Genius Loci. Le Mura veneziane di Bergamo / La vera storia di Gottardo Archi
Questo testo è tratto dal racconto di Davide Sapienza La vera storia di Gottardo Archi, che con La sposa di Attila di Alessandro Zaccuri inaugura la collana “Genius loci” dell’editore Bolis, dedicata a storie che raccontano luoghi, opere d’arte, borghi, piazze, boschi e ponti, facendo rivivere alcuni momenti legati a luoghi particolari della storia millenaria del nostro paese.
A caratterizzare la storia delle undici tele di Gottardo Archi c’è una serie di circostanze che il narratore classifica tra quelle straordinarie e per le quali l’imponderabile si erge a giudice. È anche una storia che lega un figlio a un padre, attraverso l’appartenenza a un comune territorio, geografico, culturale e sentimentale: le umili origini; un’ereditata sensibilità artistica; la predisposizione all’ascolto del linguaggio del territorio e del verbo silenzioso del suolo – ovvero la voce non da tutti percepita di un genius loci; lo snodo epocale di quel trentennio che sconvolse Bergamo come mai prima e dopo nella sua storia.
Nato il 3 luglio del 1498 a Ponteranica, Vincenzo era stato così battezzato per onorare uno dei due santi ai quali è dedicata la magnifica chiesa dei Santi Vincenzo e Alessandro, completata nel 1473. All’epoca Ponteranica, insieme a Sorisole, godeva di particolari favori da parte della Serenissima che l’aveva esentata dal pagamento di tasse o dazi. Vincenzo era cresciuto in una famiglia contadina e sin da ragazzo aveva mostrato di essere attratto dall’arte pittorica e decorativa. Lo testimoniano alcune pagine dei diari tenuti dai suoi padroni, nei quali si trova la descrizione di vicende quotidiane relative ai terreni affidati a famiglie di agricoltori locali.
Non sappiamo se Vincenzo possedesse una visione dell’arte tale da indirizzare consapevolmente la propria ispirazione. Sappiamo però che il figlio Gottardo, nato il 5 maggio 1544, amava seguire il padre nei suoi momenti di libertà: piccoli pellegrinaggi dentro e intorno la città di Bergamo alla scoperta di tesori artistici che facevano risuonare il canto della bellezza e dello spirito; ma anche incursioni sino a terre più lontane. Sappiamo che insieme videro la Danza Macabra a Clusone o la chiesa di San Bernardino a Lallio. Un’altra volta Vincenzo portò il piccolo Gottardo alla Madonna di Salzana in Val Taleggio, come si racconta in una lettera per alcuni parenti di Vedeseta, affidata da una personalità importante di Valverde al padre di Gottardo. Quest’uomo gli aveva raccontato di un tragico evento accaduto due secoli prima e che sarà poi ricordato dall’arciprete Giuseppe Ronchetti nelle sue Memorie Istoriche (1805), dove, riportando memorie di autori più antichi, parla in questo modo del piccolo borgo di Taglietto in Val Taleggio:
strabocchevole e prodigiosa fu la quantità di neve caduta quest’anno 1359 per tutta la Lombardia. In Bergamo sei giorni e sei notti continuò senza posa cominciando li 10 gennaio e s’alzò più di quattro braccia sopra terra, laonde rovinarono molte case gettata dai tetti arrivava sino alle gronde delle abitazioni, sicché per nessuna contrada potevasi transitare, né usare cavalli o carri. Tragico caso avvenne in Taglietto, ove sopra un monte stava una terra chiamata Salezana di sessanta famiglie in cerca con una Chiesa dedicata a San Gregorio.
Udivano di quando in quando que’ abitanti sotto i piedi rumoreggiare certi tuoni, che ne scuotevano le case, quando il 27 Novembre verso sera si spalancò in orrenda voragine quel monte, e nell’aprirsi caddero per lo scuotimento le case tutte e non meno la Chiesa, rimanendo estinte quante persone vi si trovarono. A memoria e a suffragio delle famiglie distrutte, fu costruito nel 1466 il Santuario dedicato a Santa Maria Assunta, nello stesso posto in cui, tra le macerie, fu rinvenuta la statua lignea raffigurante la Vergine col Bambino in braccio.
A Vincenzo venne il desiderio di visitare il santuario di Salzana, eretto nel 1466, per vedere quello che ancora oggi è il più antico stemma in pietra di tutta la val Taleggio.
Ma la vera ossessione di Vincenzo erano le sacre rappresentazioni. In gioventù, nel1522, aveva avuto la fortuna di assistere alla posa del Polittico che Lorenzo Lotto aveva realizzato per la chiesa di Ponteranica. Da allora aveva seguito le tracce di quel gran maestro, restando ammirato dalla pala di San Bernardino da Siena nella chiesa di San Bernardino in Pignolo, a Bergamo, realizzata in quegli stessi anni.
Gottardo nacque a Valverde, in un borgo agricolo dove cascine, vie di comunicazione, mulattiere e sentieri disegnavano la mappa della Bergamo collinare. Vincenzo non poteva sapere che si era alla vigilia di uno sconvolgimento epocale. La famiglia Archi si sarebbe salvata dall’assalto grazie all’ubicazione della cascina del Ghiro dove Vincenzo aveva conosciuto, nel corso di una processione da Ponteranica a Sant’Alessandro, Maddalena, la futura moglie. Nessuno di quella folla di devoti in cammino verso la cattedrale avrebbe potuto immaginare che entro pochi decenni quel maestoso e venerato luogo di culto sarebbe stata demolito per fare posto alle Mura.
Nel ripercorrere la nostra storia dobbiamo oggi immaginare la piccola estensione di Valverde nel XVI secolo. Tra le valli che si incuneavano sino alle alture, gli spazi erano occupati dai grandi terrazzamenti coltivati e dai casali nei quali padroni e contadini vivevano a stretto contatto. Sotto l’odierna via Castagneta, protetta da due coste collinari sulle cui pendici si tagliava la legna e si raccoglievano castagne e altri frutti, sorgeva la cascina del Ghiro, dove Vincenzo, con la moglie e i figli, si era trasferito lasciando Ponteranica, territorio che si stacca dalla pianura e si adagia lungo i declivi del colle a nord della città tra i due rami del torrente Morla.
Il comune, di cui si hanno ancora attestazioni documentarie nel 1392, faceva parte del territorio di Sorisole, incluso nell’antica corte Regia della Morla di origine longobarda. Un altro documento, benché posteriore alle vicende della famiglia Archi, ci interessa in modo particolare: nel 1596 il capitano Giovanni Da Lezze afferma che gli ottocento abitanti di «Potranicha» sono in maggior parte «artisti et lavoratori di terra». Come per Vincenzo prima e poi per Gottardo, lavoro, terra e arte sono diverse espressioni della stessa sensibilità.
La geografia di Ponteranica ebbe probabilmente un ruolo anche rispetto alla sensibilità ambientale ed estetica che il padre passerà nel figlio: paese soleggiato e in posizione protetta, era circondato da un complesso sistema di piccole vallette dove dirupi, grotte, foreste, spazi coltivabili ricavati dall’acuto senso dell’uomo antico per una utile interpretazione della geografia alpina, facevano di quei luoghi un terreno adatto al lavoro dell’immaginazione. Questa geografia sentimentale fu il contesto in cui Vincenzo imparò a coltivare e quindi a esprimere il suo amore per l’arte per poi trasmetterlo al figlio. Quando Archi padre lascia il paese d’origine per sposarsi a Valverde, cambia anche il suo mestiere: da quel giorno, lavorerà l’argilla del torrente Morla per costruire vasi, restando però intimamente legato alla terra e ai suoi doni. A Valverde nel 1544 nacque l’ultimogenito, Gottardo. Le acque del Morla, il breve corso d’acqua che nasce sulle pendici meridionali del Canto Alto nella val di Baderen, dal Monte Solino nella valle Morla e dal Col di Ranica, suggellano una simbolica, quanto naturale, continuità nella vicenda biografica di il padre e figlio.
Non è forse vero che l’incessante lavoro dell’acqua può indicare una via? Dopotutto osservando il territorio riusciamo a intuire che deve esistere una segreta mappa interiore che invita a muoverci e migrare lungo direttrici che non siamo in grado di spiegare ma che indirizzano le nostre scelte.
Una geografia intima ci fa connettere Ponteranica Valverde, Bergamo, il corso del Morla, considerato il fiume di Bergamo, fi da quando, in età medievale il suo corso era sfruttato per vari bisogni idrici e domestici. Vincenzo doveva conoscerlo bene quel corso d’acqua, per decidere che a Valverde avrebbe anche cambiato mestiere. L’alveo del torrente si adagia su uno strato impermeabile, che favorisce l’estrazione di un’argilla la cui qualità è molto alta. Liberatosi dal “lavoro di terra” di Ponteranica, Vincenzo poté trovare sfogo in Valverde alla propria sensibilità artistica dedicandosi alla creazione di vasi, utensili, manufatti, piccole opere per abitazioni private. E diventando artista della Terra.