Le ucronie di Guido Morselli
Esce ora per i tipi di Il Saggiatore un corposo volume di 633 pagine, contenente tutti i racconti di Guido Morselli, dal titolo Gli ultimi eroi, a cura di Giorgio Galetto, Fabio Pierangeli e Linda Terziroli.
Guido Morselli, suicidatosi all'età di sessantun anni cinquantun anni fa, ha rappresentato “un inspiegabile caso letterario”, come recita la monografia che gli ha dedicato Marina Lessona Fasano nel 1998. Forse i più giovani non se lo ricordano più o non ne sanno niente. Rinfreschiamogli almeno un po' la memoria, per quanto è in nostro potere.
Morselli, uomo che conduceva vita assai ritirata, dedita interamente agli studi e alla scrittura, non misantropo, bensì, per sua stessa definizione, “fobantropo”, avendo sperimentato “il danno e il fastidio” di cui l'essere umano è “produttore inesausto”, conobbe per anni e anni continui rifiuti da parte degli editori cui inviava i propri manoscritti. La cartella all'interno della quale aveva raccolto i testi via via respinti nel corso del tempo, con le relative lettere di diniego, recava assai significativamente il disegno di un fiasco.
La cosa più terribile, relativa a questo insormontabile e fatale muro d'incomprensione, si è che i rifiuti non avvenivano ad opera di oscuri e insignificanti funzionari editoriali; no, no, il fior fiore degli esperti e degli intellettuali impiegati nell'editoria italiana si pregiava di dimostrargli come e qualmente i suoi romanzi, testi teatrali, racconti eccetera non valevano nulla o, meglio, erano editorialmente del tutto improponibili. I nomi? Presto detto: Italo Calvino, Vittorio Sereni, Enrico Filippini, tra gli altri. Come si vede non erano certo degli ignoti sprovveduti. Eppure. Eppure, l'anno dopo il suicidio, ossia nel 1974, il romanzo Roma senza papa, editato da Adelphi, riscosse un buon successo, di critica e di pubblico, come si dice. E così gli altri che sempre Adelphi pubblicò negli anni seguenti: Contro-passato prossimo, Il comunista, Dissipatio H.G. e tutti gli altri.
È inutile soffermarsi su questa atroce beffa del destino. Era accaduto anche prima di Morselli, e accadrà anche dopo, molto dopo, probabilmente sempre. Si tratta di quello che Giorgio Colli, a proposito di Hölderlin, ebbe a definire come un banale “disguido della fama”.
Sbrigata la pratica scontata del “genio incompreso”, passiamo alla descrizione di questo bel volume.
Non si tratta a rigore esclusivamente di racconti. Ossia, i racconti ci sono, ma c'è anche parecchio altro. Soggetti e sceneggiature per il cinema nonché testi teatrali e testi giornalistici. Quanto ai racconti veri e propri, accanto a una serie già pubblicata nel 1999 dalla Nuova Editrice Magenta, ce ne sono alcuni (quattro) ch'erano inediti, tratti dal Fondo di Gavirate (il buen retiro di Morselli fino a pochi mesi prima della morte).
Vediamo ora d'individuare alcune dimensioni di questo ricco testo.
Un elemento caratteristico che lega i vari generi di scrittura (racconto, teatro, soggetto cinematografico) è senz'altro quello ucronico o controfattuale, in cui del resto Morselli era maestro.
Sono note tutte le divertentissime e sottilmente paradossali conseguenze filosofico-narrative che, in Contro-passato prossimo, egli deriva dall'ipotizzata vittoria, nella Prima Guerra Mondiale, non già delle potenze dell'Intesa, ma di quelle degli Imperi Centrali, anche grazie alla fulminea Edelweiss Expedition, escogitata da un brillante ufficiale austriaco di nome Walter von Allmen (e il nome Walter è uno di quelli ossessivamente ricorrenti nell'opera morselliana). Anche un altro geniale e misconosciuto scrittore si era misurato, qualche anno prima, nel genere ucronico, immaginando che la Seconda Guerra Mondiale fosse stata vinta dalle Potenze dell'Asse, con tutto quello che poteva seguirne. L'allusione è, naturalmente, a Philip K. Dick e a quello splendido romanzo del 1962 che in Italia è noto come La svastica sul sole (titolo originale: The Man in the Hig Castle).
Per Morselli (e anche, crediamo, per Philip K. Dick) non si tratta solo di un brillante espediente retorico-narrativo. Alla base c'è una profonda convinzione filosofica. La Storia è assurda, è casuale ripetizione di atroci assurdità, anche sul fondamento della lezione di un irregolare della filosofia come Giuseppe Rensi, autore molto amato da Morselli. Ora, se la Storia così come è andata è palesemente assurda o ridicola o sconcertante, la logica, la razionalità stanno dalla parte del non-accaduto o di quello che poteva accadere. Il paradosso è il reale, non il possibile. Chi persegue quest'ultimo, persegue in effetti la redenzione della realtà dalla sua altrimenti irrimediabile e brutale stupidità. Ecco spiegate le ragioni profonde del genere ucronico o controfattuale. Chi volesse può leggere le mirabili pagine dell'Intermezzo critico che occupano il centro esatto di Contro-passato prossimo.
E qui, in questo Gli ultimi eroi, l'ucronia è davvero ben rappresentata. A partire dal primo testo, Il Grande Incontro, dove due giganti della Storia non nominati, Stalin e Pio XII, s'incontrano ma, a sorpresa, quello realmente bellicoso non è il dittatore russo, bensì il Pastore romano, perché “la fede rifulge nel furore del combattimento”.
Nel soggetto teatrale o cinematografico Cose d'Italia abbiamo invece un Mussolini che si astiene dall'entrare in guerra al fianco di Hitler e per questo gli Alleati gli lasciano mano libera nel Mediterraneo, che ridiventa realmente “Mare nostrum”. Questo Mussolini qui, inoltre, ripristina la libertà di parola, di riunione e indice anche libere elezioni, ovviamente stravinte da lui medesimo. Il suo potere e il consenso di cui gode sono realmente troppo forti, gli Alleati cercano di contrastarlo. L'idea giusta per abbatterlo viene a un barbiere romano, quello che si occupa abitualmente delle chiome di un ambasciatore inglese. L'idea viene comunicata all'amante del Duce che s'incaricherà di convincere il riluttante dittatore democratico. E qual è questa idea che fatalmente porterà alla sciagura di Mussolini e alla sua rovinosa destituzione? L'abolizione delle Case chiuse e del totocalcio. Il popolo italiano tutto insorge e abbatte l'Infame. Di solito “nulla cambia mai nella sostanza della vita nazionale”, ma questi due provvedimenti, fieramente avversati, sono riusciti a smuovere l' altrimenti immobile palude italica.
Anche in Cesare e i pirati, rappresentazione in tre atti e un preambolo s'immagina, a partire da brevi cenni di Plutarco e Svetonio, un lungo soggiorno di Cesare nell'isola di Farmacussa, dove da prigioniero di pirati egli ne diventa consigliere e quasi guida o capo. E trascorre dolci ore in compagnia della bellissima Purha, figliastra del capo dei pirati.
Pure in Marx: rottura verso l'uomo, azione scenica che Morselli ebbe l'ardire di inviare a Gassmann, il filosofo tedesco è immaginato a colloquio via via con Lassalle, Mazzini, Bakunin e, infine Alphonse Daudet, il creatore dell'immortale Tartarino. È un Marx consapevole del proprio epigonismo romantico, questo, e, per ciò stesso, contestato da alcuni spettatori, che, pirandellianamente, intervengono rumorosi e molesti sulla scena, perché non vogliono che il loro eroe sia svilito e ridotto a “piccolo individuo”.
Anche due personaggi della cronaca dell'epoca, come l'anarchico Pinelli e il commissario Calabresi, vengono fatti incontrare da Morselli in un ipotetico aldilà, dove il commissario confessa che, non il colpo di pistola che lo finì, ma il rimorso per la morte dell'amico, fu la vera causa della sua morte. Tutti e due ubbidirono alla Voce della Morte, perché, come scrisse nel 1948 nel suo diario l'autore, “il suicidio è una condanna a morte della cui esecuzione il giudice incarica il condannato”.
Un'altra dimensione che colpisce, in questi testi, è quella del femminile. Parecchi racconti sono narrati da donne. Evidentemente Morselli sposava con facilità il punto di vista muliebre. Come in Sono sana dove della sessualità del maschio è detto: “la maschera dell'uomo in foia non è brutale, secondo me è peggio. È impersonale. Una sequela di atti irriflessi, senza varianti. Insomma, sono tutti uguali, vistose appendici del loro organo genitale”.
Accanto, c'è la componente, per dir così, “comunista”. L'amante d'Ilaria si presenta come la continuazione dell'Incontro col comunista, nel quale amore e politica sono in drammatico conflitto e il militante Gildo si porta a letto Ilaria “la figlia del plusvalore”. Poi, però, anche lui finirà per imborghesirsi e s'imbarcherà in perigliose speculazioni.
Notevolissimo è poi il soggetto È successo a Linzago Brianza, secca storia neorealista che ha l’impassibile disperazione di certe pagine di Mastronardi (dialetto poveramente espressivo compreso).
Insomma, letto il volume, e a più di cinquant'anni dalla tragica fine ci si può continuare a porre la domanda: ma com'è che uno scrittore come Morselli, benché geniale, colto, ironico, divertente eccetera è stato tuttavia respinto indefessamente per anni e anni dall'industria editoriale italiana?
E la risposta, suggerita già a suo tempo da Antonio Porta, probabilmente è che, non benché, ma proprio perché colto, ironico e così via, è stato respinto dall'industria editoriale suddetta. Amen.