Juan Gómez-Jurado, tre donne
La casa editrice Fazi ha presentato negli ultimi mesi Tutto brucia, romanzo di Juan Gómez-Jurado, nato a Madrid nel 1977 e noto per la trilogia composta da Regina Rossa, Lupa Nera e Re Bianco, dal successo clamoroso con oltre 2 milioni di copie vendute e tradotte in 40 lingue.
Aura Reyes, Mari Paz Celeiro e Irene Munoz Quijano (alias Sere) sono tre donne con un passato turbolento e doloroso, che si incontrano per raggiungere un obiettivo. Si tratta di trovare per una di loro, Aura, una soluzione ai problemi che la affliggono e evitarle la prigione. Apparentemente esse non hanno nulla in comune e nulla da perdere, forti, brillanti, determinate, intelligenti, pronte a tutto senza preoccuparsi troppo delle conseguenze. Rimasta vedova con figlie a carico, Aura è stata ingannata da Sebastián Ponzano, presidente della Value Bank, avviata da questi a una carriera folgorante ma poi fattasi risucchiare in un disegno finanziario truffaldino. Da dirigente di successo, con una vita serena e benestante, si trasforma in imputata di una maxi-frode, con il rischio concreto di essere condannata e di perdere quindi tutto, a cominciare delle figlie. E questo anche perché ha assunto il ruolo, suo malgrado, di capro espiatorio: l’essere realmente colpevole è una circostanza sostanzialmente irrilevante perché l’importante è che qualcuno, chiunque esso sia, finisca in prigione. Ed è la sorte capitata a lei. “Chi è punito non è colui che ha compiuto l’atto. È sempre il capro espiatorio. All’epoca non aveva capito, lo capisce bene ora. «Ti serve un colpevole” (p. 209). Intanto Aura conosce Mari Paz Celeiro, quella che si può definire il braccio, una gallega (altro nome per galiziana) appartenente al corpo dei legionari, senza timori di sorta. Caduta in disgrazia si è ridotta a vivere in macchina, con qualche bevuta di troppo per annebbiare i pensieri disperati. Coraggiosa e tenace non si tira indietro davanti a nulla, lotta contro i mostri del passato che l’affliggono, viene coinvolta nella vendetta quasi disperata di Aura. “Mari Paz ama i postumi perché alla fine svaniscono, e quando lo fanno si lasciano dietro una rinascita nel corpo e nell’anima che null’altro può offrire”. La affiancheranno dandole una mano i legionari, quattro ex militari suoi amici. “È un cameratismo inappuntabile, una generosità senza fratture. Uno qualunque di questi quattro uomini, di estrazione umile e bistrattato dalla vita, non esiterebbe un istante a donarla a ciascuno degli altri. E a Mari Paz, più di tutti perché non solo la rispettano. La idolatrano”.
A loro si unisce Sere Quijano, ingegnere informatico, una sorta di streghetta ossessionata dalla magia, col vizio di lanciare ossessivamente i dadi quando deve prendere una decisione, concentrata ad occupare il tempo nello studiare gli oggetti elettronici. Una donna che vive in un regime di isolamento autoimposto, priva di emozioni, non reattiva, fredda, distaccata, immersa in un’enorme sofferenza. “Più sola è una persona, più diventa solitaria. La solitudine le cresce attorno, come la muffa che si incrosta ed è sempre più difficile staccare. Uno scudo che inibisce ciò che potrebbe distruggerla, e che tanto desidera. La solitudine è cumulativa, si estende e si perpetua autonomamente”.
Un altro personaggio femminile rilevante è la commissaria di polizia Romero, donna imperturbabile, spietata, dal sangue freddo e dalle idee chiare. Anche lei è una sopravvissuta, rimasta a galla occupando però uno spazio nel mondo dell’illecito.
Questo è sostanzialmente un romanzo al femminile, dove le protagoniste sono donne che si uniscono per prendersi come perdenti una rivincita, solidali tra loro, senza rivalità o invidia. Escogitano un piano per riavere quel che spetta loro, ma è sconclusionato, illusorio, con poche possibilità di successo. Ci provano ugualmente, cocciute e imperterrite in nome della fedeltà reciproca e della profonda amicizia, mosse dal desiderio di ribellione verso un mondo in cui “sono sempre gli stessi a vincere. È ora di cambiare le regole”. Tra piani elaborati, fughe, minacce, tradimenti, paure e qualche scazzottata, queste donne ingaggiano uno scontro con il potere corrotto e nel contempo con i propri mostri interiori, confrontandosi anche con i volti della paura, in un turbine dal perenne movimento. “Bisogna scegliere con cura l’infelicità. Questa è l’unica felicità nella vita: scegliere la migliore infelicità”.
La narrazione, dal ritmo serrato e cinematografico, intreccia presente e passato, riflessioni personali e incursioni nei ricordi anche per consentire una migliore conoscenza dei vari personaggi. Il messaggio che ne esce è limpido: occorre coltivare la speranza, forse illusoria o temeraria, che si possa cambiare qualcosa appoggiandosi al coraggio e alla fedeltà, che si debba osare per sfidare i potenti, che si debba sperare che non siano sempre loro a vincere.
Il romanzo si inquadra dignitosamente in quel genere letterario e cinematografico che ha visto confluire la spy story e l’hard boiled, costruito su dosi di modesto realismo e su palesi inverosimiglianze, privo di sfumature, indifferente alla cornice ambientale. La trama è adrenalinica, irrazionale, ondeggiante tra momenti ironici ed altri privi di immediato significato, secondo i canoni del romanzo post moderno o, meglio ancora, del suo successore il ‘romanzo global’ (Calabrese, www.letteratura.global. Il romanzo dopo il post-moderno, Einaudi, 2005). La sua caratteristica è essere ibridato con altri generi, contrassegnato dal non fornire senso ai luoghi, dall’esaltazione della virtualità e delle possibilità, dall’essere popolato da protagonisti con un’identità debole in quanto pedine di un gioco più ampio. È, nella sostanza, la cornice del thriller “d’azione” che appassiona ed elettrizza come vuol significare lo stesso termine ‘thriller’, per la costante attesa che induce lo spettatore-lettore a vivere in tensione a causa di un evento occulto e quindi non previsto. È il mondo della “suspence”, cioè dell’intervallo tra un dato ignoto perché ancora non avvenuto e la sua conoscenza, una ‘palestra cognitiva’ che allena a predire quanto avverrà. Gli obiettivi ondeggiano dallo scoprire il colpevole per rispondere alla convenzionale domanda del ‘chi è stato’, al verificare come si svolgere l’azione e come il protagonista riuscirà a superare eventi difficili, quasi estremi. E questo attraverso una narrazione sospesa tra quanto viene esposto e quanto è prevedibile, in un legame empatico ed emotivo con il pubblico (Cantone- Tomaselli, Suspence, Orthotes, 2016). Non solo: l’eroe, a differenza di quello dei polizieschi americani o europei, non vive in un mondo reso tragico dall’irruzione improvvisa del crimine, ma a quel mondo vuole ritornare dopo aver superato ostacoli rischiosi e avversari feroci lottando per sopravvivere, senza indugiare in ispezioni psicologiche anche solo superficiali. È il trionfo, trascinante e vistoso, della ‘mission impossible’, della attesa per come andrà tra impegno personale e fisicità muscolare. “Non vai troppo in fretta? Vuoi una pausa di riflessione? Chi ha parlato di riflettere?” (Tom Cruise)