Performance perfette senza imbarazzi / Forse domani mi innamoro
I siti di incontri non mi hanno mai convinta, ho sempre pensato che togliessero spontaneità all’incontro tra due persone. Fino a qualche anno fa ricordo che gli amici che usavano Tinder per “rimorchiare” lo dicevano sottovoce, come fosse un segreto, una specie di vergognosa confessione. Oggi i siti di incontri spopolano, sono la normalità anche tra i giovani. Stasera esco con un “tinder” è una frase che si ripete. Tinder è un’applicazione che si scarica sul telefonino, con l’indice si sfogliano i profili degli iscritti all’app. Ognuno si presenta nella sua veste migliore. Gli uomini hanno la singolare abitudine di auto-fotografarsi al volante con gli occhiali da sole. L’indice scorre frenetico e curioso sullo schermo, le facce che non piacciono finiscono, sempre con un agile mossa dell’indice, in un cestino virtuale.
Forse domani mi innamoro non mi ispirava. Non mi piace il titolo e nemmeno la copertina. Ho pensato, superficialmente, che fosse un romanzetto banale e troppo leggero.
Stella Grey, pseudonimo dell’autrice, è una cinquantenne che dopo un felice matrimonio durato anni viene abbandonata dal marito ritrovandosi improvvisamente single. Disperata, decide di scoprire il mondo dei siti di incontri con l’intenzione di trovare un compagno per la vita. Il romanzo racconta il tragicomico susseguirsi delle sue avventure. Tra feticisti, uomini attivi nella monosphere (blog in cui gli uomini parlano della loro condizione di maschi in termini dichiaratamente maschilisti), appuntamenti da incubo e noiose chiacchiere di circostanza, la Gray si racconta con brillante ironia e rivela le dinamiche che si instaurano tra due persone che “escono al buio”. Stella è una donna colta e intelligente ed è fiera dei suoi chiletti di troppo; non è bella e ha cinquant’anni. Con i siti d’appuntamenti scopre che avere cinquant’anni è come soffrire di una grave malattia. Gli uomini sembrano cercare solo donne più giovani. Donne “femminili”, magre, provocanti, tassativamente sotto i trentacinque. I siti d’incontri sono il paradiso dell’immagine, spesso sono le fotografie a determinare la richiesta di un appuntamento.
Quando un coetaneo conosciuto sul sito le fa notare che le donne della sua età sono viste dagli uomini come trascurate e arrabbiate Stella risponde:
“Io non vedo perché dovrei sentirmi in dovere di sembrare più giovane di quello che sono. La mia faccia mi piace così com’è, con gli anni scritti sopra; sono i miei anni e ne sono orgogliosa. Ne ho passate tante e sono sopravvissuta, se sembro una reduce non mi dispiace. E nemmeno mi dispiace di essere non magra. Il mio corpo funziona benissimo, e mi sembra che il desiderio di cambiarne dei pezzi, di farsi le labbra più piene, le tette più grosse e quelle strane guance da scoiattolo con la noce in bocca equivalga ad accettare una sorta di schiavitù. Come dire «sono una merce»”
Stella è divisa tra lo scoraggiamento personale e il desiderio di comprendere l’inaspettato e curioso fenomeno sociale. Si confronta sull’argomento con un amico e il verdetto non è rassicurante:
“gli uomini sono creature estremamente visive; noi reagiamo a quello che vediamo, non possiamo farci niente. Bè, forse potremmo farci qualcosa, ma non vogliamo. […] Gli uomini amano la gioventù. Amano i capelli lunghi, amano il colore. E amano anche le magre. Mi dispiace.”
Forse domani mi innamoro, a dispetto del titolo da harmony rosa, è un romanzo ironico e acuto. Uno di quei rari libri che ti fa ridere rumorosamente mentre lo leggi grazie allo strepitoso humor inglese della scrittrice che spesso riporta alla cinica ironia dei personaggi di Nick Hornby.
Tolte le avvincenti avventure della Gray e qualche caduta nello stereotipo – trattando un tema come questo qualche luogo comune è inevitabile – ciò che ho trovato davvero interessante è come viene descritto il fenomeno del catalogo. Racconta chi sei, cosa ami fare, che taglia porti di reggiseno, qual è il tuo piatto preferito e quali sono le tue preferenze sessuali. Le persone iscritte al sito si auto-espongono nella vetrina virtuale, mettono in luce quelle che credono essere le proprie caratteristiche migliori (vedi uomini al volante su tinder) e si mettono sul “mercato”. L’idea del catalogo raggiunge l’apoteosi nei siti porno con le celebri categorie. Che cosa ti eccita di più? La donna formosa? Depilata? Orientale, gonzo, milf?
L’essere umano diventa bene di consumo, si hanno necessità specifiche, e si cerca qualcuno (o meglio, qualcosa) in grado di soddisfarle. La maturità o, se si vuole essere diretti, la vecchiaia, è una caratteristica scomoda. In un contesto culturale che mette al primo posto giovinezza e bellezza fisica, la saggezza e tutte gli aspetti affascinanti della maturità perdono di valore. In una società divorata dal terrore della morte la vecchiaia è un argomento scomodo; si inneggia al “vivere la vita al massimo”, a scrivere liste di cose da fare prima di morire, lanci dal paracadute, sesso estremo, isterici carpe diem che farebbero rivoltare Orazio nella tomba. Vi è una sorta di mercificazione dell’esperienza in cui la vita diventa un frenetico accumulo di sensazioni imperdibili. Tendiamo tutti ad un artificiale ringiovanimento poiché ci illude di essere lontani dalla morte, di avere ancora molto tempo davanti da riempire con un caotico accumulo di esperienze. Vogue Italia nel mese di ottobre ha interamente dedicato la rivista alla vecchiaia della donna. C’è una bellissima intervista a Robert Pogue Harrison, docente di letteratura e di storia culturale alla Stanford, che ha scritto nel 2015 un saggio dal titolo L’era della giovinezza. Quando il giornalista domanda se vivere nell’era della giovinezza significa contemporaneamente invecchiare di meno, Harrison risponde:
Ciascuno di noi sperimenta a modo suo l’invecchiamento del proprio corpo; eppure oggi tutti noi, anziani e giovani, invecchiamo in modo diverso rispetto ai nostri antenati. Siamo sotto molti punti di vista una versione “ringiovanita” della nostra specie. Intendo ringiovanita nell’aspetto, nei comportamenti e nella mentalità. Una trentenne di oggi nelle vie di Parigi sembra più la figlia che la sorella di La donna di trent’anni di Balzac.
Stella Grey nel suo romanzo racconta il meccanismo di consumo che si è espanso anche alle relazioni tra esseri umani. Non è una condanna ai siti di incontri ovviamente, ma l’analisi di questa recente tendenza che porta le persone, in questo caso soprattutto i soggetti femminili, a dover essere sempre all’altezza di un canone, di un’aspettativa che è in qualche modo indotta dal contesto sociale.
Non voglio dare voce al perpetuo e immortale dibattito sugli uomini e le donne che alla lunga risulta piuttosto noioso e scontato, credo che non sia una questione di genere, ma una tendenza che riguarda il mondo globalizzato.
Di recente mi è capitato di sentire frasi come: “lavora in una grandissima città e lavora così tanto che non ha tempo per conoscere persone, è obbligato/a ad usare le app di incontri”, come se l’uso dei siti d’appuntamento fosse una peculiarità delle persone vincenti e ben inserite nella società. Manager, carrieristi, gente che non ha tempo da perdere. Il fatto che questo modello si stia imponendo in maniera sempre più marcata porta inevitabilmente a cambiare le proprie abitudini riservando alla sfera sentimental/sessuale un altro valore e un modo diverso di relazionarcisi.
Perché sprecare tempo a conoscere un altro essere umano nelle tempistiche che impone la vita e non con la fulminea rapidità tecnologica? Non voglio condannare i siti di incontri, poiché ritengo ottuse le condanne a priori, credo però che la riflessione debba vertere su questo punto, vale a dire se siamo davvero disposti a incasellare anche i rapporti (e i sentimenti che possono conseguirne) nella sfera del consumo, della velocità, dell’utilitarismo. Sembra che sia diventato inutile passare del tempo a conoscere una persona nel mondo reale, riconoscerne l’odore, conoscerne i difetti, scoprire che alcuni difetti sono irresistibili, sviluppare su quella persona un immaginario erotico, avere il timore di un rifiuto, di un fraintendimento, restare delusi e imparare che delusioni e sofferenza fanno parte del gioco così come ne fanno parte stupore e felicità. Vogliamo tutto e subito, vogliamo “parlare chiaro” su quelle che sono le nostre esigenze, vogliamo che un algoritmo calcoli il livello di compatibilità tra due persone, che una fotografia mostri chiaramente l’aspetto dell’altro. Vogliamo la performance perfetta e vogliamo cancellare qualsiasi forma di imbarazzo. Non dovremmo proteggere ancora qualche aspetto della vita da questa contemporanea furia accumulatoria? Accettare l’esistenza di una sana futilità, della noia e dell’attesa scevre da qualunque ritorno pratico?