Son qui tra le tue braccia ancor avvinta come l’edera / L’ellera e i suoi corimbi
«Son qui tra le tue braccia ancor avvinta come l’edera» cantava Nilla Pizzi a Sanremo nel 1958. Quell’anno, la beguine dell’amore femminile devoto e succubo venne surclassata dal fenomeno Domenico Modugno con Nel blu dipinto di blu. Da allora la musica pop non fu più la stessa. Fu il segno di una virata del gusto estetico e del costume nazionale.
L’abusata similitudine tra la lianosa sempreverde che si abbarbica al fusto robusto di un albero e la donna schiava d’amore, bisognosa di appoggio, è luogo comune, antico ma logoro, che vuol essere rinnovato. O se non altro rovesciato come ci suggerisce Pablo Neruda in questi versi tratti dal quinto dei 20 poemas de amor y una canción desesperada:
Para que tú me oigas
mis palabras
se adelgazan a veces
como las huellas de las gaviotas en las playas.
Collar, cascabel ebrio
para tus manos suaves como las uvas.
Y las miro lejanas mis palabras.
Más que mías son tuyas.
Van trepando en mi viejo dolor como las yedras.
Ellas trepan así por las paredes húmedas.
Eres tú la culpable de este juego sangriento.
***
Perché tu mi oda
le mie parole
a volte si assottigliano
come le orme dei gabbiani sulle spiagge.
Collane, sonaglio ebbro
per le tue mani dolci come l’uva.
E le vedo lontane le mie parole.
Più che mie esse son tue.
Si arrampicano sul mio vecchio dolore come l’edera.
Si arrampicano così sulle pareti umide.
Sei tu la colpevole di questo gioco sanguinoso.
Forse non è un caso che l’edera ricorra insieme all’uva. Con la vite, infatti, l’edera è simbolo di Dioniso: all’ellera si attribuiva il potere di antidoto ai fumi dell’ebbrezza, ma le baccanti ne masticavano foglie e germogli per accedere allo stato di estasi amorosa, da qui l’idea popolare di una pianta emblema della stretta passionale.
Si deve anche sfatare un altro luogo comune. L’edera è pianta di potente vocazione rampicante, che l’inverno mette in evidenza, e può salire oltre i venti metri. Ma non è un parassita: le radici avventizie le servono per aderire all’albero ospite non per succhiarne la linfa. Certo, può comprometterne la stabilità, ma basta recidere al piede i fusti erbacei – via via più legnosi con il passare degli anni – perché secchi e non faccia danni. Qualora le manchi un sostegno, assume un portamento strisciante adatto a tappezzare le calvizie del giardino.
Molte le varietà in commercio tra cui scegliere le fogge fogliari preferite, pur sempre lucide e coriacee: dall’iraniana Hedera colchica alla più nota canariensis dall’autunnale livrea bronzea, o all’algeriensis, gruppo cui appartiene la Gloire de Marengo, dalle grandi lamine orlate di bianco, uno degli «incubi orticoli» di Ippolito Pizzetti. Ma rimaniamo in Europa: l’Hedera helix, spontanea e diffusa su tutto il territorio nazionale, non ha nulla da invidiare alle cultivar che ne sono derivate o alle varietà foreste: dà il suo meglio in posizioni ombrose arrampicata su un muro, su una pergola o su una colonna, come cornice a finestre e ingressi, o lasciata ricadere da un vaso. Fiorisce in autunno con corimbi compatti di verdi fiorellini: cinque petali alternati a cinque stami, un unico pistillo. I frutti – tossici per l’uomo – giungono a maturazione nella primavera successiva con bacche nere a nascondere semi rossicci di cui sono golosi tordi e merli.
L’edera è essenza aromatica dalle numerose proprietà: antibatteriche, analgesiche, antipiretiche ed espettoranti, ma anche toniche e astringenti che ne fanno uno dei più efficaci preparati contro dermatiti e inestetismi da cellulite. Oltre a depurare l’organismo, pare sia un filtro ecologico portentoso capace di assorbire alte percentuali di benzene. Infine, è un farmaco naturale per gli erbivori affetti da Fasciola epatica, un verme che aggredisce il fegato e le vie biliari. Per ciò, il modo migliore e più simpatico di rinnovare la poesia ispirata all’edera mi pare questa deliziosa quartina di Toti Scialoja.
C’era un cervo a Cerveteri
pieno di acciacchi, eccetera…
Gli prescrissero i veteri
nari una dieta d’edera.