4 marzo 1950 –17 luglio 2020 / Enrico Ganni tra Benjamin, Grass, Enzensberger
Credo che mancherà a molti l’eleganza gentile e l’ironia garbata ma mai irriverente di Enrico Ganni. Chi l’ha conosciuto rivede il suo sorriso un po’ timido, quasi trattenuto per non eccedere e per non urtare la sensibilità dell’interlocutore, ricorda di lui la misura, le parole spontaneamente sorvegliate, la lucidità dei giudizi. Queste doti umane Enrico le ha messe al servizio del suo lavoro di editor, a cui è approdato definitivamente nel 1995 dopo un’intensa attività di traduttore dal tedesco – molti classici, Goethe Fontane, Kafka – e di insegnante di traduzione. In quell’anno iniziava la sua attività in Einaudi raccogliendo e continuando il lavoro svolto nei vent’anni precedenti da Roberto Cazzola passato nel frattempo all’Adelphi.
Ricordo questi tratti della persona e queste tappe della sua vita professionale perché in Ganni carattere e professione costituivano una sintesi di rara efficacia che ha reso possibili risultati di straordinaria importanza. La mitezza di Ganni faceva tutt’uno con la sua franchezza e con la determinazione schietta a dire i no che all’editoria di cultura sono vitali per progredire.
Nello stesso tempo sapeva stabilire con i suoi autori una sorta di intimità sui contenuti che gli permetteva di entrare nel loro mondo creativo pur mantenendo una distanza rispettosa dalle loro vite. Un comportamento per nulla frequente nell’editoria, spesso succede l’opposto.
Queste impressioni le ho ricavate osservandolo al lavoro nelle occasioni in cui mi è capitato di accompagnarlo – lavoravamo insieme in Einaudi in quegli anni Novanta e primi Duemila – e ho potuto vedere come Enrico si conquistava la stima e il rispetto dei suoi autori.
Ricordo ad esempio una visita a Günter Grass nella sua casa vicino a Lubecca. Volevamo capire su cosa stava lavorando l’autore di Il tamburo di latta e in anni recenti di È una lunga storia, il grande romanzo sulla storia tedesca dall’età guglielmina alla caduta del muro di Berlino di cui Einaudi aveva tradotto da poco l’edizione italiana.
Enrico seppe avviare una conversazione volutamente dimessa che partiva dalla selvaggia bellezza del giardino di casa Grass per approdare agli echi italiani dell’ultimo romanzo tradotto e alla difficoltà che la narrativa italiana contemporanea incontrava a narrare una storia nazionale di quel respiro. Era insomma un percorso laterale che toccava le curiosità ma anche i punti focali della narrativa di Grass in una mescolanza piena di understatement che proprio perciò destava la curiosità dell’interlocutore. Le parole di Enrico accesero nell’illustre scrittore il desiderio di parlare del suo nuovo romanzo: si trattava di una nuova tappa della ricognizione sulla storia tedesca a cui Grass si era dedicato in quegli anni. Uscirà poi nel 2002 con il titolo Il passo del gambero.
La maieutica di Enrico aveva funzionato: evitare le domande dirette ma lasciare che l’autore riveli da sé ciò che in fondo vuole dire.
Su questa stessa base si era stabilito un sodalizio altrettanto produttivo con Hans Magnus Enzensberger di cui Ganni ha curato con impareggiabile maestria i libri apparsi negli ultimi vent’anni in Italia a cominciare da Il mago dei numeri di cui fece una splendida traduzione che contribuì al successo del libro in Italia.
La stessa abilità maieutica aveva permesso ad Enrico di riavviare un’impresa che era sembrata arenarsi nelle secche dei risentimenti e delle rivalità: l’edizione delle Opere di Benjamin.
Il compito era oltremodo difficile: si trattava di assicurare all’edizione delle opere del filosofo tedesco una direzione autorevole che permettesse di proseguire quella del predecessore Giorgio Agamben. Un’edizione, quella di Agamben, che si era prefissa di seguire un ordine cronologico, opposto cioè a quello tematico che aveva contraddistinto le prime edizioni delle opere in Germania. Ganni riuscì a convincere gli editori dell’edizione originale tedesca delle Opere di Benjamin a proseguire il lavoro avviato da Agamben garantendo così una conduzione altrettanto autorevole e disponendo inoltre di un contatto diretto con le fonti e con gli archivi. Di questa impresa ho la sensazione che non si sia ancora capita l’importanza, ma verrà sicuramente alla luce nei prossimi anni e sarà interessante anche vedere il materiale d’archivio di Einaudi e il carteggio intrattenuto da Ganni con gli interlocutori tedeschi, in primo luogo con Rolf Tiedemann.
Si potrebbero citare molti altri casi editoriali di grande importanza per la ricezione italiana della cultura tedesca di questi ultimi vent’anni, che hanno visto Enrico Ganni come protagonista, ma rigorosamente dietro le quinte editoriali. Cito due casi opposti, un grande classico della letteratura tedesca e una scoperta della poesia contemporanea: Poesia e Verità di Goethe e il poeta Durs Grünbein con cui Ganni ha intrattenuto in anni recenti un dialogo particolarmente produttivo. A questi vanno aggiunte le edizioni di Brecht, penso in particolare a quella delle Poesie con testo originale a fronte curate da Luigi Forte in stretta collaborazione con il suo editor einaudiano.
Non a caso l’editoria tedesca riservava a Enrico Ganni un’attenzione particolare, soprattutto la Suhrkamp, che lo interpellava per primo quando sulla scena letteraria appariva una nuova voce o quando la casa editrice si apprestava a una nuova edizione di un classico della letteratura o della saggistica.
Con lui se ne va un uomo buono che ha saputo coniugare la cultura con l’umanità dei gesti semplici e la cui storia spero sarà un giorno narrata da chi verrà dopo di noi.