Speciale
Un gossip enigmistico su Calvino
La rubrica di Camilla Cederna per l'Espresso («Il lato debole», dal 1956) e la rubrica di Giancarlo Fusco per Il giorno («La colonna», dal 1958) furono in Italia tra i primi spazi in cui il giornale si faceva spigliato, spiritoso e affabulatorio e poteva arrivare all'allusione pettegola. L'Espresso inoltre raccoglieva sotto la testatina «Confidenze italiane» certe cronache di mondanità culturale che venivano firmate da Mino Guerrini con lo pseudonimo di «Minimo». Guerrini era giornalista ma anche artista; redattore del settimanale sin dalla fondazione, di lì a qualche anno avrebbe abbracciato la carriera di cineasta specializzato in B-movie all'italiana: nel 1964 partecipò come attore e regista a un film a episodi (il suo si intitolava «Extraconiugale») e proseguì poi con film del filone boccaccesco post-pasoliniano e con la serie del Colonnello Buttiglione.
Sull'Espresso del 2 dicembre del 1956 «Confidenze italiane» portava il titolo: «Sarà ricordato per le favole non sue». Il soggetto è Italo Calvino, che aveva presentato la sua raccolta delle Fiabe italiane nella sede romana della casa editrice Einaudi. «Minimo», dopo aver delineato con vivacità la complessa genesi del libro, riferiva battute, episodi della serata, con qualche appunto malizioso:
Gianna Manzini seguita da tutte le signore presenti in sala, andò a salutare il giovane autore. Ci furono molti complimenti e molti sorrisi e Calvino li accettò senza alterare la sua aria melanconica, un po' cattiva. Una signora disse di lui: «Sembra un diavolo stanco».
Il tono oggettivo, la citazione anonima, il noncurante tocco maligno, l'annotazione dissimulatamente allusiva (è possibile che a salutare Calvino siano accorse solo le signore, e tutte?) sono le figure di discorso destinate a diventare standard nel giornalismo di gossip.
Per chi non lo avesse mai sentito nominare prima, Calvino appariva al lettore di «Minimo» come l'autore dell'Entrata in guerra (l'ultimo suo libro di racconti allora pubblicato), come un pupillo di Giulio Einaudi e di Cesare Pavese, come un animatore dei giochi di società che l'ambiente einaudiano praticava nelle serate conviviali. Un ritratto quantomeno parziale.
A quell'epoca Italo Calvino aveva trentaquattro anni. Da dieci anni collaborava con la casa editrice Einaudi, prima irregolarmente poi, dal 1950, in forma continuativa e dal 1955 come dirigente. Aveva pubblicato, a regolare cadenza biennale, un romanzo (Il sentiero dei nidi di ragno, Einaudi 1947), un racconto lungo (Il visconte dimezzato, Einaudi 1952), due raccolte di racconti (Ultimo viene il corvo, Einaudi 1949; L'entrata in guerra, Einaudi 1954) oltre ad aver lavorato per due anni alla raccolta e alla trascrizione delle Fiabe italiane; aveva attraversato e superato una precoce crisi creativa e si accingeva a scrivere uno dei suoi capolavori, Il barone rampante (prima edizione, Einaudi 1957). Era inoltre un intellettuale impegnato nei rapporti tra letteratura e società (è del 1955 «Il midollo del leone» la sua importante conferenza sul tema) [...].
Si direbbe, insomma, che Calvino fosse tutt'altro che un tipico personaggio da gossip culturale, se però il gossip non tendesse a coinvolgere chi sfugge i suoi schemi, spesso proprio perché ne sfugge. Chiunque può avere qualcosa da nascondere e lo scrittore taciturno a una riunione mondana è un'occasione ghiotta. «Potrò sentirmi commosso e persino lusingato, io semplice lettore, di partecipare tramite la confidenza alla vita quotidiana di una razza selezionata dal suo genio»: lo scriveva proprio in quegli stessi mesi il semiologo Roland Barthes, a proposito della mitologia giornalistica dello «scrittore in vacanza», e proseguiva, irridente: «Posso infatti addebitare soltanto a una sovrumanità l'esistenza di esseri tanto vasti da portare un pigiama blu e contemporaneamente manifestarsi come coscienza universale [...]».
Se nel giornalismo di cronaca la notizia deve essere «in testa», per il giornalismo di gossip il veleno va in coda. Mentre Calvino «[...] quando riuscì a liberarsi di tutti si unì ad un gruppo di amici per andare a cena in Trastevere», «Minimo» cambia scenario e chiude il suo articolo con una rivelazione che avrà conseguenze non marginali:
Intanto dall'altra parte della città, in un caffè di via Veneto, ebbe inizio il mistero, un nuovo quiz di cui discutere nella serata: a chi aveva dedicato il libro il giovane scrittore? A Pavese, naturalmente, ma anche ad un'altra persona adombrata nella dedica sotto il nome di «Raggio di Sole», personaggio che non è nel libro. Chi poteva esser questo Raggio di Sole? Furono suggeriti molti nomi, ma soltanto a sera tarda, dopo molte discussioni ad un tavolo di letterati, fu trovata la risposta esatta: Elsa de' Giorgi. Raggio di Sole è infatti l'anagramma, quasi esatto, del suo nome, manca soltanto una «e».
[...]
L'articolista, di cui non si conoscono eventuali competenze enigmistiche in materia, usa con naturalezza l'anagramma come prova. Dato che Raggio di Sole è l'anagramma, sia pure lievemente imperfetto, del nome dell'attrice e scrittrice Elsa de' Giorgi, allora sicuramente Raggio di Sole sta per Elsa de' Giorgi. La conclusione appare ragionevole; è, in realtà, tutt'altro che certa. Per chi si occupa di anagrammi è assai interessante che, una volta scoperto, l'anagramma appaia sempre intenzionale e di grande eloquenza: molto più probante delle semplici coincidenze che molto spesso costituiscono l'unica base delle dietrologie.
Il pettegolezzo che ora interesserebbe di più sarebbe quello che riguarda l'identità dello scopritore dell'anagramma. L'anagramma, all'epoca, era sostanzialmente riservato ai circuiti enigmistici e non era un divertimento letterario comune. Carlo Emilio Gadda avrebbe introdotto il suo pseudonimo anagrammatico solo negli anni Sessanta; ancora più tardi Ennio Flaiano avrebbe scritto un «Inno anagrammatico degli scrittori super-realisti in onore di Truman Capote» (non datato ma sicuramente posteriore all'uscita di A sangue freddo: 1965); solo del 1973, infine, è l'epigramma anagrammatico di Luigi Compagnone su Domenico Rea (Anagramma per X: «Suona a disdoro: E mèndica oro!»; in Che Puzo!, Scheiwiller, Milano 1973).
Ma anche se in Italia il gioco fosse stato più diffuso non sarebbe stato tanto immediato né congetturare che un'espressione linguistica come «Raggio di sole» fosse un anagramma, né risalire dall'anagramma al suo «programma», cioè al nome di partenza, specialmente non avendo nessun sospetto preventivo sul nome stesso. È molto difficile partire da una frase e dall'idea che sia un anagramma per trovare induttivamente la frase di partenza; più facile è avere una frase, avere un'ipotesi sul nome a cui potrebbe riferirsi, e inferire (con quella che Charles Sanders Peirce chiamava un'«abduzione») che si tratta di un anagramma.
Da questo punto di vista la vicenda dell'articolo di «Minimo» era, in sé, poco limpida. In questo articolo il nome dell'attrice compariva come il risultato di una decrittazione di un gruppo di letterati in conversazione al tavolino, quasi come l'esito inaspettato di una seduta spiritica. Ma solo poche settimane prima, nel numero dell'Espresso datato 11 novembre 1956 lo stesso «Minimo» aveva dedicato la stessa rubrica «Confidenze italiane» a «La storia di Sandrino nella valigia di Elsa»: un racconto informato della «separazione romanzesca», e torbida, che era avvenuta tra l'attrice e scrittrice Elsa de' Giorgi e il marito Augusto Alessandro Contini Bonacossi, detto Sandrino, erede di un celebre patrimonio artistico, la cui vendita e dispersione avrebbe originato proprio in quel periodo una travagliatissima storia giudiziaria. [...].
La figura di Elsa de' Giorgi non era stata evocata da una magia cabalistica: era soggetto di una recente inside story di «Minimo»; il suo nome era nei taccuini di «Minimo» anche prima della dedica calviniana e anche indipendentemente dal suo anagramma. Sembra di poter indovinare che la relazione che (effettivamente) allora la legava allo scrittore fosse oggetto di pettegolezzi, pettegolezzi a cui la scoperta dell'anagramma aveva improvvisamente regalato sia un sostrato materiale, apparentemente «oggettivo», sia un'occasione per poter essere lecitamente riferiti in pubblico. Si può smentire l'esistenza di una relazione sentimentale, ma si può smentire un anagramma, per quanto imperfetto?
Italo Calvino in effetti ci aveva provato, come riferì in una lettera che scrisse a Elsa de' Giorgi nei giorni immediatamente precedenti all'uscita dell'articolo:
"Mia cara, eccomi qui e appena arrivato mi sono trovato difronte a un piccolo tentativo scandalistico da parte dell'Espresso che spero d'aver fatto in tempo ad evitare. M'hanno mandato la bozza dell'articolo per la manifestazione delle fiabe e alla fine dell'articolo, che è piuttosto lungo, tirano fuori la dedica a Raggio di sole e che a via Veneto la sera si discuteva su chi era Raggio di sole. Furono suggeriti molti nomi, ma soltanto a sera tarda, dopo molte discussioni, ad un tavolo di letterati fu trovata la risposta esatta: Elsa de' Giorgi. Raggio di sole è infatti l'anagramma quasi esatto del tuo nome, manca solo la «e»".
Le ultime due frasi ricalcano testualmente la chiusa dell'articolo di «Minimo», con il solo adattamento del pronome da suo a tuo. Probabilmente Calvino non aveva ricontrollato l'anagramma, altrimenti si sarebbe accorto che il difetto non consiste nella sola mancanza di una E ma anche nell'introduzione di una O.
"Ho mandato subito un telegramma lampo a Benedetti raccomandandomi alla sua cortesia perché elimini la parte finale. E ho telefonato a Carlo (Caracciolo, ndr) perché telefonasse subito e si interessasse della cosa, magari soltanto facendo togliere il nome. Non so però se si è ancora in tempo, o se il numero è stato già stampato. Me lo sentivo che qualcosa combinavano. Spero soltanto che il mandarmi le bozze (per due giorni avevo inutilmente dato loro la caccia per riuscire a leggere l'articolo) sia stato fatto per vedere se protestavo. Sulla bozza il titolo non c'è e anche questo potrebbe essere uno scherzo di questo tipo".
Come nell'articolo di «Minimo», anche nel resoconto di Calvino il colpo di scena avviene nel paragrafo finale, contenuto in una parentesi:
"(Però, questa dell'anagramma è una scoperta loro, a cui noi non avevamo mai pensato, e che corrisponde alla verità! E se distogliamo il pensiero per un momento dalle implicazioni legali e giornalistiche è molto bello)".
Le «implicazioni legali» a cui Calvino alludeva (e a cui principalmente si possono attribuire sia il tentativo di far intervenire direttore ed editore dell'Espresso, sia il tono di leggera e minimizzante blandizie che usava con la sua corrispondente) erano quelle legate alla causa di separazione: «purtroppo il pezzo era già stampato e mi recò danno: fu infatti usato contro di me in tribunale» (Elsa de' Giorgi, Ho visto partire il tuo treno, Leonardo Editore 1992, pagg. 42-43).
Se per «distogliere» l'attenzione da queste conseguenze allora solo temute Calvino fa notare che il fatto dell'anagramma «è molto bello», lo stesso fatto è invece, dal punto di vista enigmistico, assolutamente sconcertante.
Oggi noi sappiamo che «Raggio di sole» era effettivamente uno dei nomignoli che Italo Calvino riservava di consueto all'amata, assieme ad altri (come «Paloma», a cui l'anno successivo avrebbe dedicato Il barone rampante). Sappiamo che si tratta di un anagramma, ancorché non preciso. Sappiamo che Elsa de' Giorgi fu nominata sull'Espresso proprio a causa dell'anagramma. Sappiamo che né lei e né Italo Calvino avevano sospettato che si trattasse di un anagramma. I letterati di via Veneto avevano indovinato eppure non avevano avuto ragione, ossia avevano indovinato per la ragione sbagliata.
Se fosse effettivamente possibile calcolare le probabilità di una combinatoria linguistica, il tasso sarebbe bassissimo, quasi infinitesimale.
Elsa de' Giorgi e Raggio di sole sono due espressioni in un rapporto molto profondo di parallelismo. Hanno lo stesso numero di sillabe, lo stesso andamento prosodico (' - - '-), sono formate dallo stesso numero di lettere, in ordine inverso (4, 2, 6 = 6, 2, 4); le stesse consonanti formano le parole di lunghezza uguale (eLSa /SaLe; DE' / Di; GioRGi / RaGGio). La scelta del nomignolo da parte di Calvino era assai motivata anche sul piano, nient'affatto anagrammatico, del significato: basti pensare alla simbologia atmosferica della «Nuvola di smog» e alla simbologia notturna del viaggio in treno di «L'avventura di un viaggiatore», due racconti in cui è ritratta Elsa de' Giorgi.
Sempre che la trascrizione di quel brano epistolare sia stata fedele (l'epistolario con Elsa de' Giorgi è inedito e non è consultabile; è stato saccheggiato più volte da giornalisti a caccia di gossip, ma questa, che pure sarebbe la stessa storia, è un’altra storia) lo pseudonimo «Raggio di sole» può essere ricondotto a tre fenomeni diversi, anche se in qualche misura contemperabili.
Innanzitutto l'eventualità che si trattasse di un anagramma consapevole non può essere esclusa del tutto. Un poeta provenzale poteva scegliere il senhal manipolando le lettere dell'amata; la storia stessa dell'anagramma moderno ha uno dei suoi primi episodi con gli anagrammi che Giulio Cesare Delminio aveva dedicato al nome di Lucretia in una lettera del 5 maggio 1535: allo stesso modo, Calvino avrebbe potuto ricavare il nomignolo da una manipolazione delle lettere di Elsa de' Giorgi. Contro questa ipotesi gioca innanzitutto la circostanza per cui lo stesso Calvino scrisse alla sua corrispondente di esserne rimasto sorpreso: se fosse stato un anagramma volontario, Calvino dovrebbe dunque aver avuto dei motivi per non confidarlo neppure all'interessata e per fingere meraviglia. Una seconda obiezione riguarda un carteggio che un quarto di secolo dopo Calvino ebbe con l'esperto di giochi Giampaolo Dossena. Il 18 novembre del 1982 gli scrisse a proposito degli anagrammi che l'enigmista e letterato Carmelo Filocamo (in arte, Fra Diavolo) aveva ricavato dal nome Italo Calvino. Calvino se ne meravigliò in un modo che a Dossena parve caratteristico di chi di anagrammi non sappia nulla:
Aveva esperienza di anagrammi Calvino? Io non lo so. Dall'entusiasmo della citata lettera 18.11.82 vorrei dire che sembrerebbe di no [...]: mi pare un entusiasmo da neofita.
Inoltre, come notava Dossena, «Calvino era sempre severissimo»: avrebbe usato un anagramma sapendolo imperfetto? O dobbiamo pensare che proprio l'imperfezione dell'anagramma gli aveva suggerito di fingere con la stessa anagrammata che quello (che a lui piaceva soprattutto per il suo senso) fosse un nomignolo come un altro? È un dilemma a cui non si potrà rispondere mai, a meno che il futuro renda disponibili documentazioni capaci (in modo difficile da immaginare) di risolverlo. Al commento di Dossena andrà però aggiunto un dettaglio. Almeno un anagramma consapevole Italo Calvino lo ha poi fatto, o almeno lo ha adottato: era il divertente pseudonimo di Tonio Cavilla con cui firmò prefazione e note dell'edizione scolastica del Barone rampante. [Nota 2024: In due mostre, del 2014-5 e del 2023-4, è stato esposto un foglio di quaderno non databile in cui Italo Calvino aveva scritto di suo pugno 39 anagrammi del suo nome-e-cognome].
Una seconda ipotesi è che il nomignolo di «Raggio di sole» provenisse da una suggestione sonora, un'intenzione poetica più propriamente paragrammatica che anagrammatica, poi arrivata alle soglie dell'anagramma perfetto senza che l'autore ne fosse consapevole. Questa è l'ipotesi più suggestiva e raffinata sul piano letterario: in modo inconscio, o preconscio, Calvino avrebbe finito per assemblare gli stessi fonemi, rendendosene conto solo con sorpresa (e anche compiacimento) solo con la pubblicazione dell'articolo.
Infine l'ipotesi finale è che quella di Calvino fu una scelta puramente semantica, legata alla simbologia del «Raggio di sole».
La prima ipotesi differisce dalla seconda solo per il diverso livello di profondità subliminale della combinatoria anagrammatica e anche fra la seconda e la terza vi sono solo sfumature.
Quella che si conferma una volta di più è una verità non molto vulgata, sull'anagramma: l'anagramma prima di essere un gioco è una condizione presente in due segmenti autonomi di linguaggio.
Questo testo è uno stralcio al capitolo "Italo Calvino e il gioco sulla pelle propria", dal libro di Stefano Bartezzaghi Scrittori giocatori, Einaudi 2010
martedì 6 febbraio 2024 ore 11
Biblioteca Pier Paolo Pasolini
Giocatore
con Stefano Bartezzaghi
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