Adulterio e responsabilità / Coppie
Se devo pensare al matrimonio americano, mi vengono in mente i coniugi Jack e Fran protagonisti del racconto Penne, contenuto nella raccolta Cattedrale, di Raymond Carver. Il “matrimonio” è raccontato attraverso una cena che la coppia trascorre a casa di Bud, amico di Jack, e di sua moglie Olla. I dialoghi tra le due coppie sono banali; il pane fatto in casa da Fran, Bud che beve sempre latte durante i pasti. La cena, che scorre noiosamente, è costellata da dettagli grotteschi che sembrano quasi oscuri presagi di ciò che si verificherà in futuro; l’inquietante pavone che gira per la casa, il calco dei denti storti di Olla sfoggiato come un trofeo e il loro bambino. Brutto.
“Per essere brutto, quel bambino era proprio brutto. Ma, per quel che ne so, immagino che la cosa non importasse poi tanto a Bud e Olla. O se gli importava, magari pensavano semplicemente: e va bene, è brutto. Ma è nostro figlio”.
Mi hanno sempre colpita quei romanzi in cui un personaggio pensa o dice senza mezzi termini che un neonato è brutto. Un esempio letterario ancor più eclatante è quello di Madame Bovary, quando Emma, esasperata dal matrimonio emotivamente disastroso con Charles, guarda sua figlia nella culla e pensa “certo che è proprio brutta”. Pensare ed esplicitare che un neonato non sia bello è, a mio parere, un atto di grande coraggio e di rivoluzionario anti–perbenismo. In entrambi i romanzi, secondo la mia lettura, il bambino si fa metafora del matrimonio. È imperfetto, infelice forse, ma è la scelta che i personaggi hanno fatto, scelta dalla quale è impossibile tornare indietro e che si è costretti quindi ad accettare nella sua imperfezione.
Nonostante l’apparente mediocrità dell’incontro e l’incompatibilità fra i personaggi, la serata in compagnia di Bud e Olla sembra attorniata da un’aura magica – “quella serata da Bud e Olla è stata veramente speciale. Quella sera mi sentivo riconciliato con quasi tutti gli aspetti della mia vita. Non vedevo l’ora di rimanere solo con Fran per dirle quello che stavo provando. Quella sera ho espresso un desiderio. Seduto lì a quella tavola, ho chiuso un attimo gli occhi e mi sono concentrato. Ho espresso il desiderio di non dimenticarmi mai quella serata, di non perderla”. Jack e Fran dopo la cena decidono di concepire un bambino. Si immergono completamente nella loro scelta coniugale come se l’altra coppia avesse dato loro questa spinta. La vita matrimoniale che conseguirà alla nascita del figlio sarà imperfetta, molto probabilmente, infelice – “Fran non lavora più al caseificio ed è ormai parecchio che s’è tagliata i capelli. Mi si è pure ingrassata, oltretutto. Non ne parliamo mica. Che c’è da dire?” – “Io e lei parliamo poco già per conto nostro. Passiamo la maggior parte del tempo davanti alla televisione”.
Inoltre Fran ricorda negativamente la cena dagli amici – “Accidenti a loro e a quel loro orribile bambino, – dice certe volte Fran, così apparentemente senza motivo, mentre la sera tardi ce ne stiamo a guardare la televisione. – E quell’uccello puzzolente, – esclama. – Cristo, ma chi lo vuole?”
Eppure la serata da Olla e Bud era stata magica – “Fran mi si stringeva addosso mentre ci allontanavamo. Mi ha tenuto una mano sulla gamba per tutto il viaggio. È stato così che siamo rientrati dalla serata a casa del mio amico”.
Protagonisti sempre diversi, ma che in realtà sono sempre gli stessi. Le due coppie infatti si specchiano l’una nell’altra dando vita a una sorta di circolo vizioso (il racconto seppur breve lo fa sottintendere) che si ripete all’infinito senza dare ai personaggi una via d’uscita, come se gli stessi errori si ripetessero, come se tutte le coppie sposate fossero uguali. I personaggi di Carver rappresentano un’umanità asfittica, grottesca. Vi sono indubbiamente degli apici di bellezza, di patetismo (nell’accezione greca del termine), ma tutto ritorna inesorabilmente grigio, come se il matrimonio trainasse in una gabbia di consuetudini e luoghi comuni da cui sembra impossibile riemergere. L’universo narrativo di Carver dà l’impressione di essere atemporale. Nonostante i racconti siano ambientati a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 del ‘900, le vicende narrate potrebbero essere collocate nei nostri giorni. Le famiglie descritte, figlie della Grande depressione, appartengono a un’America provinciale e “senza speranza”. Non a caso il Pacific Northwest, sarà la terra che darà vita al movimento musicale grunge.
I personaggi di Coppie, capolavoro di John Updike, sono molto diversi dai protagonisti del racconto di Carver. L’America povera e provinciale di Penne è infatti molto diversa dal ricco e “acculturato” New England degli anni ’60 descritto da Updike. I personaggi di Carver sono infatti persone semplici che svolgono lavori umili; Fran lavora al caseificio, Bud e Jack in una carrozzeria. Vivono in abitazioni modeste, e come da stereotipo fumano sigarette, bevono whiskey e birra ghiacciata; spesso, sembrano annoiarsi a morte. I personaggi di Updike, al contrario, appartengono a un’America decisamente più benestante. Sono quasi tutti liberi professionisti, trascorrono le giornate tra partite di tennis e pettegolezzi. Leggono Freud e discutono apertamente di sessualità. Organizzano party esclusivi, bevono continuamente super alcolici, si confrontano sulla morte di Kennedy e sui missili su Cuba; le donne di Coppie appaiono più emancipate rispetto alle dimesse Fran e Olla. Si potrebbero definire intellettuali, ma anche loro sembrano annoiarsi molto.
La peculiarità delle coppie di Updike è che si tradiscono continuamente. Anche chi non arriva a tradire, desidera ardentemente farlo. I personaggi sono tridimensionali, rispetto alle più stereotipate personalità carveriane, caratterizzati in ogni loro aspetto fisico e caratteriale. Leggendo il romanzo il lettore finisce per conoscerli alla perfezione entrando in empatia con ciascuno di loro. È inevitabile finire per amarli e detestarli poiché l’autore, nel descriverli, si intromette nel profondo delle loro debolezze, della loro sfera emotiva, dei loro tratti più crudeli e immorali. Ciò che alimenta un inevitabile processo di empatia nel lettore è il fatto che Updike entri di soppiatto nella camera da letto di ognuno. Ci entra a piccoli passi, silenziosamente, e li svela, proprio come se li spogliasse. La lettura di Coppie è un’esperienza voyeuristica, e allo stesso tempo un’immersione emotiva. Attraverso la conoscenza della sessualità di ognuno emergono le dinamiche tra le coppie di amici, tra i mariti e le mogli, tra i genitori e i figli. Anche il rapporto con la religione è filtrato dall’eros. Stilisticamente Coppie è un romanzo complesso. Il punto di vista si muove freneticamente da un personaggio all’altro. Gli individui cambiano in base alla percezione sessuale dell’amante, acquisiscono più personalità, persino aspetti fisici differenti.
Ciò che accomuna tutti i personaggi di Updike, è il matrimonio. Matrimonio che non è felice in nessuno dei casi, ma che appare come condizione necessaria per vivere a Tarbox.
L’idea non è stata sua ma mia e ciò di cui ho più paura è di far male a Ken, di far male a lui e di usare il suo amore per me come mezzo per farmi sposare.
– Se ho ben capito, questo signore è anche lui sposato.
– Certo che è sposato. Qui siamo tutti sposati.
Nonostante nella piccola città prevalga un clima libertino e intellettualmente evoluto, il matrimonio resta un obbligo sociale. Come se il retaggio puritano, onnipresente nell’America provinciale di Carver, impedisse alle coppie una totale emancipazione. Ma che cos’è allora il tradimento nel romanzo di Updike, oltre che l’indiscusso protagonista dell’opera?
Parlavano, sfiorandosi con i piedi, sfiorandosi lesti con le mani, in ammonimento o compassione, parlavano di sé stessi, della loro infanzia trascorsa dietro siepi curate, di Shakespeare e psichiatria, che l’adorabile padre di Marcia aveva praticato, di Harold e Janet che, pur mentre venivano doverosamente traditi, erano tuttavia teneramente ricordati, sì che divennero quasi sacri nella loro ignoranza, meravigliosi nella loro fallibilità, abbondantemente compensati per la loro frigidità, perdonati per le loro esigenze, ottusità e vanità, sì che la relazione tra i loro due coniugi sembrava quasi una congiura per l’elogio degli assenti.
L’adulterio non è un atto di rottura, un atto rabbioso o aggressivo verso una relazione infelice. Il tradimento non si contrappone al matrimonio come un gesto di lacerazione, ma è un’accettata e serena conseguenza. Se nelle coppie di Penne il matrimonio è una gabbia dalla quale sembra impossibile uscire, nel romanzo di Updike è un’abitudine socialmente accettata, una lieve (e forse ipocrita) forma di emancipazione. Non vi è mai odio o rancore verso il marito o la moglie, anzi, spesso domina un sentimento di tenerezza, come se a Tarbox vigesse una sorta di tacita approvazione della poligamia. È un’evidenza però che il matrimonio non abbia mai nulla a che vedere con l’amore.
Coppie ha qualcosa di molto attuale poiché mette a nudo le difficoltà, a tratti persino l’impossibilità, di un’esistenza monogama. Paradossalmente Jack e Fran sono animati da una spinta più idealistica nella notte in cui decidono di abbracciare completamente la vita di coppia. È chiaramente impossibile non accorgersi di una certa ironia dal momento che saranno una serata piuttosto grottesca e una coppia di amici decisamente male assortita a invogliarli a tuffarsi in questo progetto, ma resta il fatto che se non altro i due coniugi almeno per quella notte credono nella loro scelta.
In Coppie non si parla di amore, si parla di matrimonio, che è cosa ben diversa. Nemmeno il tradimento ha molto a che fare con l’amore. È innescato dalla passione, talvolta da infatuazioni profonde, ma soprattutto dalla noia. C’è un vuoto esistenziale nei protagonisti del romanzo, un vuoto costituito da un’insaziata esigenza di spiritualità, da un bisogno frenetico di immergersi nelle recenti scoperte psichiatriche e psicoanalitiche, auto analizzarsi, sviscerare furiosamente la propria interiorità. Piet, che è il personaggio in assoluto più complesso e affascinante dell’opera, è un uomo inetto e tendenzialmente vigliacco, ma proprio a causa di questa sua “indifferenza universale” (lui al contrario si presenta e forse è persino convinto di essere un uomo dalla spiccata sensibilità) ha un grande potere seduttivo. Piet è incomprensibile, inafferrabile. È un ottimo padre di famiglia e allo stesso tempo un erotomane, resta rapito dalla bellezza di ogni donna così come velocemente se ne stufa. Piet, fervente protestante si cerca in chiesa e non si trova, si cerca in tutte le sue donne, nei corpi, nei seni, nelle bocche, nei gemiti, negli occhi e nelle carezze di ogni sua amante, ma non viene mai a capo di nulla. Il matrimonio nel romanzo di Updike, oltre che ad illustrare aspetti e contraddizioni della società americana, diviene specchio di una sofferta condizione umana, lo stesso circolo vizioso innescato dal reciproco riflettersi delle due coppie di Carver. I personaggi cercano un senso in un progetto familiare, nei figli, in una prescrizione della società che ha il pregio di ordinare, razionalizzare l’inspiegabile vuoto dell’esistenza, ma finiscono per ricadere in un perenne stato di insoddisfazione. I personaggi di Updike sono gli americani del boom economico, incentrati su loro stessi, viziati, presuntuosi, ma allo stesso tempo fragili e irrisolti. Il matrimonio è uno dei principi ordinatori del caos dell’uomo moderno che può permettersi di vivere come prioritaria la sua felicità. L’adulterio è una breve immersione nel caos, in un paradiso di sensazioni amplificate dall’assenza di responsabilità, un tuffo nell’animalità più anarchica e libera. Ma è illusoria, viene a noia anche quella.