Gelsomini e non
Impossibile dissentire da Ippolito Pizzetti quando, alla voce Jasminum della sua guida Fiori e giardino (Garzanti), così esordisce: «Chi ha un giardino e non coltiva J. non è meno da compatire di chi ha un giardino e non coltiva Rose». Ma non tutti i gelsomini sono gelsomini, non tutti i gelsomini sono bianchi, non tutti profumano né tutti hanno lo stesso profumo.
Il genere Jasminum appartiene alla famiglia delle Oleaceae: noto in Italia fin dal Quattrocento, comprende circa duecento specie, per lo più d’origine asiatica. Tra le più note il sambac, dal grande fiore bianco finemente profumato d’arancio (Cosimo I de’ Medici, primo anche nel possederlo in Italia, si dice ne fosse gelosissimo); l’officinalis, pieno di grazia e tuttavia resistente al freddo; il mesnyi (alias primulinum), con fiori gialli solitari e semidoppi, dall’accattivante portamento pendulo; il nudiflorum, generoso e rusticissimo, che illumina l’inverno di piccole corolle gialle benché non olezzanti; il sudamericano azoricum, stellato di bianco, fragrantissimo e dal lucido fogliame pennato, persistente in climi favorevoli.
Ben declinati e in posizioni soleggiate, possiamo dunque avere gelsomini fioriti in giardino tutto l’anno, meglio se addossati a un muro, sposati a una clematide o a una rosa. Come quello di San Mauro nella casa paterna di Giovanni Pascoli: «e s’abbracciava per lo sgretolato/ muro un folto rosaio a un gelsomino» (Romagna).
Certo, quanto a gelsomini, Pascoli ha tratto in inganno più d’un critico con quel suo capolavoro intitolato al Gelsomino notturno che, propriamente, gelsomino non è. Il Cestrum nocturnum, ché di questo arbusto credo si tratti, schiude – come recita l’andante «E s’aprono i fiori notturni,/ nell’ora che penso a’ miei cari» – i modesti ma foltissimi fiori tubolari durante la notte e, a dispetto dell’aura poetica, appartiene alla famiglia delle patate, le Solanaceae.
Diffuso in tutto l’areale mediterraneo, deve aver solleticato con l’intenso profumo fruttato la botanica, frustrata immaginazione di uno Zvanì catapultato a Messina con cane Gulì e sorella Mariù (non l’altra, Ida, la prediletta e traditrice) al seguito.
Pizzetti deplora la pigrizia dei giardinieri – responsabile delle mode del momento – che complice la rusticità del gelsomino nudiflorum («robusto come la gramigna») lo hanno inserito nel breve elenco di quelle piante buone a tutti gli usi per riempire ogni buco del giardino. Io, che di gelsomini invernali ne ho ben tre cespi, m’infastidisco invece con chi sostiene di coltivare un gelsomino quando in vaso o in piena terra tiene un Trachelospermum (o Rincospermo).
Membro della famiglia delle Apocynaceae, è parente della pervinca, cui somiglia sia nella girandola dei fiori sia nella foglia coriacea e oblunga e, se lo si facesse correre in orizzontale, come quella tappezzante. Nulla contro il falso gelsomino, semmai contro l’uso scriteriato che se ne fa: non v’è recinzione o balcone che ne sia privo e tra maggio e giugno il suo profumo, già di per sé pungente, diviene aggressivo.
D’accordo: è facile da coltivare, rigoglioso e tenace ma, come dice Pizzetti, non bastano fiori bianchi dal profumo intenso per fare un gelsomino. Inoltre, la coltivazione in massa gli nuoce: i gelsomini, veri o falsi che siano, sono individualisti.
Almeno si scelga tra i Trachelospermum l’interessante varietà Star of Toscana, più gradevole nella fragranza e dalle eliche gialle quasi zolfo.
Comunque, se volete conquistarvi un gatto, piantate un vero gelsomino. L’estate scorsa, quando il mio azoricum era in piena fioritura, si è palesata una nera micetta: subito accolta nella colonia felina col nome – ça va sans dire – di Gelsomina, ossimorico solo in apparenza.