Charles Melman / Cerco un centro di gravità... (ma di permanente è rimasto il godimento)
Il noto verso di Battiato “cerco un centro di gravità permanente”, cui si allude nel titolo, raccontava il vacillare dell'uomo che, negli anni ’80 in cui nasceva l'allegro e idiota edonismo italiano, faticava a ritrovare in sé un punto di tenuta. L’uomo senza gravità è un libro che Charles Melman pubblicò nel 2002, ed ora è appena uscito in Italia, edito da Mimesis nella collana diretta da Marisa Fiumanò, il volume La nuova economia psichica. Il modo di pensare e di godere oggi che, di quell’assenza di dignità ponderale, dettaglia le pieghe e le piaghe sia inconsce che del discorso pubblico. Charles Melman, infatti, appartiene a quella schiera di pensatori – di cui abbiamo sempre più bisogno – che sentono l'urgenza di mettere al servizio della smarrita e gaudente contemporaneità il raffinato armamentario di pensiero della psicoanalisi. D’altronde, lo scritto di Freud Il Disagio nella Civilità, i concetti analitici di Lacan del “discorso capitalista” e “l’inconscio è sociale”, sono qualcosa che autorizza lo psicoanalista a uscire dal suo studio. “Sono sorpreso non tanto di trovare gli psicoanalisti nel campo sociale ma di trovarveli così tardi!”, dice il filosofo Marcel Gauchet a Melman nel corso del dibattito alla presentazione di questo libro in Francia.
Dal torpore alla follia
Melman ci parla di un soggetto a bagno nell’economia pulsionale contemporanea, sperduto e dissipato nell'universo in cui “il comfort, la soavità, la speranza, il tepore, la routine, la benevolenza della positività” (p.166) lo ipnotizzano. L’uomo contemporaneo appare preso in un ordinamento ottuso, in cui la catena significante non scorre ma, al contrario, si inebetisce, non apre a nuovi scenari perché il soggetto naufraga in “quel regime in cui il significante non rinvia a nient’altro se non a un oggetto ideale che si trova sostantificato e dunque offerto alla presa, alla cattura, alla possessione e quindi allo stesso tempo offerto al consumo” (p.166). Si pensa, cioè – e utilizzo l’impersonale non a caso dato che il soggetto a bagno nel godimento non può che dissolversi – di potersi prendere tutto, di portarsi a casa qualunque bene e poi, magari, di chiudersi in casa a goderselo, o mettersi l’oggetto in tasca come letteralmente fa la protagonista del film scandalo Ecco l’impero dei sensi, di cui parleremo, che si mette in tasca il pene dell’amante: ciò che separa il torpore del godimento dalla follia sono pochi passi…
Il primo passo è quello che fa perdere la capacità di pensare
La questione cruciale che Melman si pone in questo testo è “di sapere se siamo capaci di preservare la caratteristica dell’umanità” (p.19). Il linguaggio è il più proprio dell’uomo, ma, in questa immersione nel godimento che lievita e continuamente eccede, il linguaggio subisce il processo contrario di essiccazione: il significante non rimanda a nulla, il pensiero si inaridisce. Il regime del discorso contemporaneo – di regime, come vedremo, si tratta – privilegia il godimento rispetto al pensiero: dunque, nel sottotitolo di questo libro, Il modo di pensare e godere oggi, va còlto uno scarto tra pensare e godere per il fatto che se c'é pensiero, il godimento è assente; dove si gode, non si pensa. Eppure lo scarto c’è e non c’è, si fa sempre più invisibile perché, secondo Melman, il regime del godimento è diventato la normalità: come dire che il movimento del godimento ha vinto e si è, in un certo senso, istituzionalizzato. Come e con quali conseguenze?
L’innumerabilità della madre non offre gravità
Il nome di questo nuovo discorso del padrone non è più l’esecrabile patriarcato combattuto nel secolo scorso. Il nuovo dominio del godimento istituzionalizzato si chiama diversamente: come scrive Jean-Pierre Lebrun nella prefazione, Melman precisa che “la nuova economia psichica è il risultato non della sparizione del patriarcato ma della fine di un’economia psichica centrata sul padre. Sparendo, non lascia spazio a un’economia centrata sulla madre, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, ma un’economia psichica che, potendosi appoggiare solo a una madre, non numerabile, si ritrova senza centro... senza gravità!” (p.11). La “innumerabilità” della madre è un concetto di Lacan (Seminario XVIII) per dire che la discendenza della madre non inizia da nessuna parte, a differenza di quella maschile che è ridotta al numero (Giorgio I, II, III, IV…): “il padre non solo è castrato ma è castrato al punto da essere ridotto a un numero” (lezione del 6 giugno '71). Sulla discendenza dalla madre non c’è alcun dubbio, si sa sempre chi sia la madre e così la madre della madre, ecc. Cioè, non essendoci alcuna necessità di numerarla, è innumerabile: la discendenza materna “non la si può fare iniziare da nessuna parte” (idem).
Dunque, è l’appoggio alla sola madre, innumerabile, potremmo dire infinita, senza limite, senza castrazione, ciò che toglie il centro di gravità: dal mio punto di vista si potrebbe precisare che il discorso collettivo contemporaneo intorno alla maternità non privilegia il lavoro delle madri nell'autonomizzazione dei figli ma, al contrario, si dedica a vantare il godimento dell’attaccamento mentre non ha parole per sostenere la necessaria separazione. Compito tanto più urgente in quanto la prima separazione tocca alla madre: non la si può chiedere certamente al bambino; e il padre, senza il desiderio della madre di separarsi dal figlio, ha ben poco spazio di manovra.
Il libro di Melman sostiene che non si tratta di dare troppa importanza al padre – e ancor meno al patriarcato – ma di considerare il padre – che non coincide con il genitore! – in quanto rappresentante del linguaggio, cioè colui che offre la nominazione. Anche se il padre è un “funzionario del linguaggio “, non funziona anche in assenza, ma il suo intervento concreto è necessario per sostenere “la prevalenza della nominazione” e “l’autorità del linguaggio della parola”. In una parola, preserverebbe l’umanità dell’umano, che discende dalla castrazione.
Il concetto di matriarcato al cuore delle tesi di Melman
Per questi motivi, è interessante leggere la conferenza del 2002 che apre il libro, Le nuove forme cliniche, a partire dalle due sul matriarcato che chiudono il libro e che costituiscono il nocciolo incandescente, duro, fastidioso, indicibile del pensiero di Melman. Le due conferenze sul matriarcato sono una del 1999 e una del 2008, dunque coprono un arco temporale entro cui la riflessione di Melman ha prodotto diversi altri libri – tra cui quello citato in apertura, L’uomo senza gravità – a dimostrazione di quanto, nel pensiero di Melman, questo tema sia non solo il filo rosso della sua ricerca, ma per così dire il fondamento teorico delle sue tesi. Come dire che il regime del godimento, quello in cui la civiltà vacilla, nasce laddove il referente è la sola madre innumerabile, infinita. La logica materna è diversa da quella paterna: un padre ha l’abitudine di riferirsi all’autorità degli antenati, dice Melman, ma non una madre, che è “un’autorità senza limiti”, arbitraria, capricciosa. Il bambino può quindi avere il sentimento di essere esposto a un ordine arbitrario. E “se la madre non si appoggia a un referente, non si appoggia nemmeno su un testo, è come se lei stessa creasse continuamente un testo che il bambino deve decifrare.” (p.181) Ecco perché appoggiarsi alla sola madre non dà quel centro di gravità che permette di condurre la propria vita.
Nella Conferenza sul matriarcato (2008), contenuta nel volume, Melman, dopo aver ricordato che, secondo Platone, la famiglia è nociva per la formazione dei giovani, si domanda: cosa chiede una madre al figlio maschio? “Non gli chiede di rinunciare a sua madre, gli chiede solo che si mostri un vero uomo, al quale lei abbia potuto trasmettere le insegne della virilità che lei stessa non possiede” (p.179). Da lui si aspetta “o che sia un dongiovanni o che rinunci interamente alla sessualità per mettersi interamente al servizio di un culto materno” (p.180). Che numerosi casi d’impotenza maschile abbiano questa radice, è la clinica stessa a dircelo.
Dal punto di vista fantasmatico questo matriarcato inconscio vorrebbe trasmettere la vita senza passare dalla strettoia della relazione sessuale con un altro, e in questo modo favorisce la monogenitorialità. Per Melman, è esattamente per questo motivo – perché noi vorremmo che la vita si potesse trasmettere indipendentemente dal sesso – che l’analisi del matriarcato è mantenuta nell’ombra, salvo però celebrarlo, idealizzato, nel culto mariano.
Che mutamenti produce sul piano clinico?
La tesi di Melman è che con il matriarcato le nevrosi tradizionali diminuiscono perché esse esistono nella relazione transferenziale con il padre, nel rifiuto di accettare la legge paterna. In assenza di limite simbolico aumentano le psicosi e i soggetti borderline, tuttavia ciò che protegge i soggetti della nuova economia psichica è il fatto che fisiologicamente il corpo ha dei limiti. Il limite che si impone non è più un limite simbolico ma un limite reale che, immagina Melman, possa proteggere dalla psicosi. "Lo psicotico è spesso una persona molto intelligente perché la sua mente non è fissata, fermata una volta per tutte, come fa il fantasma con il nevrotico, il quale pensa e dice sempre la stessa cosa” (p.185). La conferenza si conclude con la riflessione che il futuro vedrà i giovani autorizzarsi da se stessi, e questo "non si era mai visto prima!” (p.186).
Il legame tra regime matriarcale, infantilizzazione e regresso spirituale
Nell’altra dissertazione contenuta nel volume, quella del 1999, Il soggetto del matriarcato, Melman si pone la questione di capire come funziona un soggetto sotto il “regime" del matriarcato, “poiché è proprio un regime” (p.161): l’umanità è passibile di subire un regresso culturale e spirituale, poiché se il reale della madre diventa fruibile siamo senza riparo. Il reale inconoscibile, introdotto da Lacan, è inconoscibile "per mantenere a distanza, per salvaguardarci culturalmente e spiritualmente” (p.165), contrariamente alla nostra aspirazione, la quale mostra quanto in fondo non siamo che bambini desiderosi di ritrovare il seno materno "da bere senza moderazione, fino a non avere più sete, fino a sbrodolarci sul bavaglino” (p.166). Se sostituiamo all’immagine del latte materno un qualunque altro oggetto da cui l’umanità è dipendente – cellulari, internet, porno, alcool, droga – abbiamo un’immagine trasversale e matrice del godimento.
Il dongiovanni, l’impotente e l’uomo-scarto
Cosa succede al soggetto-figlio e al soggetto-figlia sotto il regime del matriarcato? Per il soggetto figlio può accadere che, se la madre non ce l’ha (il fallo), è semplicemente perché lo ha donato al figlio: "al figlio non resta che sposare, che prendere a proprio carico il fantasma di sua madre” (p.170). Nel matriarcato la relazione della madre con la figlia è organizzata dal rifiuto dell’indice fallico che viene considerato come uno scarto: è questo il modo in cui un’omosessualità femminile latente o patente può venire attivata, se la madre non permette a sua figlia di divenire lei stessa madre. Viene poi analizzato il caso del matriarcato delle Antille francesi in cui le madri vivono coi figli e con la propria madre, mentre i maschi vivono, anch’essi, presso la propria madre, oppure da soli ma in contatto con diversi gruppi femminili da cui “passa[no] ogni tanto a staccare un assegno” (p.171), secondo la testimonianza di una psicoanalista antillana.
Essere colmati dall’oggetto (seno) rende folli
Con queste premesse, possiamo affrontare la conferenza con sui si apre il volume e cioè Le nuove forme cliniche del 2002. Collimare con il desiderio della madre, prendere la madre come oggetto che si sostantifica e, per così dire, ci si mette in tasca, porta al deragliamento del soggetto: il soggetto $ (barrato) si mantiene nell’ek-sistenza solo a condizione che l’oggetto sia mantenuto a distanza, secondo Lacan. Se il soggetto del desiderio fosse completamente e perfettamente colmato dall’oggetto, sparirebbe come soggetto, ed è ciò che, nella lettura di Melman, è accaduto alla protagonista giapponese del film Ecco l’impero dei sensi (1976, di Nagisa Oshima), basato su un episodio di cronaca realmente avvenuto in Giappone nel 1936. La simbiosi dei due amanti cresce lungo tutto il film e al suo completamento manca davvero pochissimo, un pezzettino, quel pezzetto che la donna crede di colmare appropriandosi del suo oggetto: tagliando il pene all’amante realizza il suo fantasma e questo la smarrisce. La vediamo, alla fine del film, vagare come pazza con l’oggetto, appunto, in tasca. Colmare la distanza minima tra due esseri è mortale. La lezione della psicoanalisi è sempre stata chiara: il soggetto si mantiene solo a condizione di restare insoddisfatto. Il bambino cresce solo se non viene riempito di latte, se resta una distanza tra lui e il seno. Si autonomizza se la madre fa un passo indietro, se resta una distanza tra lui e il corpo di lei. Quando il fantasma si realizza – dormire con la madre, ad esempio – “l’oggetto vi salta addosso”: è qui che s’incontra l’inferno, l’orrore.
Chi vuole andare fino in fondo al godimento, chi vuole cogliere l’oggetto piccolo a, metterselo in tasca come la donna giapponese, si espone effettivamente alla morte, cioè alla propria sparizione come soggetto. Freud aveva diviso pulsione di morte da pulsione di vita, mentre ciò che Lacan cerca di mostrare con la scrittura del fantasma $<>a è che la pulsione di morte è interna alla pulsione libidica.
La cultura dell’ashtag e il soggetto senza inconscio
Il soggetto del godimento, non riceve il messaggio dall’Altro in forma invertita, come fino all’epoca di Lacan, ma riceve il messaggio in forma diretta: allora, dice Melman, non c’è più alcuna possibilità di essere divisi in rapporto a questo messaggio, il soggetto non barrato diventa folle. Il messaggio del godimento è semplice, totale, totalitario. Siamo nella cultura dell’ashtag, del linguaggio che si vorrebbe non equivoco, quindi infecondo.
Il soggetto diventa esplicito e svapora il soggetto dell’inconscio. L’ipotesi di Melman è che oggi esiste un inconscio che non ha soggetto perché il soggetto è trattato dalla scienza, quindi è forcluso in quanto soggetto. La scienza produce un soggetto “che non ha inconscio” (p.85). È ragguardevole che già dal 2002 Melman sosteneva la tesi di un soggetto senza inconscio.