James W.P. Campbell, Will Price / Tutte le biblioteche del mondo
Un giorno un professore del Queens' College (Cambridge) si accorge che non esiste nemmeno un libro dedicato alla storia dell'architettura bibliotecaria nel suo complesso, dalle origini ai nostri giorni. Pertanto decide di colmarla lui, la lacuna.
Ed ecco qua le cinquecentoventotto pagine di La biblioteca (sottotitolo: “una storia mondiale”), scritte da James W.P. Campbell e accompagnate da 292 foto a colori di Will Price, celebre professionista specializzato in architettura e interni. L'editore è Einaudi, 2020.
Per farlo i due hanno visitato ben ottantadue biblioteche diverse in ventun paesi. Perché, come scrive Campbell nella prefazione, nulla può sostituire l'esperienza diretta di un edificio. (Il che, a tutta prima, potrebbe parere un paradosso che si ritorce contro il libro stesso; ma il testo, con le sue splendide illustrazioni, si configura in realtà come un caldo invito a visitare, quando sarà di nuovo possibile, tutte o almeno il maggior numero possibile di queste costruzioni magnifiche).
Il libro è strutturato secondo una linea ampiamente cronologica, con qualche digressione, ove necessario.
Una storia planetaria impone necessariamente delle doverose selezioni. Non si può ambire alla completezza in senso stretto. Seguiremo questo metodo anche noi parlando del libro.
Si comincia con l'antichità. La nostra conoscenza delle culture antiche è, si sa, essenzialmente una storia di perdite.
La biblioteca di Ebla, in Siria, è forse la più antica del mondo. Fu distrutta da un esercito invasore in un periodo compreso tra il 2300 e il 2250 a. C.
Il fuoco, che di solito è il nemico numero uno delle biblioteche, ha invece in questo caso permesso la conservazione, tramite cottura, delle tavolette di argilla che altrimenti si sarebbero polverizzate nel corso del tempo. Inoltre gli archeologi ci dicono che già qui, in questa proto-biblioteca, era in atto quella separazione tra magazzino e “sala di lettura” che diverrà così tipica in seguito. Infatti sono due i locali attigui individuati: uno stretto ripostiglio di pochi metri quadri e, accanto, un locale con panche che correvano lungo i lati, probabilmente adibito al lavoro degli scribi e alla lettura.
Non sappiamo quasi niente delle biblioteche greche di Pergamo e Alessandria. I Pinakes o Tavole di Callimaco, catalogo compilato nel terzo secolo a.C. e relativo a quest'ultima, riempivano ben 120 rotoli di pergamena. Ma oggi ne sussistono solo venticinque scarsi frammenti. L'enorme biblioteca di Alessandria forse fu distrutta dagli incendi appiccati da Giulio Cesare nel 48 a.C. Oppure fu un emiro arabo, di nome Amr ibn al-As a decretarne la fine nel 641 d.C. Nei manuali di logica si cita, come esempio di “falso dilemma” il ragionamento fallace da lui seguito: o in questa biblioteca ci sono libri che ripetono il Corano, e allora sono inutili, o sono contrari al Corano, e allora sono nocivi. In ogni caso appiccò (o avrebbe appiccato, perché non è sicuro) il fuoco. La logica insegna che si sarebbe dovuto contemplare, a rigore, un terzo caso: libri che non erano già contenuti nel Corano e non gli erano però nemmeno ostili.
Ma si sa che vicende umane e logica sono spesso realtà incompatibili.
La biblioteca antica meglio conservata è quella di Celso a Efeso, oggi in Turchia. Rimane una splendida facciata, riccamente decorata con statue e bassorilievi. Peccato che non sia originale. Si tratta di una ricostruzione eseguita a partire dai resti ritrovati a partire dal 1903. Ma, quello che risalta, è che si tratta di un mausoleo e di una biblioteca insieme. Tiberio Giulio Celso Polemeano fu qui sepolto nel 135 d. C. dal figlio e la biblioteca fu edificata per onorarne la memoria. Qualcosa del genere si ritrova, per compiere un bel balzo cronologico in avanti, nella biblioteca austriaca rococò di Altenburg (1742), dove lo spazio delle librerie sorge sopra la cripta mortuaria degli abati: i volumi, che contengono in effetti pensieri di morti, hanno in un certo senso il loro fondamento e ancoraggio nelle tombe sottostanti, funebre continuità.
Non sappiamo se le cosiddette biblioteche del foro di Traiano e delle terme di Caracalla fossero realmente tali. I due elementi che di solito fanno inclinare gli studiosi per l'ipotesi “biblioteca” ci sono: ossia la presenza nei resti archeologici di un plinto e di varie nicchie. Il primo necessario per evitare il contatto diretto con il terreno, le seconde atte a ospitare gli “armaria” in cui si racchiudevano i rotoli di papiro. Ma le opinioni in merito discordano.
Comunque, anche se gli edifici romani non sono sopravvissuti che in parte, si è mantenuto intatto, pare, il concetto della biblioteca come costruzione anche esteticamente pregevole e non come puro ricetto di volumi.
Quanto alle biblioteche medievali, la nostra visione attuale, “romantica” per così dire, è del tutto slegata dalla realtà.
Uno dei più bei quadri immaginari è quello fornito da Umberto Eco, nel suo famosissimo Nome della rosa. (Incidentalmente osserviamo che proprio Eco firmò una bella recensione della prima edizione, in altro e più grande formato, di questo libro di Campbell e Pryce, nel 2014 su “L'Espresso).
La biblioteca, labirintica, del convento, nel romanzo di Eco occupa uno spazio molto esteso ed è ricchissima di volumi. J.Ward ha calcolato che essi si aggirerebbero intorno alla considerevole cifra di 85.000 esemplari.
Orbene, Campbell ci dice che tale cifra è assolutamente esagerata. Le maggiori collezioni monastiche dell'epoca comprendevano di solito meno di 1000 libri. Nel 1338, quindi più o meno nel periodo in cui è ambientata l'opera di Eco, la Sorbona vantava la più ricca collezione d'Europa, con 338 libri per consultazione e 1728 libri catalogati, dei quali 300 segnati come perduti.
Quindi Eco certamente affascina ma non è nel vero.
Com'erano dunque effettivamente le biblioteche medievali?
Per appurarlo, suggerisce Campbell, dobbiamo rivolgerci a una biblioteca italiana costruita in quel periodo che comunemente chiamiamo Rinascimento, la quale però riflette la tipologia anteriore. Si tratta della famosa Malatestiana di Cesena, 1452.
Una lunga aula centrale, con volta a botte, e due ali laterali divise da campate con volte a crociera. Le pareti sono verdi. Il pavimento rosso. Perché questi sono i due colori del blasone dei Malatesta, signori di Cesena.
La biblioteca è provvista di banchi, un tipo di scrittoio che pare fosse comune nelle biblioteche medievali, tutti orientati nella medesima direzione. Questi scrittoi presentano un piano inclinato al di sopra di un unico scaffale sul quale sono conservati i libri, legati con catenelle a un'asta di ferro che corre lungo il bordo frontale del piano inclinato stesso.
I libri, impilati l'uno sull'altro, in orizzontale, erano dunque libri in catene, letteralmente.
I codici in pergamena costavano un patrimonio. Una Bibbia di 1000 pagine, per esempio, richiedeva 250 pelli, ossia 250 pecore. Per non parlare dei costi aggiuntivi per trasformare le pelli in pergamene, il tempo e la fatica per rilegarli, miniarli eccetera. Si capisce che i furti fossero temutissimi.
Questa è una storia planetaria della biblioteca. Quindi è dato giustamente spazio anche a straordinari edifici extraeuropei.
Per esempio la biblioteca del monastero di Haeinsa, Corea del Sud, 1251, dove sono custoditi i Tripitaka Koreana, uno dei manufatti letterari più incredibili che si conoscano: 81.258 tavolette di legno, matrici di stampa, del più completo e importante corpus di scritti dottrinali buddistici del mondo. In questi testi non è stato trovato neppure un errore commesso dai copisti. Così assoluta doveva essere la loro attenzione.
Le tavolette sono custodite in due lunghi padiglioni di legno. Il pavimento è fatto di strati di carbone, fango, sale, sabbia e calcare. I muri hanno sfinestrature per fornire una buona ventilazione.
Allorché, nel 1971, le autorità coreane decisero che le preziose tavolette dovevano essere trasferite in edifici migliori, moderni e dotati di climatizzazione, vennero realizzati dei depositi-bunker atti alla bisogna. Ma i Tripitaka ivi radunati iniziarono a deteriorarsi rapidamente e si comprese che l'antica sistemazione era di gran lunga la più adatta. Storia assai istruttiva.
Curiosa è invece la sistemazione giapponese dei “sutra” che si trova nel tempio di Mii-dera, Otsu, risalente al XV secolo. Qui i testi sono contenuti in un cilindro girevole. Assistere a un giro completo del cilindro equivaleva ad averli letti tutti da cima a fondo.
Due biblioteche rinascimentali esemplari sono la Marciana e la Laurenziana. A Venezia, la prima; a Firenze la seconda, naturalmente.
Ciò che contraddistingue la Marciana sono gli esterni, dove Sansovino incorporò assai abilmente archi e colonne di ordini diversi, dorico e ionico. Però la costruzione fu assai travagliata. Il primo soffitto progettato dal celebre architetto, ambiziosa volta in pietra che attraversava l'intero spazio, crollò e il suo creatore finì in prigione.
L'esterno della Laurenziana è pressoché invisibile. Inoltre nel corso del XIX secolo fu compiuto quello che Campbell definisce un atto di “inconcepibile vandalismo architettonico” e alla parete est della biblioteca fu aggiunta una sala di lettura. Ciò comportò la chiusura della maggior parte di finestre su quel lato e la rimozione di alcuni banchi.
Invece l'interno è definito di “una bellezza mozzafiato”. Il fatto che essa abbia il soffitto piatto e non a volta e non presenti colonne, come la Malatestiana ad esempio, sarebbe secondo alcuni da ricondurre a una sorta di volontà di secolarizzazione. La biblioteca smetterebbe di imitare l'architettura religiosa e organizzerebbe il proprio spazio in modo “laico”. Campbell però ne dubita. Michelangelo, oltretutto, era, così dice, notoriamente restio alle teorizzazioni in quest'ambito.
Comunque anche la Laurenziana è una biblioteca “in catene”. I pregevoli volumi dei Medici, segno anch'essi del loro potere consolidato, andavano ben custoditi e saldamente legati ai banchi. Ricordiamo che il libro a stampa, di recente comparsa, era considerato nettamente inferiore ai manoscritti. Federico da Montefeltro, afferma Burckhardt nella sua celeberrima Civiltà del Rinascimento in Italia, si vantava che nella sua biblioteca di Urbino non vi fosse nemmeno un solo libro stampato, novità da parvenu, ma esclusivamente antichi codici manoscritti.
È solo nel XVI secolo che si delinea, per la conservazione dei libri, il sistema a muro, con i volumi disposti in verticale su scaffali addossati alle pareti. Sistema che trionferà nel secolo successivo e che, del resto, è ancor oggi quello maggiormente utilizzato. Il formato dei libri a stampa era molto più maneggevole rispetto ai codici pergamenacei. Il loro costo era infinitamente più economico.
Pare che sia stata la famosa biblioteca dell'Escorial (San Lorenzo de El Escorial, Spagna, 1585) a distinguersi per l'epocale trasformazione.
Non più libri nascosti in cassapanche o armadi; non più volumi legati ai leggii tramite catene e catenelle, ma testi ben visibili in ranghi serrati sugli scaffali lungo le pareti.
Da quel momento la visione di una grande sala, decorata e al tempo stesso animata dai libri che conteneva, avrebbe dominato l'architettura bibliotecaria.
Le scaffalature dell'Escorial aderivano ai muri, presentandosi come arredi a sé stanti e di squisita fattura, posti lungo i lati della sala, anche se, a rigore, non del tutto integrati con essa, in quanto lievemente sporgenti.
La fase successiva fu quella di costruire scaffali che si ponessero come parte integrante del muro, di cui ricoprivano l'intera superficie.
È questo il caso dell'Ambrosiana di Milano, 1609, probabilmente la prima al mondo ad adottare questo sistema: alti scaffali, a muro, più balconate perché le scale a pioli non bastavano a raggiungere i livelli più alti dei ripiani.
La Bodleian Library di Oxford, 1612, fu battuta sul tempo solo di pochi anni, se hanno senso gare di questo tipo.
Un altro splendido esemplare in tal senso è dato dalla sala teologica del monastero di Strahov, 1679, Praga.
I libri disposti verticalmente mostrano il dorso. Come oggi. Ricordiamo che precedentemente il titolo o l'argomento del libro erano spesso scritti a inchiostro sul taglio dei volumi, che era la parte rivolta agli spettatori.
In questo stesso periodo si vanno affermando, soprattutto in Inghilterra, i primi modelli di biblioteca a pianta circolare, il cui primo esemplare è probabilmente quello progettato (benché non realizzato) da Wren per il Trinity College di Cambridge.
Dalla visione di alcune di esse, come la Radcliffe Camera a Oxford, 1749, con i libri disposti in cerchio lungo tutti i muri, deriva forse la concezione mistica della celeberrima “Biblioteca di Babele” di Borges: “una camera circolare con una gran libro circolare dalla costola continua che fa il giro completo delle pareti”. Questo libro ciclico è Dio. Del resto la Biblioteca stessa, secondo il testo di Borges, altro non è che: “una sfera il cui centro esatto è qualsiasi esagono e la cui circonferenza è inaccessibile”.
Le biblioteche barocche e rococò sono delle grandi biblioteche teatrali e scenografiche, ricche di dipinti, sculture e stucchi che veicolano messaggi sia di natura ideologica che politica.
Innanzitutto sono biblioteche reali.
Le collezioni reali d'Inghilterra o Francia o Austria versavano in pessime condizioni. Quando il calvinista olandese Hugo Blotius (Hugues Bloot), 1533-1608, fu nominato bibliotecario della Hofbibliothek di Vienna rimase sgomento di fronte a tutto quel marciume, muffa, resti di tarme e falene e spesse coltri di ragnatele.
La nuova Hofbibliothek, 1730, progettata da Johann Bernhard Fischer von Erlach (uno dei più grandi scenografi dell'epoca) e completata dal figlio, Joseph Emanuel, è la più grande biblioteca rococò mai costruita. Lunga più di 77 metri, larga 14 e alta 19, si caratterizza per lunghi tamburi sporgenti che contengono quattro scale a chiocciola che portano alle gallerie soprastanti. Lo spazio centrale è decorato con dipinti trompe-l'oeil di Daniel Gran, l'artista di corte. Rappresentano l'apoteosi dell'imperatore Carlo VI. I sovrani erano ansiosi di mostrarsi lungimiranti promotori delle scienze e delle arti.
Quale occasione migliore di una biblioteca?
Spesso però, in effetti, si trattava di illusione, di trucco, di facciate meravigliose che nascondevano realtà di minor impatto.
Per esempio gli archi che suddividono le sale della Biblioteca Joanina di Coimbra, 1728, sembrano in muratura, in verità sono solo di legno e stucco.
(A proposito di biblioteche settecentesche portoghesi, quella del palazzo di Mafra, 1771, si segnala, oltre che per le sue enormi dimensioni, per una particolarità: oggi, come allora, ospita una colonia di minuscoli pipistrelli che si nutrono degli insetti nocivi ai libri. Unico inconveniente: lo sterco che lasciano sul pavimento e sui tavoli, che vanno naturalmente puliti ogni mattina).
Le statue “bronzee” della biblioteca dell'abbazia di Admont (1776, Austria) sono in realtà lignee.
Le colonne della biblioteca di Wiblingen (1744, Germania) sono in scagliola, ad imitazione del marmo.
La balaustra delle gallerie della biblioteca di Sankt Florian (1750, Austria) è solo decorativa più che funzionale, pertanto è abbellita, tramite impiallacciatura, solo dal lato visibile dal piano di sotto, per il resto è grezza.
Sempre nella biblioteca dell'abbazia di Admont tutti i volumi furono rilegati in pelle bianca di maiale, con notevole dispendio, e solo per armonizzarsi al meglio con i colori dominanti (bianco, appunto, e oro) dell'ambiente circostante.
Ciò che contava era l'impatto scenico. Il colpo d'occhio. La bella apparenza più che la sostanza.
A questo proposito va ricordato che gli scaffali della sommità della biblioteca dell'abbazia di Melk (1732, Austria) erano così bassi che non si potevano riempire nemmeno con i volumi più piccoli. Ecco allora che in essi vengono posti finti libri formati da blocchi di legno dipinti che recano sul dorso fantasiosi titoli quali Anonymus de Xylo (“Sul legno, di Anonimo”) oppure Lignarus de Vacuo (“Sul vuoto, di Legnoso).
Del resto tali biblioteche questo dovevano fare: stupire, impressionare l'occasionale visitatore (ad esempio un sovrano o un gran nobile di passaggio). Erano progettate per la conservazione e, soprattutto, per l'esposizione. Non furono mai pensate come autentici luoghi di studio.
Con il XIX secolo finisce l'epoca della biblioteca in un'unica stanza e comincia l'era della biblioteca-edificio.
Non abbiamo più la biblioteca ordinata da re, abati o nobili, ma compare in quest'epoca la biblioteca pubblica, commissionata da un comitato, da un'amministrazione, un ente collettivo. Nascono le Biblioteche Nazionali. Nasce il deposito legale dei libri, per via del quale un editore è tenuto a inviare alla biblioteca una copia di qualunque sua pubblicazione.
Contestualmente si sviluppa sempre più il concorso pubblico come metodo di selezione tra vari progetti architettonici.
Inoltre si afferma, sempre in questo periodo, la figura del bibliotecario professionale, che prima praticamente non esisteva, se non in modo sporadico.
E, va detto, comincia anche a profilarsi quel conflitto tra esigenze del bibliotecario ed esigenze dell'architetto che, pare, continua a sussistere tuttora.
Prendiamo ad esempio la Biblioteca nazionale della Finlandia (Helsinki, 1840-45). Sembra che qui la cosiddetta “tirannia della pianta simmetrica” di ascendenza parigina (École des Beaux-Arts) abbia costretto i bibliotecari a muoversi in ambienti poco pratici. Del resto raramente in un edificio ci sono elementi doppi: in una casa non ci sono due cucine, e così che senso hanno, in una biblioteca, due sale di lettura simmetriche?
A parte ciò nelle grandi biblioteche del secolo si affermano, ed è ovvio, anche alcune grandi innovazioni tecnologiche, legate all'uso del ferro e del gas.
Con l'illuminazione a gas si può prolungare l'apertura serale, che prima era del tutto impossibile: non si potevano usare candele o simili per il pericolo del fuoco.
Il ferro, anche per il suo potere ignifugo, caratterizza alcune note biblioteche ottocentesche, come la Bibliothèque Sainte-Geneviève di Parigi (1850) dell'architetto Labrouste, col suo celebre tetto in ferro sostenuto da 16 colonne, anch'esse in ferro. Le gallerie sono a gradoni, come in un progetto mai realizzato del Boullé, che però, come l'analogo di Wren per la pianta circolare, ha avuto, come vedremo, una sua duratura influenza.
Anche la sala di lettura, circolare, del British Museum di Londra (1857) è in ferro. Le scrivanie per i lettori vengono disposte a raggiera a partire dal centro in modo da consentire un'ampia visuale ai bibliotecari. Struttura di sorveglianza che ricorda assai da vicino il famoso, o famigerato, Panopticon elaborato da Jeremy Bentham. Del resto i libri non sono più legati con le catene; inizia l'era dello “scaffale aperto”.
Altri elementi che segnano le biblioteche ottocentesche e che resteranno a lungo in uso sono i cataloghi a schede mobili, i sistemi di classificazione (il più noto dei quali fu elaborato da Melvil Dewey), gli arredi ergonomici.
Eppure anche in quest'epoca di novità tecnologiche (ad esempio il montacarichi a vapore per i libri) spesso il funzionalismo è solo gusto mascherato. I capricci della moda o l'estro individuale del singolo architetto non hanno meno influenza della tecnica. Come dimostrano certe biblioteche con la loro audacia decorativa: la Fisher Fine Arts Library, per esempio, dell'Università della Pennsylvania, Filadelfia, 1891, di Frank Furness.
Non diversamente vanno le cose nel XX secolo. La tecnologia non è tutto.
Anche se la biblioteca viene percepita come una macchina per l'immagazzinamento e la consultazione e il riposizionamento dei libri; anche se l'elettricità risolve finalmente annosi o secolari problemi d'illuminazione, sono pur sempre le idee i gusti degli architetti a determinare la struttura degli edifici.
Si pensi anche solo al valore simbolico che viene dato alla scala principale d'ingresso della Biblioteca nazionale della Slovenia, Lubiana, 1941. Il suo creatore, Jože Plečnik, mediante essa, in marmo nero, che sale con ampia maestosità dal buio verso la luce, intende rappresentare l'ascesa dalle tenebre dell'ignoranza ai lumi della conoscenza. (Qualcosa del genere era già stato fatto da Gunnar Asplund con la sua grande scala nera della Biblioteca di Stoccolma, 1928).
Oppure si pensi alla Beinecke Rare Book and Manuscript Library di Yale, ad opera di Gordon Bunshaft, 1963.
Egli optò per questa soluzione: una grande scatola di vetro posizionata dentro una scatola di marmo più grande. Le pareti di marmo traslucido fanno filtrare all'interno una luce color miele, che fa risaltare la legatura in pelle dei volumi.
La Biblioteca di stato di Berlino, realizzata nel 1978 da Hans Scharoun, è una netta presa di posizione contro le concezioni Beaux-Arts della planimetria assiale.
In questa costruzione infatti la sala di lettura, per esempio, è un unico ampio spazio, composto di diversi livelli, collegati da scale e terrazze. Questa disposizione permette ai lettori di scegliere un posto adatto alle loro esigenze: ci sono infatti piccoli banchi di lettura personali, nicchie nascoste negli angoli, aree dai soffitti alti, scrivanie posizionate accanto alle finestre e postazioni da cui si gode la vista su tutto l'edificio. Autentica architettura dell'eterogeneità che gioisce della varietà e del mutamento. Contro un'idea di simmetria astratta.
Allo stesso modo la Bibliothèque Nationale di Parigi, progettata da Perrault e ultimata nel 1996, per sostituire quella di Labrouste, ormai satura, ha trasformato il suo tetto in un'enorme pubblica piazza, all'aperto, al cui centro si apre un giardino ribassato, ricco di pini, le cui cime sono appena visibili dall'interno dell'area.
Perrault, dice Campbell, porta la campagna vera e propria nel centro dell'edificio. Labrouste invece aveva portato i suoi giardini nelle sale di lettura di via Richelieu dipingendoli sulle pareti.
Un notevole cambiamento, non c'è che dire.
Il progetto mai realizzato di Boullé, coi suoi gradoni discendenti che diventano sempre più piccoli, pare essersi incarnato sia nella Biblioteca Nazionale della Repubblica Popolare Cinese di Pechino, 2008; sia nella sala di lettura principale del Centro Grimm, Berlino, 2009.
Si dice che sia un settore in crisi, quello delle biblioteche nell'era dell'elettronica; c'è chi ne ha già profetizzato più volte la fine; eppure esso pare godere in realtà di buona salute. Speriamo.