Giuseppe Di Napoli / Leonardo. Lo sguardo infinito
Leonardo. Lo sguardo infinito è il titolo dell’ultimo saggio di Giuseppe Di Napoli (Einaudi, Torino 2019). Nel corso della presentazione del libro alla galleria Milano, qualcuno porta l’attenzione sul segno d’interpunzione che nell’indice del libro separa “Leonardo” da “Lo sguardo infinito” e sul punto conclusivo che, di conseguenza, ci si aspetterebbe.
“Perché hai tolto il punto?” viene chiesto all’autore del saggio, insinuando che il vero soggetto del libro non sia Leonardo ma lo sguardo, appunto infinito, oggetto di altrettante infinite discussioni, avute in precedenza con Di Napoli, il geniale Narciso Silvestrini e altri amici: un gruppo di artisti, letterati, docenti e intellettuali che si riunivano in simposi improvvisati presso le bettole più sgangherate della Brianza e di Milano.
Di Napoli sorride cogliendo ciò che la domanda sottende in termini non solo di contenuti ma anche di rapporti e amicizia, che rifluiscono nel lavoro intellettuale e lo alimentano.
Il punto geometrico, spiega Di Napoli, è un’astrazione così come lo è la linea. Non percepiamo linee nere che circondano gli oggetti ma solo discontinuità tra superfici diversamente illuminate e diversamente rispondenti all’intensità e alla qualità della luce. Nel suo Trattato della Pittura, in polemica con il linearismo pittorico del Quattrocento, Leonardo esorta il pittore: “Non fare i termini delle tue figure d’altro colore che del proprio campo, con che esse figure terminano, cioè che non faccia profili oscuri infra il campo e la tua figura”. Queste linee nere non esistono nel mondo fisico e perciò non possono essere percepite. Possono essere solo concepite in rapporto all’uso di specifici codici visivi ai quali la necessità del senso, della cultura e della storia hanno educato.
Come il punto anche la linea è un’astrazione, che l’artista però trasforma in qualcosa che ha consistenza. La linea rende visibile l’invisibile, così come lo sfumato di Leonardo rende visibile quel nulla che unisce le parti al tutto. Richiamando gli studi di Augusto Marinoni, che per primo mise in relazione la sfumato leonardesco al concetto di nulla e di infinito, Di Napoli spiega che lo sfumato è il luogo indefinito dove avviene una transizione fra il nulla e l’essere: dove finisce uno inizia l’altro e a questo proposito cita Leonardo: “il nulla nasce nel termine della cosa. Dove finisce il nulla, nasce la cosa, e dove manca la cosa, nasce il nulla” (p. 259). Lo sfumato vinciano non è il chiaroscuro con il quale si conferisce rilievo e tridimensionalità ai corpi, ma è il medium pittorico che consente di rendere evidente l’invisibile del visibile, l’infinito del finito e la fluidità delle forme nel loro divenire morfogenetico.
Le forze che agiscono nei processi della natura sono spesso invisibili e Di Napoli fornisce molti esempi di come Leonardo conferisca loro visibilità attraverso il disegno. La descrizione delle turbolenze dell’acqua, alle quali Leonardo ha dedicato gran parte dei suoi studi, richiede una comprensione dei fenomeni che l’occhio difficilmente può cogliere a causa della rapidità con la quale questi si svolgono. Per Leonardo vedere (attraverso il disegno) equivale a pensare e, nel suo caso, questa attività ha un carattere prevalentemente analogico. Egli infatti coglie delle relazioni di forma e funzione fra i vortici di acqua e aria e la circolazione sanguina, fra la propagazione delle onde acustiche e l’espandersi dei cerchi nell’acqua, fra la propagazione della luce e la dispersione del suono. Alcuni studi hanno evidenziato come l’analogia abbia un rapporto con le leggi della Psicologia della Forma e quindi con il pensiero visivo teorizzato da Rudolf Arnheim (Il pensiero visivo. La percezione visiva come attività conoscitiva, Einaudi, Torino 1974). Il pensiero di Leonardo sembra perciò distinguersi per il suo carattere visivo, che trova nel disegno uno strumento appropriato.
Nel capitolo IV Di Napoli elenca cinque tipologie grafiche escogitate dal pittore (il disegno tecnico e progettuale, il disegno scoppiato, il disegno dimostrativo e istruttivo, il disegno strutturale e funzionale, il disegno morfologico) che sono entrate a far parte del nostro patrimonio visivo. Per esempio, le istruzioni per il montaggio dei mobili Ikea includono il disegno istruttivo, che mostra come e in quale sequenza è necessario svolgere le operazioni di montaggio.
Leonardo inventa anche il disegno dei corpi in trasparenza, che anticipa le moderne tecnologie di visualizzazione endoscopica. Il disegno nel foglio RCIN 919017r di Windsor rappresenta i muscoli e i tendini della parte inferiore della gamba e del piede, attraversando in progressione i vari strati epidermici, muscolari, tendinei e ossei.
Il disegno della gamba sezionata nel foglio RCIN 912627v di Windsor mostra invece le variazioni di disposizione e larghezza delle strutture interne nelle differenti altezze, in un modo simile alle odierne tomografie assiali computerizzate. “L’artista non disegna ciò che vede, ma vede ciò che disegna”, precisa Di Napoli ogni volta che sia necessario ribadire la funzione del disegno nella pratica delle arti visive. In questa sua precisazione riecheggiano le parole dello storico dell’arte Ernst H. Gombrich: “L’artista tenderà a vedere quello che dipinge più che dipingere quello che vede” (Arte e illusione, Einaudi, Torino 1965, p. 104).
Insieme a un’approfondita analisi del ruolo euristico, oltre che estetico e poetico, svolto dal disegno nell’opera di Leonardo, il saggio di Di Napoli offre anche l’occasione per riflettere sulle strategie di visione e lettura (capitolo V), che Leonardo mette in rapporto all’atto di figurare (disegnare) e del descrivere (scrivere). In Leonardo il figurare precede il descrivere: la parola svolge solo una funzione integrativa, perché egli pensa attraverso il disegno. Non tutti pensano allo stesso modo. “Non pensiamo tutti come Galileo, Aristotele, Andrighetto e Gardner, ed è probabilmente un vantaggio che sia così” scrive Howard Gardner, rispondendo a un quesito sul rapporto tra percezione visiva e linguaggio che gli avevo sottoposto molti anni fa.
Il segno d’interpunzione posto in rapporto all’ente geometrico porta l’attenzione sul fatto che lo sguardo può essere infinito non solo in rapporto al disegno ma anche alla scrittura, che peraltro con il segno grafico intrattiene una relazione segreta. “L'unica cosa che vorrei insegnare è un modo di guardare, cioè di essere al mondo” scrive Italo Calvino nel 1960 all'amico François Wahl.
In queste ore di vuoto pneumatico causato dall’interruzione di molte attività possiamo fare esperienza di ciò che il segno d’interpunzione introduce fra una parola e l’altra: l’esperienza di un tempo sospeso, in(de)finito, contrassegnato da un punto che è un nulla, forse lo stesso che “avvolge tutti i corpi delle forme naturali, e le connette l’una all’altra e tutte insieme all’unità del tutto, attraversato da un flusso di energie invisibili” (p. 259).