che non ha alcun motivo per preoccuparsi del nostro benessere. A questo dobbiamo pensare noi da soli, senza il sostegno di una moralità sociale e condivisa” (p.57).

 

Eppure proprio questi “ragazzi interrotti”, con i genitori-ostacolo nel loro percorso di emancipazione/differenziazione, alle prese con lo sviluppo identitario, pieni di paura di fallire, di essere irrilevanti sul piano sociale, sono ragazzi per i quali il legame dell’amicizia rimane la garanzia contro l’incubo della solitudine, dell’esclusione. Per i quali le dinamiche del gruppo, quando si attivano, diventano il motore dell’accoglienza; propiziano e regolamentano l’amore (di ogni tipo), e diventano la nuova famiglia con cui si è connessi h24, che funziona contro il dolore, l’odio e la noia. 

Forse sono proprio gli adolescenti gli esseri umani che hanno le migliori caratteristiche per affrontare questa fase? Proprio perché sono fatti di provvisorietà ed esitazioni possiedono una naturale assuefazione al sisma esistenziale, esattamente ciò che gli adulti generalmente non hanno più. Forse manco se ne accorgono della enormità dei guai che stiamo attraversando, gli danno un diverso peso, un’altra connotazione, proprio perché è l’adolescenza stessa che da qualche tempo sta vivendo un processo di mutazione rispetto a quella dei decenni scorsi. I ragazzi di oggi (ne ho incontrati molti lavorando nella Scuola, specialmente negli ultimi dieci-quindici anni) si stanno confrontando con “entità” diverse e nuove di cui nessuno si rende conto facilmente mentre le sta vivendo, pensiamo solo all’esposizione incessante alla manipolazione della rete nella quale la loro intelligenza, l’emotività, l’affettività sono “sussunte”. Di fatto vivono una sfida (di crescere oggi) nella sfida (in un mondo che si sta riformulando). Ragazzi in e, soprattutto, di questo mondo.

 

Una mattina fischiettavo Jimi Hendrix  (Voodoo Child) mentre sfogliavo il vocabolario, dimenticando completamente che stavo facendo il compito in classe di Latino e intorno a me c’erano la prof e ventidue compagni. Per un attimo mi ero “settato” da pomeriggio, quando facevo i compiti in camera mia ascoltando per radio le meraviglie del rock. Già, ma “fischiettare Jimi Hendrix”, scuola a parte, non si poteva e non si può perché è impossibile seguirne la complessità espressiva con qualcosa che non è nemmeno uno “strumento”, perché fischiettare è poco più che un povero gesto sonoro. Eppure, se si era adolescenti (fine Sessanta primi Settanta) anche solo mimare l’arte del tuo idolo ti gratificava, ti teneva compagnia nella landa psichica per lo più desolata in cui ti toccava vivere. Insomma fischiettare Jimi Hendrix per un adolescente era possibile, poteva ancora aiutare in un momento in cui la stabilità delle consuetudini educative (società patriarcale, ecc.) cominciava chiaramente a scricchiolare. Hendrix era il mio ologramma di riferimento, depositario di ogni slancio vitale. Quello di fischiettare Jimi Hendrix era tutto sommato un atto concreto, un’elaborazione fattiva del mio immaginario. Di qualcosa del genere è probabile che gli adolescenti abbiano ancora bisogno per difendersi nella loro navicella spaziale.

 

P.S.: Inutile dire che Il motore del mondo è un libro che dovrebbe entrare d’ufficio tra gli strumenti di lavoro di qualunque insegnante.

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