Il Grande Fratello entra in noi / Marshall McLuhan. In pochi minuti passano anni
Nella primavera del 1965, seduto nel giardino di un lussuoso ristorante francese di New York, Tom Wolfe guarda ipnotizzato la cravatta a scatto, con affari di plastica applicati, che indossa Marshall McLuhan. Un tipo di cravatta, aggiunge lo scrittore, da 89 cents, con il nodo già preparato: qualcosa di dozzinale e insieme involontariamente snob. Siamo alla vigilia dell’esplosione di celebrità del professore dell’Università di Toronto. Tra qualche mese sarà trasformato in un guru, e il suo nome diventerà di colpo noto ai lettori dei giornali e delle riviste illustrate di tutto il mondo. Puntualmente, Wolfe racconta tre anni dopo la folgorante apparizione dell’astro, l’autore di Galassia Gutenberg (1962), in un lungo articolo intitolato non a caso “E se avesse ragione?”. Vi riporta una frase di McLuhan, a sua volta citata da un altro autore: “La celebrità è una persona nota per la sua notorietà”. A questa celebrità collabora, del resto, il ritratto stilato da Wolfe, impeccabile cronista mondano, in pagine folgoranti.
Lo scrittore americano – diventato a sua volta noto per aver inventato l’espressione “radical chic” e per aver dato un perfetto ritratto degli anni Ottanta del XX secolo, in Il falò delle vanità – racconta che Marshall e i suoi accompagnatori si recano in un Topless Lunch, che naturalmente Wolfe conosce. Entrando nel locale, dove si aggirano una dozzina di ragazze nude con cache-sexes color carne e tacchi alti, tutti ammutoliscono. Tutti tranne McLuhan: “Bene!”, disse. “Molto interessante!”. “Che cosa è interessante, Marshall?”. “Quelle ragazze portano noi”, disse, con una leggera scrollatina di spalle, come se avesse detto la cosa più ovvia di questo mondo”. Non capisco, Marshall. “Siamo noi i loro vestiti”, disse lui. “Noi diventiamo il loro ambiente circostante. Diventiamo l’estensione della loro pelle. Portano noi”. Perfetto.
Nel 2011 è caduto il centenario della nascita di McLuhan nato il 20 luglio. Cento anni sono tanti, eppure Marshall sembra nato ieri, anzi: dopodomani. I suoi libri sono tornati a circolare, o forse non hanno mai smesso di farlo. Per quanto adesso lo si vuole seppellire spiegando, social alla mano in cosa ha sbagliato, in molti hanno acquistato quei volumi, anche se non è detto che li abbiano letti, e forse neppure capiti. Lo si insegna ancora nelle università e a Toronto c’è un centro intitolato a lui, tuttavia non è facile capire McLuhan. In tanti lo conoscono per averlo sentito nominare almeno una volta o per averlo voluto spiegare agli altri, come capita in Io e Annie di Woody Allen. In quella pellicola un presuntuoso professore della Columbia University, in coda per assistere a un film, continua a pontificare sull’opera dello studioso canadese, fino a che Allen, che l’ascolta nella medesima fila, stufo di tanta false citazioni, fa intervenire McLuhan stesso. Indossando il suo abituale completo di tweed marrone, il massmediologo entra in scena tirato per la giacca da Allen e pronuncia una sua famosa battuta: “You mean my fallacy is all wrong?” (“Vuol dire che la mia utopia è utopica?”, secondo la versione italiana).
Nel corso degli anni Sessanta e Settanta del XX secolo McLuhan è stato l’intellettuale e lo studioso più citato al mondo, e dunque anche in Italia, sebbene da noi i suoi libri siano stati tradotti in ritardo, o con titoli inadeguati, come Gli strumenti del comunicare (in originale Understanding Media). Sotto la spinta di critiche sovente ingiuste sono stati collocati negli scaffali alti delle librerie di casa e rapidamente archiviati, mentre avevano ancora molto da dire ai lettori curiosi.
Quando nel 1962 la Galassia Gutemberg, il suo libro più famoso, apparve in Canada, dove McLuhan viveva e insegnava, il suo impatto negli Stati Uniti, nel sonnacchioso mondo accademico, quello dei medievalisti, degli studiosi della storia del libro e della comunicazione, fu senza dubbio dirompente. Il cinquantenne studioso raccontava in un modo molto poco usuale la vicenda dell’interazione tra l’uomo e il suo ambiente, in cui ogni “mezzo” o “artefatto” realizzato dall’uomo stesso costituisce una “estensione” del suo corpo, o di una sua particolare facoltà: la parola estende il pensiero, la ruota il piede, l’abito la pelle, e così via, sino all’estensione delle tecnologie comunicative, di cui il libro a stampa con caratteri mobili, realizzato da Gutenberg nel 1454, diventa il veicolo principale del cambiamento sociale e intellettuale dei tre secoli seguenti.
Come dice il sottotitolo del libro, McLuhan discute “il farsi dell’uomo tipografico” partendo dall’introduzione dell’alfabeto fonetico, sino alla grande rivoluzione della stampa che ha modificato, almeno in Occidente, il modo stesso di pensare lo spazio e il tempo. Due anni dopo, pubblica Understanding Media, in cui il tema viene sviluppato nell’ambito dei nuovi media elettrici ed elettronici creando alcune delle celebri frasi, come “il medium è il messaggio”. Si tratta di un’opera che McLuhan ha scritto quale rapporto commissionatogli sulla situazione dei nuovi media, e come tale reso accessibile agli esperti, ma poi subito dopo dato alle stampe per il grande pubblico. Questo è l’altro grande libro del massmediologo canadese. Per McLuhan media non sono solo il libro o la radio, o la televisione, protagonista dell’ultima rivoluzione mediatica, negli anni in cui Marshall scrive, ma anche la parola scritta, l’orologio, la moneta, la pubblicità, i giochi e perfino le armi.
Tra le cose che sono rimaste proverbiali della Galassia Gutenberg c’è la distinzione tra il mondo caldo dell’orecchio, quello della comunicazione orale, e il mondo freddo e neutro dell’occhio, prodotto dalla stampa e dal passaggio dalla lettura ad alta voce alla lettura silenziosa, da cui nasce una nuova e inedita percezione spaziale. La stessa prospettiva, pur essendo sorta prima, si afferma in Europa attraverso la diffusione dei libri a stampa. Da questo cambio di paesaggio mentale nasce per McLuhan l’individuo moderno, e di conseguenza l’individualismo e il sistema economico e sociale che si fonda su questo, ovvero il capitalismo.
Ma la cosa più sorprendente del libro non sono solo, o tanto, le cose che dice (e non solo in questo straordinario libro, ma anche in tutti gli altri che pubblica in seguito), bensì il modo in cui le dice. McLuhan costruisce un mosaico di citazioni, riferimenti, che non seguono lo sviluppo logico, ma quello analogico. Fa citazioni continue, compie salti logici, introduce osservazioni minime, gioca con il suo lettore fino a costruire un testo che è più orale che scritto, discontinuo più che continuo, cercando, a suo modo, di ricomporre quella frattura che l’alfabeto fonetico e la stampa a caratteri mobili hanno prodotto tra “verbo” e “logica”. McLuhan, che è senza dubbio un conservatore – i conservatori sono i migliori descrittori dei mondi nascenti –, predilige la comunicazione orale a quella scritta. Convertito al cattolicesimo nel 1937, Marshall resterà legato a questa fede in tutti gli anni a seguire (muore nel 1980), e insegnerà sempre in università confessionali.
Una delle cose che più colpiscono i suoi ascoltatori, riferiscono le biografie e i libri a lui dedicati, sono, non a caso, i suoi lunghi monologhi che travolgevano i suoi interlocutori sotto una pioggia di parole che non si arrestava mai. In questo del tutto simili ai libri: un succedersi di aforismi, racconti, segnalazioni, note, discorsi laterali, frasi a effetto, straordinarie e illuminanti osservazioni basate su dettagli minimi.
Leggere McLuhan è ancora oggi un’esperienza da fare. Lo è ancora nonostante il passaggio della pop art, delle neoavanguardie degli anni Sessanta e Settanta, delle innumerevoli mode culturali succedutesi dalla sua morte che hanno reso consuete molte delle sue tecniche di argomentazione e di scrittura. Prendiamo La galassia Gutenberg. Il modo migliore per noi oggi di leggerla è partire dalla fine, dagli indici, che costituiscono delle vere e proprie glosse ai singoli capitoli del libro, i quali ne sono a loro volta le note esplicative (McLuhan segue uno stile medievale, forme tradizionali eppure ancora innovative di esplicazione dei testi medesimi: metacritica). Ogni capitolo è aperto, come capitava nei libri anche narrativi sino all’Ottocento, da un titolo, che è il riassunto del capitolo stesso, compendiato in forma icastica e sommaria, ma sostanzialmente veritiera. Così, leggendo gli indici, uno di seguito all’altro, si capisce di cosa parla il libro, e al tempo stesso ci s’impratichisce con lo stile-McLuhan.
Ci sono titoli sconcertanti, che colpiscono, ma fanno anche riflettere. Due a caso: “La schizofrenia è forse una conseguenza necessaria della alfabetizzazione”, oppure: “L’invenzione della tipografia confermò ed estese la nuova accentuazione visiva della conoscenza applicata, fornendo così la prima merce reperibile uniformante, la prima catena di montaggio e la prima produzione di merce”. Detta così, la cosa sembra piuttosto una boutade, un’affermazione roboante, ma leggendo con attenzione il capitolo corrispondente ci si accorge che McLuhan ha sì il talento di esagerare, però anche quello di farsi capire, di attirare l’attenzione su una tesi macroscopica e di suggerire continuamente micro-osservazioni straordinariamente efficaci.
Se si legge il libro con attenzione, e si possiede una certa consuetudine con libri del genere, opere di massmediologi e semiotici, studiosi della comunicazione e guru filosofici, si scoprono le fonti di molte tesi e teorie successive, si capisce da dove vengono le idee dei sociologi francesi di moda negli anni Sessanta e Settanta, o anche alcune verità fatte proprie da studiosi italiani e americani. McLuhan e il suo libro sono stati saccheggiati in lungo e in largo anche per lo scialo d’intelligenza che contengono. La cultura che sta dietro al libro è tuttavia quella della poesia inglese medievale, e anche di Joyce, della scolastica e di San Tommaso, e delle avanguardie artistiche del Novecento. Leggere La galassia Gutenberg, come Understanding Media, è ancora oggi un’avventura intellettuale.
Tom Wolfe, uno dei primi ad accorgersi della novità contenuta in questo libro, e a darci un ritratto del suo autore, in cui lo paragona a Freud, ricorda una battuta dello studioso canadese in risposta a chi manifestava difficoltà a seguirlo nei suoi complessi ragionamenti: “Semplice. Io sono un emisfero destro che parla a emisferi sinistri”. McLuhan è un autore che usa la parte del cervello che comanda l’intuizione, la parte artistica dei nostri emisferi, per farsi capire dalla parte addetta invece alla razionalità, alla logica e alla sequenzialità; è l’oralità che si rivolge alla scrittura. Insomma, un bell’esercizio per tenerci allenati e aiutarci ad afferrare un universo, il nostro, in cui non basta un solo emisfero, o una qualità sola, per comprendere il contemporaneo e anticipare il futuro, ma almeno due, opposte e contrarie.
Per spiegare la particolarità del pensiero e della scrittura di McLuhan, oltre che del suo eloquio straordinario, lo scrittore Douglas Coupland, descrive in un suo libro biografico due avvenimenti che riguardano il cervello del massmediologo. E, prima ancora, un fatto che poteva impedire a McLuhan di diventare McLuhan. Nel 1960, poco prima di scrivere Galassia Gutemberg e Understanding Media, fu colpito da un infarto. Poi subito dopo la pubblicazione dei suoi due più celebri libri, e l’esplosione del suo successo, McLuhan cominciò a manifestare delle microcrisi. A lezione, o durante le conferenze, s’interrompeva a metà di una fase, restava muto a lungo, poi riprendeva improvvisamente a parlare. Nel novembre del 1967 la moglie Corinne e la famiglia riuscirono a convincerlo a operarsi: subì un’operazione al cervello e gli fu tolto un tumore. Tutti si aspettavano che seguisse una paralisi, o una qualche menomazione che ne riducesse le capacità intellettive. E invece, risvegliandosi dalla lunghissima operazione, quando il chirurgo gli chiese come si sentiva, Marshall rispose: Dipende dalla definizione che si dà di “sentirsi”.
Nel 1971, poi, si scoprì una particolarità inusuale nel suo corpo, consueta tra i felini, rarissima tra gli umani: la carotide esterna, l’arteria che irrora di sangue vivo la testa e la mandibola, si era trasformata in una rete di canali. Il cervello di Marshall era irrorato da una struttura vascolare più ampia e vasta di tutti gli altri esseri umani. Questo, secondo Coupland, permette di capire come mai la massa cerebrale di McLuhan fosse in grado di stabilire connessioni così rapide e così veloci, e trovare idee così vorticose. Senza quella particolarità il suo cervello si sarebbe bruciato molto tempo prima di scrivere i suoi libri, questo perché nella famiglia di McLuhan era presente una predisposizione genetica all’ictus; quegli arresti nella parola e nella motilità erano il segno di piccole apoplessie continue. Una spiegazione ulteriore della rara capacità che McLuhan aveva di usare il suo cervello in bilico tra arresto e velocità di elaborazione supersonica.
Tutto questo può dar conto della particolarità del suo pensiero: lucidità ma anche oscurità; intuizioni formidabili e farraginose spiegazioni; sintesi e ampie divagazioni. Un cervello diverso produce pensieri diversi? Difficile rispondere. Certo che questi aspetti della personalità biofisica di McLuhan lo rendono ancora più interessante e insieme enigmatico, aumentano la sua leggenda, se ce ne fosse ancora bisogno.
Nelle prime pagine del suo saggio Marshall McLuhan (uscito nel 2009 e tradotto in italiano da ISBN), Coupland scrive che oggi le persone sembrano formulare pensieri più profondi e soprattutto “collegamenti con maggior intensità emotiva con altre persone in tutto il pianeta in ogni momento della giornata” (un dato che differenzia la mia generazione, nata con la televisione, e arrivata già adulta al contatto virale con i new media e poi coi social), “eppure tutto è fugace e rarefatto. Il tempo accelera e poi comincia a restringersi. In pochi minuti passano anni”. Per questo McLuhan è importante: perché lo aveva capito con largo anticipo.
Un’ultima citazione, per provare a dire tutto questo in modo icastico, citazione datata 1962: “Invece di tendere a diventare una gigantesca biblioteca di Alessandria, il mondo è diventato un computer, un cervello elettronico molto simile a quello di un racconto di fantascienza per bambini. E mentre i sensi vanno fuori di noi, il Grande Fratello entra in noi”. Formidabile. Grazie Marshall!