Viaggiatrici instancabili / Meteoriti, il cielo sulla terra
Una meteorite è tante cose. Una pietra che cade sulla terra? Certamente, ma è dir poco e male. Una meteorite è una pietra che porta il cielo sulla terra, il cosmo a portata di mano. Una pietra che fomenta il desiderio tutto umano di popolare il cielo e attiva un immaginario a cavallo tra scienza e mitologia. Provenendo da uno spazio inaccessibile all’occhio umano, è di fatto un messaggero dell’altrove. Di cosa le meteoriti siano il messaggio tuttavia non è chiaro, e i tentativi di rispondere coprono la storia del pensiero umano.
Le meteoriti portano sulla Terra che abitiamo un altrove spaziale ma anche temporale, in quanto vestigia di un passato più profondo della nostra esistenza, offrendosi allo sguardo e al tatto come concrezione di ciò che sfugge alla nostra comprensione. Poco evolute dai tempi della formazione del sistema solare, provenienti in gran parte dalla cintura di asteroidi tra Marte e Giove, le meteoriti ci mostrano com’era il mondo prima della comparsa dell’uomo. È sotto forma pietrosa che la nostra storia più antica è raccontata. Compaiono già nel primo testo letterario di cui ci rimane traccia, l’epopea di Gilgamesh (2600-2500 a.C.).
Questo altrove spazio-temporale di cui sono portatrici, tuttavia, non è situato in cieli remoti ma, con un ribaltamento di cui non siamo sempre coscienti, al cuore della Terra, in quel nucleo metallico inaccessibile che giunge a noi sotto forma di pietre piovute dal cielo. Le meteoriti sono archeologia pura, ma un’archeologia che, anziché trovarsi sottoterra, stratificata come una torta nuziale sotto la crosta terrestre, vaga nel cielo al di là delle nuvole.
Le meteoriti sono gli unici extraterrestri che ci rendono regolarmente visita – che l’uomo meriti tanta affezione?
L’idea di una pietra che vola, di una pietra alata come un paffuto cherubino, sconvolge il luogo comune che ne fa materia inerte sopra cui camminiamo, qualcosa che si calpesta – l’icona della gravità. È il destino delle pietre: seppellite sotto i nostri piedi oppure orbitanti in spazi eterei inaccessibili, in entrambi i casi invisibili.
Ma se le meteoriti fluttuano nell’aria, ci rendono visita non così di rado: ogni anno cadono sulla terra cinquemila meteoriti di oltre un chilo. Ogni anno cadono sulla terra cinque tonnellate di meteoriti tra cento grammi e cento chili, senza contare le oltre cinquemila tonnellate di micro-meteoriti. Siamo bombardati da meteoriti ma le ignoriamo, sensibili solo alle previsioni meteorologiche che al cielo si limitano a chiedere se pioverà o farà bello.
Secondo gli Aztechi, le meteoriti erano un escremento divino, così come le stelle filanti erano urina divina. Le loro divinità prendevano lo spazio celeste per un’immensa latrina, e tra un fulmine e un raggio di sole, tra una nuvola e un arcobaleno, cagavano e pisciavano ad libitum nell’empireo. Ebbe inizio così l’inquinamento atmosferico?
Facciamo chiarezza: a) la meteoroide è un corpo extraterrestre nello spazio; b) la meteora una traccia luminosa che si genera nel cielo quando la meteoroide entra nell’atmosfera terrestre, insomma una stella cadente; c) la meteorite è una meteoroide che termina la sua corsa sulla terra, una tappa non affatto evidente.
Le meteoriti sono viaggiatrici instancabili. Ma sono anche precipitose, spericolate e con tendenze suicide. In seguito a una collisione tra asteroidi, dei frammenti cominciano a vagare nello spazio per decine di milioni di anni, per non parlare di Deep Spring, che ha migrato in solitudine per 2,3 miliardi di anni. Una calma apparente: hanno così fretta di raggiungere la terra che si precipitano attraverso l’atmosfera celeste – sparate a 70.000 km/h e bollenti (1500 gradi centigradi) – e, complice il calore e la resistenza aerodinamica, cominciano letteralmente a perdere pezzi. Il più delle volte si polverizzano, perdendo oltre il 90% della loro massa, eccezionalmente solo il 25%. Alcune si annientano strada facendo, altre sono consumate dal sole, ma le più tenaci proseguono la loro corsa, destinazione Terra.
Una ragione ulteriore per accogliere con premura la massa che arriva fino a noi senza trasformarsi in poltiglia meteoritica.
Il 7 novembre 1492 verso mezzogiorno un’esplosione squarcia il cielo di Basilea. Che sarà mai? È la prima meteorite caduta sulla Terra – per la precisione nel paesino di Ensisheim – di cui si ha testimonianza certa nel mondo occidentale. Testimone d’eccezione di questi 127 chili di pietra compatta è l’artista Albrecht Dürer. Se ne ricorderà quattro anni dopo dipingendo San Girolamo penitente (1496, conservato alla National Gallery di Londra). Sul retro della tela dipinge l’esplosione di un oggetto celeste, dal cuore giallo e dai raggi rossi, incandescenti come lava sputata dalla bocca di un vulcano. Se ne ricorderà in altre occasioni, come nella celebre Melencolia I, la cui iconologia va ripresa daccapo a partire dall’evento meteoritico.
Riguardo all’odorato, le meteoriti hanno la loro fragranza, un misto di polvere da sparo e, più prosaicamente, uovo marcio. Durante la loro traversata i minerali contenenti zolfo si vaporizzano e si forma acido solfidrico o anidride solforosa.
Malgrado la recente pubblicità di una merendina, con una famiglia intera sterminata dalla caduta di meteoriti, da un punto di vista statistico niente è meno attendibile: “Ci sono più possibilità di essere colpiti da un tornado, un fulmine e un uragano allo stesso tempo” secondo l’astronomo Michael Reynolds. Ma la sfiga, si sa, è cieca, come pensò Ann Elizabeth Hodges. Il 30 novembre 1954 faceva la siesta stravaccata sul divano di casa sua con un piumino, a Sylacauga (Alabama). Poco prima delle sette di sera, una meteorite di quattro chili sfondò il tetto di casa e le piombò addosso causando un grosso livido sulla coscia sinistra grosso come un’ananas. Battezzata meteorite di Hodges, l’ignara signora non tardò a rivendicarne la proprietà: “Sento che la meteorite mi appartenga. Lo so che Dio me l’ha predestinata. Dopotutto, ha colpito me!”. Fiutando l’affare come se si trattasse di una gigante pepita d’oro, anche la proprietaria di casa rivendicò per sé la meteorite. Seguì una causa legale al termine della quale fu donata al locale museo di storia naturale dove si trova tuttora. Quanto alla signora Hodges, non si riprese mai dall’infortunio; separatasi dal marito, afflitta da un esaurimento nervoso, morì d’infarto e d’insufficienza renale a soli 52 anni.
Come suole affermare chi, colpito da una disgrazia, cerca consolazione, poteva andare molto peggio. Si racconta che, nel 1677, un frate francescano di Milano fu colpito da una meteorite a Santa Maria della Pace e ci rimase secco. Il corpus delicti era conservato nella Wunderkammer di Manfredo Settala, oggi dispersa, tra sfere armillari e vasetti lacrimatori, braccia di mummie e teste d’ippopotamo. Per non parlare del papa colpito da una meteorite in un’iconica scultura di Maurizio Cattelan (La nona ora, 1999).
9 ottobre 1992, sono quasi le otto di sera quando una meteorite colpisce una Chevrolet Malibu rossa parcheggiata a Peekskill, a nord di New York. Manca di pochi centimetri il serbatoio ma sfonda il bagagliaio da una parte all’altra. La proprietaria della macchina chiama la polizia, che sulle prime pensa a un atto vandalico. Il buco nella carrozzeria è un valore aggiunto: acquistata a 300 $ e rivenduta a 10.000 $, la macchina è oggi esposta dappertutto, inclusa la mostra Météorites, entre ciel et terre al Musée national d’histoire naturelle di Parigi dove l’ho ammirata, chiusa in una teca di vetro come un mammifero estinto.
Anziché considerarle come doni dal cielo, le meteoriti sono diventate beni di consumo in mano al mercato e alle case d’asta, che hanno fiutato l’affare. Lo dimostra bene la recente Deep Impact: Martian, Lunar and Other Rare Meteorites (Christie’s, febbraio 2018), con prezzi per tutte le tasche, da poco più di 1000 $ a oltre 80.000 $. Per renderle più appetibili, sono presentate come “nature’s ready-made sculptures”, simili a opere di Henry Moore, Arnaldo Pomodoro, Barbara Hepworth.
Conservate come amuleti, trasportate nelle chiese, usate come incudini, frecce e daghe – come quella in ferro meteoritico ritrovata nella tomba di Tutankhamon – assurte a monumenti nazionali, come Hoba caduta nel 1920 in Namibia e che, con le sue 60 tonnellate è la più grande del mondo e, in quanto tale, inamovibile: le meteoriti spaziano con disinvoltura dalla scienza alla magia, passando per il culto. Penso alla pietra nera di Emesa, trasportata dalla Siria a Roma nel 219 dall’imperatore Eliogabalo e conservata in un tempio sul Palatino, in quanto si credeva che dimorasse al suo interno una divinità (secondo il termine tecnico, si trattava di un betilo).
Quante volte si è sperato di trovare tracce di vita fossile in una meteorite. Così propone la teoria della panspermia, che vede la Terra inseminata da semi di vita provenienti da un altro pianeta, trasportati ad esempio all’interno delle meteoriti (è il caso della litopanspermia).
Stufe dell’attenzione morbosa dei geologi, le meteoriti s’immischiano a volte alle faccende politiche. La mattina del 15 febbraio 2013 diecimila tonnellate di pietra stellare di una quindicina di metri di diametro si abbattono su Čeljabinsk, in Russia. Corrono a 44 volte la velocità del suono. L’onda d’urto è così violenta che i vetri delle finestre vanno in frantumi e le schegge feriscono, come proiettili, un migliaio di abitanti. Bazzecole rispetto a quella di Toungouska (Siberia) del 30 giugno 1908, un bolide di 50m di diametro che liberò un’energia pari a 300 bombe di Hiroshima o giù di lì. Le uniche vittime furono un numero imprecisato di renne, ma se l’impatto si fosse prodotto cinque ore dopo, San Pietroburgo sarebbe stata rasa al suolo.
Riguardo a Čeljabinsk, un politico nazionalista russo non ebbe dubbi e il giorno dopo affermò pubblicamente che, in questa faccenda, le meteoriti non c’entrano niente, e che si trattava in realtà del test di una nuova arma di distruzione di massa da parte degli americani.
Alle meteoriti manca il dono della discrezione, su questo non ci piove. Cadendo creano dei crateri immensi come il Chicxulub, tra il Messico e lo Yucatan (diametro di 180 km circa), il Vredefort in Africa del Sud (diametro di 250 km) o il Sudbury in Canada (diametro di 300 km). Se il primo sembra piccolo rispetto agli altri, causò un’ecatombe ecologica e l’estinzione di circa il 40% della fauna terrestre che popolava la Terra. Ora, inutile allarmarsi pensando ad Armaggedon, in quanto Chicxulub cadde 65 milioni di anni fa.
Per rincuorarci, non dimentichiamo le piccole meteoriti che cadono senza che nessuno se ne accorga, trovate molto tempo dopo, e che i francesi chiamano “trouvailles”. Tra i luoghi preferiti dai cacciatori di meteoriti – per i quali trovare una meteorite è un atto poetico – c’è l’Antartico, con le sue proprietà chimiche non modificate dall’atmosfera e, agli antipodi, il deserto di Atacama in Cile, il più arido del mondo.
Le meteoriti producono un suono tutto loro. Eileen M. Brown aveva l’hobby di uscire nel giardino di casa sua, a Bovedy, nel nord dell’Irlanda, munita di un registratore per catturare il canto degli uccelli. Fino a quel 25 aprile 1969 in cui il cinguettio fu coperto da un boato che sembrava una cannonata, o era un tuono? Strano però, il cielo è terso. Senza saperlo la signora Brown aveva prodotto la prima terrificante registrazione sonora di una meteorite in caduta.
13 settembre 1768, primo pomeriggio. La versione dei contadini di Grand Lucé (Sarthe) è unanime: quella pietra calda e infuocata dalla forma triangolare, composta di ferro e zolfo, che non somiglia alle rocce locali, è caduta dal cielo durante un temporale. Chi ha visto una nuvola seguita da un tuono secco e forte, chi ha sentito un sibilo nell’aria simile al muggito di un bue, prima di vedere un corpo opaco dirigersi verso la terra. A proposito, non ci sono vulcani nelle vicinanze.
L’Académie des sciences, per cui questa tiritera delle pietre che cadono dal cielo è una credenza popolare, chiede una perizia scientifica a Lavoisier. In linea col pensiero scientifico del XVIII secolo, l’illustre scienziato afferma che si tratta di un frammento di roccia terrestre colpita da un fulmine, fusa in superficie come sulle cime elevate e isolate del Monte Bianco o del Pic du Midi di Bigorre.
Le pietre, per diamine, non cadono dal cielo e tutti quei contadini, sottintende Lavoisier, nobile di nascita, hanno preso una cantonata. Ma è mai possibile che così tanti testimoni si siano sbagliati? Possibile che il parere di una persona che non ha assistito all’evento valga più di quella di così tanti testimoni oculari? Sì, è possibile.
I contadini ci avevano visto bene, come la scienza realizzò nel 1794, ventisei anni dopo, lo stesso anno in cui Lavoisier venne ghigliottinato a 51 anni, lo stesso anno in cui cadde una meteorite a Siena che fu considerata come proveniente dal lontano Vesuvio. Il fisico tedesco Ernst Chladni confermò l’origine extraterrestre o cosmica delle meteoriti, analizzando la “massa di ferro” di 700 kg che il naturalista Pierre Simon de Pallas (non è un nome eccezionale?) recuperò vicino Krasnoïarsk nel 1749 (la parte più consistente è conservata oggi a Mosca). Del resto già Plutarco e Diogene d’Apollonia avevano suggerito quest’ipotesi, ma a volte l’evidenza è troppo impudente per essere accettata.
Usate per curare l’infertilità o portatrici della minaccia più apocalittica che si possa immaginare – l’annientamento del genere umano –, le meteoriti non hanno finito di sorprenderci. Perché la caduta delle meteoriti è stata predetta una sola volta nel corso della storia, quando fu intercettata dal Catalina Sky Survey il 6 ottobre 2008. Osservata in diretta, l’impatto è avvenuto con uno scarto di sei secondi e meno di un chilometro.
Da cui il mio ultimo consiglio spassionato: non date appuntamento a una meteorite. È quasi matematico che vi darà buca. Le meteoriti sono fatte così, amano fare un’improvvisata, del tipo “passavo per caso da queste parti…”
C’è tempo fino al 9 gennaio 2019 per visitare la mostra Météorites, entre ciel et terre al Musée national d’histoire naturelle di Parigi, a cui queste osservazioni si ispirano. Si veda anche Matthieu Gounelle, Météorites. A la recherche de nos origines, Flammarion. 2013, 2017. Tutte le illustrazioni provengono da Kometenbuch, Il Libro della cometa, 1587.