Polifemo e noi

5 Ottobre 2024

Il due aprile del 1857, all'Accademia delle Scienze di Berlino, Jakob Grimm lesse una relazione sulla saga di Polifemo. Si tratta della ben nota vicenda raccontata nel libro nono dell'Odissea, che ha per protagonista il gigante monocolo, accecato da Odisseo con un affilato palo d'ulivo, per vendicare i suoi compagni uccisi e divorati, e per di più beffato con l'altrettanto noto stratagemma del nome falso “Nessuno” (Οΰτις). Chi è stato ad accecarti, Polifemo? Nessuno, è stato nessuno. L'eroe greco e i suoi compagni superstiti riescono poi a uscire dall'antro del gigante nascondendosi sotto le sue stesse pecore (Odisseo in verità tenendosi abbrancato sotto un ariete). È risaputo anche questo.

Jakob Grimm, oltre a rilevare le incongruenze evidenti nel comportamento di Odisseo, insolitamente avventato e poco accorto rispetto ad altre analoghe situazioni del poema omerico, passa in rassegna una nutrita serie di racconti di differenti epoche e differenti luoghi, che si presentano tutti, pur con sensibili differenze, come sostanziali variazioni dell'episodio omerico. 

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C'è una versione tedesca, risalente al xv secolo, del medievale Dolophatos in francese antico; c'è una versione oghuz (popolo turco-tataro) assai più remota, in cui il gigante si chiama Depe Ghőz, ossia “occhio a corona” (il greco “kyklops” significava, secondo Esiodo, “occhio tondo”); c'è una versione araba (ma di orgine persiana antica), nel terzo dei Viaggi di Sindbad; e poi una fiaba serba, una leggenda transilvana, una saga estone, un racconto popolare finlandese, uno della Carelia russa e una, forse la più antica, norvegese, pubblicata nel 1850, quindi, per allora, una primizia.

In tutte queste versioni ci troviamo di fronte a un gigante o a una creatura sovrannaturale (il demonio ad esempio), che comunque viene sopraffatta da un uomo o da dei ragazzi o da un umile servitore: la forza bruta sconfitta dall'astuzia. Non sempre l'essere più forte è monocolo, a volte di occhi ne ha due. Che però vengono messi fuori uso: i metodi divergono. Coltelli, olio bollente, piombo fuso, legni affilati. Spesso la fuga delle creature più deboli ma vittoriose avviene grazie a pelli di ariete in cui esse si avvolgono. Lo stratagemma del nome falso può divergere anch'esso: nel testo estone non si tratta di “nessuno”, ma di “me medesimo”. “Qual è il tuo nome?” chiede il diavolo “Me medesimo Issi” risponde il servitore.

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Acis and Galatea Discovered by Polyphemus, Manufacture Royale des Gobelins, c. 1680 - c. 1684.

Grimm esclude che tutte queste varie versioni abbiano come fonte comune l'Odissea; solo una fiaba dell'Harz ha secondo lui subito l'influenza diretta del testo omerico. “La leggenda mantiene celato il luogo della propria origine, il punto da cui emerse la prima volta, e permette di intravedere una sua configurazione più arcaica: irrompe in cieli remoti, attraversa i secoli, scompare e ricompare con forza immutata. A seconda del terreno in cui ha gettato le proprie radici, cambia colore e forma, si espande o si contrae: in queste trasformazioni, tuttavia, traspare sempre un fondamento comune”.

L'abbondanza della citazione è giustificata dalla sua indubbia bellezza e tenuta letteraria.

A tutta prima questa relazione di Jakob Grimm (tradotta ora per la prima volta in italiano da Francesco Valagussa per i tipi di Bollati Boringhieri) parrebbe avere a che fare con una di quelle ricerche tipiche di Carlo Ginzburg, che si trovano ad affrontare fenomeni storici comuni afferenti però ad aree geografiche molto distanti tra loro, problemi del delicato rapporto tra morfologia e storia. Ma non è così. O, meglio, non è solo così.

Valagussa nella sua postfazione, intitolata spiritosamente Nell'occhio del ciclope, si misura con questioni di altro tipo. Innanzitutto oggi la ricerca parrebbe ammettere come possibile un'origine comune; sì, forse tutte queste leggende hanno avuto effettivamente come capostipite il testo omerico (che forse a sua volta attinse a piene mani dal folclore baltico). Ma non è questo il punto. Il punto è che, come in certi testi di Goethe, l'origine veramente sfugge. Il fenomeno da cui tutto il resto discende, l'Urphänomen, non c'è, non si trova. Manca l'Urzelle, la cellula originaria dell'intera saga del ciclope. Anche per Lévi-Strauss un mito andrebbe definito in base all'insieme di tutte le sue versioni, senza avvertire la necessità di gerarchizzarle in riferimento a un qualche indice di rilevanza. Esse andranno considerate tutte alla stessa stregua.

Ma non basta. Oggi noi sappiamo anche, sulla base per esempio delle ricerche di Oscar Hackmann, che della saga di Polifemo non c'è solo la decina di versioni individuata da Grimm. Le versioni sono oltre duecentoventi, raggruppate in tre tipi. Lo schema tripartito esclude però anch'esso l'esistenza di una sola madre comune. 

Acis and Galatea Listening to the Song of Polyphemus, Manufacture Royale des Gobelins, c. 1680 - c. 1684.jpg
Acis and Galatea Listening to the Song of Polyphemus, Manufacture Royale des Gobelins, c. 1680 - c. 1684.

Ciò non vale solo per il ciclope. Forse anche Odisseo, come eroe in se stesso non esiste. È il prodotto di un'operazione di fusione che contamina diverse tradizioni. E questa eterogeneità dà luogo a quella anomalia comportamentale rilevata da Grimm nello specifico episodio, rispetto al resto del poema odissiaco. 

La saga del ciclope insegna a diffidare del concetto di identità ben demarcata, smentisce ogni tentativo di assegnare ai fenomeni contorni esatti e inequivocabili. In questa come in altre leggende possiamo sentire l'eco di lontane conversazioni millenarie tra popoli differenti. È una relazione cangiante, dinamica, un processo, un transitare perenne di significati sterminati.

Che questo accada, scrive Valagussa, proprio per un testo di Grimm, uno dei fondatori della germanistica, uno che aveva il culto del patrimonio comune germanico, non solo linguistico, ma anche letterario e giuridico, uno a cui i nazisti guardavano come a un faro, beh, tutto questo ha un vago sentore paradossale. Felice paradosso! verrebbe voglia di scrivere. Che, mi sia permesso aggiungere, ricorda quello che un secolo dopo ebbe per protagonista Eduard Norden a proposito della Germania di Tacito. Il grande antichista dimostrò che il motivo della (presunta) unicità dei Germani (popolo “tantum sui similis”, simile solo a se stesso) era in realtà un “Wandermotiv”, un motivo ricorrente, applicato in precedenza a Sciti e Celti, niente meno.

In copertina, Ulysses deriding Polyphemus - Homer's Odyssey ,Joseph Mallord William Turner, The National Gallery.

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TAGGED: Jakob Grimm