Ortensie
Le conosciamo con il nome femminile di Ortensia che le designa da quando il naturalista francese Philibert Commerson, secondo la vulgata maior, volle dedicarle a M.lle Hortense de Nassau, figlia del principe Karl Heinrich, libertino e appassionato botanico, con lui al seguito di Louis Antoine de Boungainville nella famosa spedizione giramondo del 1766-1769.
Solitamente le associamo ai grandi globi bianchi oppure sfumati di rosa o azzurro (secondo la qualità del terreno che le ospita: alcalino per il rosa-rosso, acido per l’azzurro-blu) che, nel peggiore dei casi, proseguono la loro esistenza in essiccati, polverosi bouquets dal gusto rétro.
Ma la catalogazione scientifica del genere è Hydrangea e le specie diverse — pur anco rampicanti (H. petiolaris) — hanno infiorescenze e foglie di fogge e colori propri. Infiorescenze, non fiori, bensì agglomerati di fiori sterili dai sepali vistosi e di poco appariscenti fiori fertili che, tuttavia, sortiscono le capsule seminali da cui il nome scientifico: somigliano infatti a piccole conche per la raccolta dell’acqua. Che poi le ortensie d’acqua siano avide è pur vero, ma non da qui l’origine onomastica.
Ben oltre la più nota H. macrophylla (hortensis), venduta in vaso dai fiorai e diffusa in ogni pomario di campagna, per un giardino che si voglia distinguere ci si deve procurare (basta un rametto per una talea) esemplari di quercifolia, arborescens, serrata, paniculata, villosa, sargentiana. Tutte scenografiche, specialmente se lambite dall’ombra di grandi alberi: spiccano sulla cortina verde le diverse infiorescenze a pannocchia, a palla, a lace cap come dicono gli inglesi, cioè a corimbi piatti o tondi. Le notti di luna chiara esaltano i bianchi dei grappoli sfarfallanti della varietà Great Star (paniculata) o delle boules merlettate della Annabelle (arborescens).
Sontuose, le Hydrangee sono una benedizione per il giardiniere sempre a corto di fioriture alla fine dell’estate e, se albe, per un giardino godibile anche al buio. Mutevoli e imprevedibili, trascolorano dal blu ai cilestri, dal bianco al rosa fragoloso ai verdi più inaspettati o alle serietà più rugginose. A lungo permangono sugli steli rendendosi interessanti in questi esercizi di stile che Rainer Maria Rilke ha cristallizzato nel doppio omaggio poetico in cui l’ékfrasis, superbamente, coglie la qualità dell’oggetto nella sua metamorfosi. Gli erano molto care le ortensie se, nell’intenzione del poeta, il sonetto Ortensia azzurra e le tre quartine di Ortensia rosa dovevano battezzare le raccolte Neue Gedichte e Der Neuen Gedichte anderer Teil.
Ortensia azzurra
Come su tavolozze ultimo verde
son queste foglie, secche, opache e ruvide
dietro le infiorescenze che un azzurro
non hanno in sé, ma da lontano specchiano.
Nebuloso lo specchiano e inesatto
Come se già volessero riperderlo,
e come vecchia carta da lettera celeste
d’un tempo, hanno in sé il grigio, il viola e il giallo,
stinti, come un grembiule dell’infanzia,
smesso ormai, cui più nulla accade: senti
la brevità di una piccola vita.
Ma a un tratto in una delle infiorescenze
sembra il colore avvivarsi e si vede
un commovente azzurro rallegrarsi del verde.
Ortensia rosa
Chi immaginò quel rosa? Chi seppe anche
che in questi globi era raccolto?
Come cose indorate che si adorano
smorzando adagio il rosso, quasi consumandolo.
Se per un rosa simile nulla chiedono in cambio,
resta per loro e dall’aria sorride?
O l’accolgono dolcemente angeli
Quando come un profumo donandosi svapora?
O forse alla sua sorte l’abbandonano
Perché mai sappia che cos’è sfiorire.
Ma sotto questo rosa un verde era in ascolto
Che ora appassisce e tutto sa.
(R. M. Rilke, Poesie, I, a cura di G. Baioni, Einaudi Gallimard, 1994)
Mai, dunque, dare della “sfiorita” a un’ortensia se non, forse, in inverno inoltrato: ma, pur secca, ripara i nuovi getti pronti al prossimo, giovane, sapiente verde.