Speciale
Alfabeto Pasolini / Pasolini e il Friuli
Pier Paolo Pasolini amava così tanto contraddirsi, che lo sapeva fare perfino nella parlata. Pronunciava una magnifica esse pastosa e seducente che poteva essere friulana ed emiliana, dando così fiato alla doppia identità, quella anagrafica, bolognese, e quella adottiva, casarsese. Sia in Friuli che in Emilia le esse si pronunciano infatti (quasi) allo stesso in modo, portando con loro una specie di fischio. La lingua per il poeta, prima di essere uno strumento di espressione, era una «sostanziazione sensuale e interiore», estesa a «un culto estremo della fisicità dell’ambiente locale», «una sconfinata intimità» di cui il Friuli era la «folle sede oggettiva».
Casarsa è la città della mamma, Susanna Colussi, e rappresenta per Pier Paolo, costretto a cambiare continuamente abitazioni e scuole a causa della carriera militare del padre Carlo Alberto, il perno sicuro intorno a cui ruotare come il braccio di un compasso. Vi si stabilisce ogni estate da luglio a settembre, dopo una breve parentesi a Riccione. Quando arriva in Friuli è sottomesso dalla Natura forte che «non fa che violentare i sensi», di cui ogni immagine «viene gettata contro il cuore», ferendolo «con un dolore quasi fisico». Casarsa è il luogo delle vacanze estive, ma è anche il primo rifugio dalle traversie, quando, nell’inverno del ’28, il padre è agli arresti per debiti di gioco e Susanna è costretta a rimettersi a insegnare. Pier Paolo frequenta la seconda elementare, fa così freddo che con le cugine costruisce un igloo e prova le prime emozioni legate ai mutamenti di tempo e stagioni, «un violentissimo profumo di umidità... Fuori una musica di muschi e di oleandri picchiettava sulle gorne».
I paesaggi friulani permettono alla sua passionalità di esprimersi in stati di estenuazione. «Mi sento già strappato e remoto, vagare come un’ombra» in una terra così governata dai riti agresti da apparire «pagana», benché formalmente cattolicissima e così nordica nella ruvidezza e propensione alla fatica da essere avvertita come «luterana». Sulle rive del Tagliamento («un torrente enorme, sassoso, candido come uno scheletro»), del Meduna, del Pacher, Li fondis, nella Bassa Friulana trascorre i pomeriggi estivi di ragazzo, dove impara il friulano dai suoi coetanei, perché la mamma con zie e nonni parlano infatti una specie di veneto per distinguersi dalla povera gente. I Colùs, così è soprannominata la famiglia, sono infatti piccoli industriali agresti che possono esibire il vanto di usare le prime trebbiatrici meccaniche.
Il Friuli è un luogo di tenerezza e incontri con il mistero, Un Paese di temporali e primule, la terra che farà esplodere le arti, che sono ancora un seme sepolto in un giardino d’inverno. Il ragazzo eccelle a scuola, gli basta poco, ma incontra anche professori infastiditi dal suo talento: alla scuola media a Sacile viene rimandato in italiano perché il suo tema è «troppo poetico e imparaticcio».
Lo stanzone sopra l’antico deposito delle vinacce della distilleria del nonno materno, Meni (Domenico) Colussi, è il luogo in cui nascono le prime poesie. Alla freschezza delle risorgive, che separano e congiungono l’Alta e la Bassa friulana, con i fontanili e le rogge, dedica uno degli esordi, Acque di Casarsa (’41). Scrive inizialmente versi in italiano e, poi, prima timidamente e via via con maggiore ardore, in friulano e li raccoglie in cartelle che chiama Scartafacci. È l’atto d’amore più grande, da intellettuale qual è, verso questa gente umile e timida, con cui vorrebbe confondersi, cancellando le sue radici borghesi. È l’estate del 1941, Pier Paolo ha 19 anni e lavora nelle «misteriose mattine di Casarsa», cullato dal suono del mondo contadino, fatto da versi di animali e dei loro richiami (Buti buti, viri viri, per le oche) e di dialetto che si sovrappone alle fisionomie contadine. «Esistono parole per comunicare un rapporto fra i colori dei muri affumicati e la radice dei capelli di un ragazzo di Runcis?». Pasolini nobilita la marilenghe della riva destra del Tagliamento. Scrive e adopera il casarsese, povero e non codificato, contaminandolo soltanto dopo con la koinè friulana. «Fu attraverso il friulano che arrivai a capire un po’ del mondo reale contadino» e proprio con la lenga riesce a dar sfogo finalmente allo spasmo che sente nel cuore. I primi versi sono strutturati attorno alla parola rosada (rugiada), pronunciata da un giovane contadino. Poi è la volta del Nini muàrt (... Jo ti recuardi, Narcìs, ti vèvis il colòur / da la sera, quand li ciampanis / a sùnin di muàrt...).
Manda le poesie agli amici di «Eredi», la rivista letteraria che vorrebbe fondare con i bolognesi Roberto Roversi, Francesco Leonetti, Luciano Serra, che si leggono vicendevolmente i propri componimenti. P.P.P. pubblica a sue spese Poesie a Casarsa nel 1942 con l’editore bolognese Mario Landi della Libreria antiquaria e ottiene le recensioni positive di Gianfranco Contini, Giorgio Caproni e Alfonso Gatto. Fonda l’«Academiuta di lenga furlana», dove pubblica anche autori catalani, proponendosi come nuova guida delle lingue romanze, e la rivista di poesia «Lo stroligùt», una deminutio ironica di «Lo strolic furlan» («Il lunario friulano») della Società filologica friulana.
Nell’antico deposito del nonno disegna anche campi, stalle e fienili, la corona azzurrina dei «massicci, muraglioni di monti contorti nel cielo e negri boschi», le case con la balaustra di legno con appese le gerle, cesti di giunco portati come zaini. Lavora su carta di cellophane con inchiostro verde e col tubetto dell’ocra su una grossa tela di sacco. Imita la lezione del Pordenone e dell’Amalteo, i cui affreschi, citati dal Vasari, sono ospitati nella chiesa di Santa Maria dei Battuti a San Vito al Tagliamento.
Il Friuli diventa asilo durante i bombardamenti: Versuta, dove ha affittato una stanza come pensatoio, si trasforma nella loro casa da sfollati. Qui organizza una scuola privata in cui dà lezioni ai bambini del luogo con la madre. È un borgo di poche case a due chilometri da Casarsa, al cui centro c’è una chiesa del Trecento, attraversato da una roggia, la Viersa.
Il Basso Friuli è per P.P.P. una Heimat, una patria elettiva, «un luogo ideale per le mie estetizzanti, mistiche fantasie», in cui esalta l’amore «eccessivo» per la madre Susanna e cerca di allontanarsi dalla schiatta paterna dei Pasolini dall’Onda, stirpe cui è imparentato il nonno Argobasto. Non è un cognome facile da portare. Il mentore Roberto Longhi, cui si è proposto per la tesi, ci aveva rimuginato sopra in una lettera al suo assistente Franco Arcangeli: «Quel doppio cognome e quel casato mi odorano di fregnonismo “aristo” e di pazzoide “novecentista” motorizzato». Ama invece quello dei suoi avi materni e trasforma in letteratura il loro piccolo epos familiare: la cacciata dei turchi nel 1499 che vede protagonista l’avo Zuan (Giovanni) nel dramma postumo I turcs tal Friûl; le peregrinazioni di Centin (Vincenzo) con Napoleone in Russia e di un altro Vincenzo, emigrato in America, ispireranno la sezione I Colùs di La meglio gioventù.
Osserva la devozione durante la guerra dei friulani, che si affollano durante la funzione, e impara anche a leggere i Vangeli. Qui nasce il seme originario di uno dei suoi capolavori cinematografici, Il Vangelo secondo Matteo (1964).
Dal ’46 al ’48 realizza una serie di autoritratti, che sono interrogativi pittorici sulla sua identità soprattutto sessuale. Si è innamorato di Bruno, un contadino “rozzo e violento”, che lo maltratta, si vergogna di farsi vedere con lui al cinema o in trattoria. Si consola condividendo avventure cameratesche sulle rive del Tagliamento, del Meduna, del Pacher, dove si sviluppano le vicissitudini amorose omosessuali di Amado Mio e Atti impuri.
È quello friulano un periodo di sofferenza d’amore ma anche di divertimento sfrenato. Va forte anche sul campo da calcio dove gioca come ala sinistra, gran velocista più che goleador. Con la sua invidiata bicicletta con il cambio moderno si mischia ai giovani nelle sagre e nelle balere tra Savorgnano, Ligugnana, Gleris, Cordovado, San Vito. Proprio durante una festa di paese ha inizio Il sogno di una cosa, nato dal grande sciopero contadino della Bassa friulana del ’48 per la mancata applicazione del beneficio di guerra (assicurazione dei disoccupati), il Lodo De Gasperi. I protagonisti transitano per Cividale dove cercano un passeur per andare in Iugoslavia e realizzare il sogno socialista, di cui si pentiranno amaramente. Il Friuli orientale è più aspro e diverso dall’amata “Bassa”, vicina al Veneto, dove vive e si svolgono le Confessioni di Ippolito Nievo. Nievo per lui è lo zenit: nelle Confessioni il destino del singolo è il tassello per un affresco storico e politico, in cui si rappresenta la condizione degli ultimi, l’amore proibito, l’ipocrisia, la doppiezza, la subalternità al potere, il sarcasmo che P.P.P. metterà nei suoi romanzi successivi.
Proprio lo sciopero segna il suo ingresso nel Partito Comunista, di cui diventa segretario della sezione locale di San Giovanni di Casarsa, dopo aver dato le dimissioni dal Movimento Popolare Friulano, cui in un primo tempo aveva aderito. Ammira così tanto il coraggio dei contadini che superano la loro proverbiale timidezza per occupare le ville latifondiste, che decide che il partito degli ultimi sarà il suo partito. L’acrimonia degli ex compagni di movimento, le invidie di quelli nuovi per il carisma che lo porterà ad essere scelto come delegato ai congressi e il timore di alcuni membri della chiesa cattolica per la presa che P.P.P. ha sulla gente gli costeranno cari.
A metà ottobre del 1949, dopo la sagra di Ramuscello, tre ragazzi, con cui P.P.P. aveva avuto un incontro al buio, litigano tra loro e si rinfacciano l’esperienza. Un paesano li ascolta e fa partire la denuncia ai carabinieri. A metà ottobre P.P.P. è accusato di «Corruzione di minorenni» e «Atti osceni in luogo pubblico». La notizia approda sulla stampa nazionale. I genitori della scuola media di Valvasone, dove P.P.P. insegna lettere, firmano un appello perché il professore non venga allontanato dalla scuola. Il Pci lo espelle. Il processo dura anni, prima a San Vito e poi a Pordenone. P.P.P. viene assolto. Gli intellettuali friulani, Elio Bartolini, Sergio Maldini, Nico Naldini e Giuseppe Zigaina gli saranno vicini.
Il Friuli che tanto ama fa di tutto per rigettarlo: ha già “ucciso” nella strage di Porzus il fratello partigiano, Guidalberto, il 12 febbraio 1945, per mano dei partigiani comunisti legati a Tito, contro la brigata osovana a cui Guidalberto si era unito in Carnia. Benché non sia presente nel momento dell’imboscata, Guidalberto torna indietro per aiutare i suoi compagni. Di lui Pier Paolo dirà: «Non ha potuto sopravvivere al suo entusiasmo. Quel ragazzo è stato di una generosità e di un coraggio, di una innocenza che non posso credere».
Il 28 gennaio del 1950, all’alba, il cugino Nico Naldini accompagna P.P.P. e Susanna alla stazione di Casarsa. Salgono su un treno per Roma, che sarà per sempre la loro casa. In fondo qualche presagio delle avversità che gli stanno capitando lo aveva avuto. A Serra ai primi di marzo del ’44 durante l’occupazione nazista aveva scritto: «...cammino, dentro il Friuli vuoto e infinito... Vorrei sputare sul monte Rest, lontanissimo, in fondo al Friuli, sul mare Adriatico, invisibile dietro le Basse; e anche sulle facce di questi casarsesi, di questi italiani, di questi cristiani. Tutto puzza di fucilate e di piedi. Che cosa mi lega a questa terra?».
Il Friuli rimane una ferita, un sentimento sensuale e nostalgico, un luogo che porta con sé “odore di terra romanza”. E lui, nonostante la sua nascita bolognese e la vita romana, continuerà a essere per tutti il “poeta friulano”.
Per approfondire
Quaderni rossi (1946-1947)
La nuova gioventù, Garzanti
Il sogno di una cosa, Garzanti
Amado mio/Atti impuri, Garzanti
Un paese di Temporali e Primule, Guanda
Pasolini e il suo doppio, Guanda
Poesia in forma di rosa, Garzanti
Lettere luterane, Garzanti
Empirismo eretico, Garzanti
La religione del mio tempo, Garzanti
Pasolini, una vita di Nico Naldini, Einaudi, Tamellini
Romàns e, a cura di Nico Naldini, Guanda
Pasolini e il suo doppio di Marco Belpoliti, Guanda
PPP Le Piccole Patrie di Pasolini di Alessandro Gnocchi, La nave di Teseo
Venti incontri, venti parole, venti biblioteche, venti oratori, venti podcast: cento anni di Pasolini.
Un ciclo di incontri e di testi affidati a scrittori e esperti per attraversare l'immaginario pasoliniano, un progetto Doppiozero in collaborazione con Roma Culture. Qui il programma completo.