Abitare / La capanna di Unabomber
Il 3 aprile 1996 Theodore Kacynski fu arrestato nella sua capanna nei pressi di Lincoln in Montana in quanto identificato come il temibile Unabomber, l’attentatore cui da diversi decenni al FBI dava la caccia. Nel 1995 era stato diffuso un suo manifesto intitolato: “La società industriale e il suo futuro”. Da qualche mese si è aperta presso la Fondazione Prada di Venezia la mostra “Machines à penser” dedicata a tre celebri “capanne” di tre filosofi tedeschi: Adorno, Heidegger e Wittgenstein, rappresentate attraverso fotografie e immagini. Nel numero del febbraio 2017 della rivista di architettura “Domus” Michael Jacob ha pubblicato un breve testo dedicato a un’altra celebre capanna, quella di Unabomber, ripresa e riprodotta da artisti contemporanei. Riprendiamo qui quel testo che ci sembra un’interessante riflessione sul tema dell’abitare. Di Michael Jakob, saggista e scrittore segnaliamo anche l’intervista apparsa su doppiozero (m.b.).
A comprendere meglio il mondo in cui abitiamo. La ‘casa’, a prima vista piuttosto banale, di Ted Kaczynski, detto Unabomber, fa parte di questa categoria di oggetti. Kaczynski, ricordiamolo brevemente, è quel precocissimo matematico genialoide che, dopo una rapida carriera, decide nel 1971 di ritirarsi nella cittadina americana di Lincoln, nel Montana, costruendo con le proprie mani una piccola cabin, una sorta di capanna neobucolica. Nel 1978, mosso dalla critica della civilizzazione tecnologico-industriale, lo scienziato, come un novello selvaggio, inizia una seconda ‘carriera’, questa volta criminale, di bombarolo, che causerà la morte di tre persone e ne ferirà più di 20. In seguito al suo arresto, il 3 aprile 1996, e alla condanna all’ergastolo, Kaczynski dovrà lasciare la sua primitiva abitazione, priva di elettricità e di acqua corrente, e si ritroverà rinchiuso nell’inospitalità estrema della prigione federale di massima sicurezza di Florence (Colorado), in cui sconta tuttora la sua pena. Fra le tante stranezze della ‘casa’ di Unabomber va sottolineata la contraddizione fra il vuoto della tabula rasa (inizio assoluto) da una parte, e il pieno caotico dall’altra, visto l’accumulo stravagante di materiali di ogni genere e di scritti (40.000 pagine) che erano depositati al suo interno. Fa riflettere l’antitesi estrema tra idea di rifugio nella massima intimità di corpo e di abitazione nel nido di Lincoln e l’intento di far esplodere il corpo altrui. La seconda peculiarità sta nell’aspetto intertestuale dell’ormai celebre capanna. In effetti, nella casetta di Lincoln, dove tutto dovrebbe essere nuovo, diverso,‘rivoluzionario’, tutto appare in verità come una eco e una citazione di modelli architettonici.
Una filiazione diretta ci riporta alla famosa cabin dello scrittore Henry David Thoreau e alla sua teoria ‘economica’ delle costruzioni umane (“Nella condizione dei selvaggi, ogni famiglia possiede un riparo dei migliori, sufficiente per le necessità più rozze e semplici; ma io ritengo di parlare con cognizione di causa dicendo che, pur avendo gli uccelli dell’aria il loro nido, le volpi la loro tana e i selvaggi il loro wigwam, nella moderna società civile non più di metà delle famiglie possiede un riparo”. Come l’autore di Walden, anche Kaczynski erige il suo monumento anti-monumentale con le proprie mani. Dall’eremita di Concord c’è solo un passo per arrivare all’abate Laugier e all’idea di origine di architettura espressa attraverso la cabane rustique e, quindi, a Vitruvio (De architectura, Libro II). Costruendo il suo rifugio, Kaczynski rousseauianamente ritorna all’origine della società, indica la necessità di ripartire da zero. A tale tradizione architettonica ne vanno collegate svariate altre, per esempio la cabin del pittore della scuola dell’Hudson, Thomas Cole, quella di Mark Twain in cima a Jackass Hill, in California (abitata nel 1864-1865), quella di Willa Cather, a Grand Manan, New Brunswick, senza dimenticare La capanna dello zio Tom. Laddove queste e altre cabin nordamericane ricordano innanzitutto l’idea chiave di frontier, i ‘rifugi’ di Martin Heidegger o di Ludwig Wittgenstein indicano l’esistenza di architetture estreme, atte a creare le condizioni di possibilità di un pensiero radicalmente diverso o eigentlich, autentico. Il sistema è, ovviamente, dialettico: la celebre Hütte del Todtnauberg nella Foresta Nera si contrappone all’abitazione cittadina del filosofo a Friburgo; il rifugio di Skjolden, in Norvegia, costruito da Wittgenstein con le proprie mani dalla primavera del 1914 in poi, va paragonato alla casa Wittgenstein ideata per la sorella.
Non vanno dimenticati neppure, in questo contesto, il Cabanon di Le Corbusier, la cellule minimum di Roquebrune-Cap-Martin del 1951, o la capanna caraibica di Semper, la teoria dello chalet di Ruskin e così via. L’artefatto ideato e realizzato da Kaczynski appare dunque come il concentrato di gran parte della storia dell’architettura tout-court, nonché come un costrutto altamente polisemico. Una lettura semplice non è possibile, dato che tutti questi rimandi fanno ‘esplodere’ l’unità del concetto. La ‘casetta’ di Theodore Kaczynski ne nasconde tantissime altre. Le cose si complicano ancora di molto, dopo il 1996. Il segno nudo, svuotato del suo contenuto e del suo abitante, comincia a ‘viaggiare’. In un primo tempo, la capanna viene spostata da Lincoln in una base militare (la Malmstrom Air Force Base). Il 2 dicembre 1997, la costruzione viene trasportata dal Montana a Sacramento, in California. L’involucro vuoto (tutto il resto viene sequestrato dall’FBI) non verrà utilizzato durante il processo. Poi, quasi distrutto nel 2003, verrà spostato per un’ultima volta dall’altra parte degli USA e depositato nel Newseum di Washington, DC. La capanna vuota fa dunque un giro all’interno di altri edifici: deposito, tribunale, museo. La mise en abîme (la casa nella casa, l’architettura nell’architettura) non terminerà con la fine del processo. Inizierà difatti quasi subito una trasformazione semiologica dell’originale (che era già una copia) che non si fermerà più. L’artista Richard Barnes realizzerà sia delle fotografie a colori sia una serie d’immagini in bianco nero che auratizzeranno la reliquia di Kaczynski. James Benning, un cineasta conosciuto per i suoi documentari sul paesaggio, darà il via nel 2007 a un progetto multimediale dal titolo Two Cabins, in cui confronta la replica della ‘cabina’ di Thoreau con quella di Kaczynski, il tutto esposto nelle montagne (Sierras) californiane per creare un vero e proprio bricolage: “Two Cabins agisce nell’ambito di una molteplicità di registri di spettacolo: come museo storico, progetto artigianale fai da te, installazione artistica, trattato psicologico, manufatto vernacolare in legno e facsimile architettonico”.
È come se il segno iniziale, moltiplicato, tradotto, modificato, archiviato continuasse a produrre deflagrazioni. La catena di rimandi prosegue con altre opere di Daniel Joseph Martinez (The House America Built), Robert Kusmirowski (Unacabine), Constantin Boym e Laurene Leon Boym (Unabird House) o Gregor Huber & Ivan Sterzinger (The Ted Kaczynski Issue, Die Zeitung der Roten Fabrik, numero 258). Più le copie aumentano, più l’insieme si ramifica e offre nuovi aspetti. Mentre il ‘messaggio’ dell’autore isolato e quasi dimenticato svanisce (con l’eccezione dello studio di Apostolidès e di poche altre voci, la sua icona, svuotata, replicata e disseminata aumenta la dispersione di un segno che non è mai stato particolarmente stabile. Il viaggio di questo segno inarrestabile non è soltanto un fenomeno americano. La scia artistica, che incorpora la capanna diventata mobile e che la espone incessantemente, tematizza a suo modo una serie di problemi chiave della società odierna, problemi anche specificamente architettonici. Esiste un nesso – sembra indicarci il segno vagabondo – non abbastanza compreso, tra la casa-rifugio (shelter), tra la necessità di dare protezione all’essere umano, e un mondo tecnologico, nonché economico, che crea violenza. In un universo dove ogni cosa è collegata, l’uno, la cellula primigenia, la capanna-nido è eco e resistenza di fronte alla violenza della struttura non avvertita come tale. Non si può riflettere sulla casa oggi, sul senso dell’abitare, se non si prendono sul serio le contraddizioni poste da un oggetto che, col passare del tempo, dimostra sempre più il suo enorme potenziale critico.
Per saperne di più
- Henry David Thoreau, Walden, or Life in the Woods, Ticknor and Fields, Boston, Mass.1854; edizione italiana: Walden. Vita nel Bosco, Feltrinelli, Milano 2012, pagina 59.
- Cfr. Gilles A. Tiberghien, Notes sur la nature, la cabane et quelques autres choses, Éditions du Félin, Paris 2005; Adam Sharr, Heidegger’s Hut, MIT Press, Cambridge Mass. 2006; vedi anche Ann Cline, A Hut of One’s Own, Life Outside theCircle of Architecture, MIT Press, Cambridge, Mass. 1998.
- Eitan B. Freedenberg, 10 x 12, An Archeology of the Unabomber, sul sito www.academia.edu, 21.
- Jean-Marie Apostolidès, L’affaire Unabomber, Éditions du Rocher, Paris 1996 ; cfr. anche Mark Wigley, Cabin Fever. The Home of the Unabomber, 2004.